DI GIOSUE’ TEDESCHI
Appoggiò i gomiti sul tavolo, chiuse gli occhi e si sforzò di cercare le parole giuste. Peccato che non le trovasse.
Sembrano tutti racconti interrotti.
Un insieme di mezze storie che una volta iniziate non avevano abbastanza realtà da arrivare alla fine. O magari hanno passato troppe fini per raggiungerne una definitiva. Perché sembra che manchi il finale? Più che una mancanza della storia ho iniziato a pensare che magari è la nostra idea di finale ad essere infinita. Nel senso di non finita, imperfetta, incompleta. Eppure sappiamo che tutte le storie continuano oltre l’ultima pagina. Questo libro in un certo senso ti sfida a riconoscere che la tua finestra sulla vita ha dei bordi, e questo non necessariamente blocca la visuale. Men che meno rovina la vista.
Trovo che un titolo alternativo per questo libro potrebbe essere: Le 100 cose che le relazioni con gli altri ci insegnano su noi stessi. Come palle da biliardo i personaggi sono il prodotto di tutti gli urti che si sono dati tra loro, per quanto invisibili sono tutti lì; nascosti nella posizione finale.
In un certo senso potrebbe anche essere considerata una raccolta di memorie; episodi particolari o strani che son capitati a lui, Murakami, che magari strani non lo sono per niente stati. Ma visti attraverso gli occhi di un romanziere hanno sconfinato la realtà e sono diventati qualcosa d’altro. O magari ha visto un parte di essi che la realtà nasconde con la sua opacità e persistenza. Perché se il tempo è un fiume veloce, s’increspa la superficie. E non permette di vedere chiaramente ciò che giace sul letto.
Così continua ad affermare e negare le stesse cose attraverso i racconti e all’interno degli stessi. Senza un dubbio e senza un senso, se non quello che ciascuno di noi può trovare in sé stesso; quando cerca di convivere con le sue contraddizioni.
Semplicemente le altre persone esistono nella nostra testa, questo dev’esserci chiaro. Murakami fa capire che esistono nell’unico modo in cui qualcosa può esistere per noi. Quando facciamo qualcosa per gli altri o con gli altri è sempre e soprattutto anche qualcosa che stiamo facendo con una parte di noi, secondo la relazione con cui la accettiamo. O alla peggio con cui ci conviviamo.
Penso sarebbe bello leggere questi racconti prima di andare a dormire, un po’ come una rivisitazione delle favole della buonanotte. Perché ognuno lascia qualcosa su cui riflettere. In modo sorprendentemente diretto per Murakami; capisco adesso che è uno scrittore a cui piace sperimentare e cimentarsi in diversi stili di narrazione. Sono argomenti intuitivi perché sono comuni, presenti nella vita di tutti i giorni. Solo che sono così presenti che di solito non ci soffermiamo a notarli. Girarli un po’ in testa prima di dormire mi sembra un po’ il cioccolatino a fine pasto.
Ne leggi uno alla volta, e poi ci pensi. Sono abbastanza confusionari da lasciarti salpare nel mare della coscienza con una brezza dolce ma decisa, perfetta per una notte di sogni da dimenticare al mattino.
Ogni volta sembra che provi a essere preciso ma non centri mai il punto. Il risultato sorprendente di questo modo di scrivere è che ti fa sentire nei panni dei personaggi a un livello intimo. Non tanto per le vicende come sono letteralmente raccontate, che rimangono rare e, spero, non condivise. Ma per come impattano sull’emotività e la psiche di chi ci passa.
Perché quando vai a scrivere dei sentimenti di un personaggio di solito te li immagini prima no? Quindi poi li descrivi come te li sei immaginati, e quella di cui parli diventa la realtà del personaggio. Ma nella nostra realtà nessuno è davvero sicuro dei suoi sentimenti, nessuno sa mai precisamente cosa prova, perché non te lo immagini, perché sei impegnato a viverli, perché sei disconnesso da te stesso o per mille altre ragioni. Trovo abbia perfettamente senso che nemmeno i personaggi, per essere reali, possano dire precisamente cosa stanno provando. Questa ambiguità li fa risultare il 300% più umani.
Davvero notevole il racconto La zia povera, è un punto di svolta, più che altro perché è uno dei racconti più didascalici che ci sono. Altre meritevoli menzioni sono Il settimo uomo e L’anno degli spaghetti. Interessantissimi, varrebbe la pena di prendere il libro solo per questi tre.
Alla fine dei conti trovo che sia un libro molto personale. Contiene tanti racconti di vita vissuta o che paiono tali. Un saliscendi di emozioni che permette di leggere un racconto dietro l’altro senza annoiarsi; anche se penso che il modo migliore sia leggere un racconto al giorno prima di dormire o qualcosa del genere.
Cercai più volte di parlarle di quel mio stato d’animo, perché avevo l’impressione che lei fosse in grado di capirmi, però non mi riuscì mai a spiegare veramente quello che provavo.
Racconta sentimenti comuni con un immaginario non comune che però accomuna tutte le esperienze di quei sentimenti.
Forse, a dirla tutta, questo libro parla della perdita.