DI ALBERTO GROMETTO
Perché ci intriga così tanto, nel Bene o nel Male, la figura del Vampiro? Ve lo siete mai chiesti?

Che sia in Letteratura, oppure al Cinema, o addirittura in una serie tv, ha sempre esercitato nell’immaginario collettivo storico-globale un fortissimo fascino il macabro personaggio del succhiasangue cadaverico figlio della Notte, pallido al punto d’aver bisogno di una sessione di lampade abbronzanti lunga un pomeriggio intero e con due zanne talmente lunghe che non basterebbero venti dentisti a curarlo!
Sarà quella sua eleganza raffinata di tipo nobiliare mista all’atroce violenza sanguinaria delle sue azioni efferate, il suo essere morto pur vivendo, le peculiari caratteristiche proprie della sua figura… o forse tutte queste cose insieme!
Fatto è che il Vampiro è tra le icone mostruose più amate, idolatrate, parodiate, citate e riprese di tutti i Tempi. E, come spesso accade quando si parla di idoli o leggende, il merito di questo lo si deve principalmente ad Arte, Cultura e Bellezza. Eh sì, perché è stato il raccontare e il narrare la figura vampiresca ad averla resa così grande e conosciuta. Al punto che, ad esempio, non credo esista al Mondo una sola persona che non conosca il CONTE DRACULA. E questo vale anche per chi non ha mai letto una sola parola uscita dalla penna dello scrittore irlandese ABRAHAM “BRAM” STOKER, autore del romanzo dedicato al vampiro più vampiro di tutti!

Stoker non fu il primo a parlare di vampiri, sia chiaro. Prima di lui ci fu JOSEPH SHERIDAN LE FANU, che nel 1872 si inventò la figura della Signora della Stiria, quella CARMILLA che sarà “madre ispiratrice” per il Conte della Transilvania. Ma il primo di tutti fu JOHN POLIDORI, che col suo «THE VAMPYRE» ha dato origine al filone letterario del vampirismo, di cui il caro Bram si farà erede realizzando quello che è oggettivamente il più conosciuto e indiscusso capolavoro del genere.
Furono tutte queste influenze narrative sopracitate a portare Stoker a farsi autore de «Il Conte Dracula». Quelle, e la sua stessa esperienza biografica. Già, perché Bram fin da molto piccolo soffrì di salute cagionevole, al punto che per i primi sette anni della sua vita era sostanzialmente incapace di alzarsi in piedi: la sua malattia, che lo costringeva a letto, il suo essere privo di forze, il rischio di morire… son tutti fattori che rientrarono nella sua opera. Non dimentichiamo che Dracula è associato proprio al sonno senza fine, alla Morte, all’assenza di Vita. Un lavoro accurato lungo sette anni quello di Bram Stoker, che culminò nella pubblicazione datata 1897, quando lo scrittore era cinquantenne. L’autore sarebbe spirato solo 15 anni più tardi, nel 1912. Ma il suo Conte avrebbe avuto vita eterna. Non male, la vita eterna, soprattutto per un morto!
Imponendosi di prepotenza nel nostro immaginario, fin dai suoi albori la figura di Dracula avrebbe cambiato per sempre il corso della Storia, al punto che sono innumerevoli, per non dire infiniti!, gli adattamenti cinematografici susseguitisi. Ma uno dei primissimi, e che per tutto l’articolo fino a questo momento abbiamo solo evocato e mai menzionato esplicitamente (a parte che nel titolo), è senz’altro: «NOSFERATU IL VAMPIRO».

Era il 4 Marzo 1922 quando venne proiettato a Berlino per la prima volta quello che ad oggi è ancora considerato (e non potrebbe essere altrimenti!) uno dei più mastodontici, sublimi, immersivi capolavori cinematografici mai realizzati fino a quel momento. Una pellicola talmente forte, audace e coinvolgente che anche attualmente, a distanza di oltre un secolo dalla sua realizzazione, a dispetto del fatto che sia un film muto, riesce a farti sperimentare sensazioni epidermiche, emotive, viscerali di natura quasi ancestrale, primordiale. L’orrore, il terrore, il non sapere che cos’hai di fronte né che ti accadrà: tutti temi affrontati da questo film, capostipite dell’intero genere cinematografico horrorifico, che nell’imbastire la vicenda di un comune agente immobiliare spedito dal suo principale tanto lontano da casa con lo scopo di vendere una grande proprietà ad un misterioso nobile conte (che, indovina indovinello!, è molto poco umano dato che è un vampirello), finisce per imbattersi nel più mostruoso dei mostri.
Il Conte non si chiama Dracula, bensì Orlok. E non vive in Transilvania, ma tra le isolate montagne dei Carpazi. Però, in realtà, la storia è la stessa di Stoker. Soltanto i nomi cambiano. Perché? La ragione è presto detta, ed è molto più pratica e pragmatica di quanto si possa pensare: non avevano i diritti. FRIEDRICH WILHELM MURNAU, che di questo Nosferatu fu il regista e sostanzialmente creatore, voleva a tutti i costi rendere la storia di Bram un film. E non solo lui: quel romanzo era stato un successone epocale, chiunque sapeva chi era il Conte Dracula. E così, quando nel 1921 nacque lo studio della «PRANA-FILM», piccola ma fiera casa di produzione cinematografica tedesca, questi qui decisero che il loro primo film sarebbe stato proprio quello sul non-morto transilvano, e che a dirigerlo sarebbe stato Murnau. Sarà infine però quella la sola e unica produzione di tutta la loro brevissima (ma gloriosissima!) storia. Già, a quanto pare “cambiare i nomi” non basta ad evitare denunce per violazione dei diritti d’autore.

Fu una storia pazzesca all’epoca, considerando che cose come il copyright e la proprietà intellettuale stavano muovendo i “loro primi passi” e ancora non esistevano veramente. La vedova Stoker, la signora FLORENCE BALCOMBE, donna molto affascinante che da giovane venne pure corteggiata dallo stesso Oscar Wilde in persona (chissà che gli faceva, lei, agli scrittori!), non sapeva nulla dell’esistenza di questo film che fin dai titoli di testa ammetteva di essere “liberamente ispirato” all’opera del marito. Sì, però senza che ci fosse stata alcuna autorizzazione in merito! Lo scoprì perché le venne recapitata una lettera anonima al riguardo. Florence, esecutrice testamentaria del marito per quanto concerne la sua produzione letteraria, in forti difficoltà finanziarie all’epoca, un filo arrabbiata per il fatto che fosse stato realizzato un adattamento del capolavoro del consorte senza che le fosse stato chiesto il permesso e senza riconoscerle alcunché a livello economico e senza nemmeno esserne stata avvisata, fece causa, pretese i danni e si fece rappresentare dagli avvocati della British Incorporated Society of Authors. Il tutto andò per le lunghe, divenne un caso mediatico e per evitare di pagare la multa la Prana-Film, con una sola produzione all’attivo, dichiarò bancarotta. Ma la Balcombe pretese anche un’altra cosa: e cioè la distruzione di tutte le copie del film.

Murnau, a malincuore, dovette consegnare ogni singolo negativo. Fine della storia. Aspettate: fine della storia? Eh no, evidentemente no, altrimenti non saremmo ancora qui a parlarne! Infatti quel volpone di Friedrich Wilhelm si tenne una copia per sé, e sul finire degli Anni Venti la pellicola riprese a circolare. Ed è stata una fortuna benedetta: anche chi non sa nulla di questa vicenda qua o del film in sé e per sé, non potrà non riconoscere in certe immagini tratte da quella pellicola delle inquadrature che hanno fatto la Storia! Se oggi abbiamo una certa idea di vampiro, è anche merito di questa pellicola qua che ne ha forgiato la Leggenda: il primo vero film di vampiri. Quel senso di angosciante terrore aleggiante in tutto il lungometraggio risuona vivo ancora oggi. E poi, per capirne la grandezza, basta guardare anche solamente l’iconico ed epico volto del Nosferatu/Conte Orlok impersonato da uno strabiliante MAX SCHRECK, attore del Cinema Muto divenuto famoso esclusivamente per questa parte qua, che però impersona talmente bene che ancora oggi girano leggende sul fatto che egli fosse davvero un vampiro! Il vero cinema horror è nato qui.

Ma… questo articolo qui non dichiarava, quantomeno nel suo titolo, di essere una “Grande Sfida” tra Signori della Notte? Certo che sì! E allora? E allora quello del ’22 non fu il solo Nosferatu. Facciamo un balzo in avanti di più di mezzo secolo. Ecco che compare un remake della pellicola di Murnau. Di norma dovete sapere che io sono assolutamente allergico ai rifacimenti. Forse perché son soprattutto fatti per soldi. Ma quando fatti per le ragioni giuste, cioè per passione oppure per raccontare qualcosa di già raccontato ma in una maniera nuova, allora pure io non posso fare a meno di applaudire. E se dovessi scegliere, tra tutti i remake mai realizzati nel corso della Storia della Settima Arte, un 5/6 titoli che sono stati dei rifacimenti “giusti”, meravigliosi, degni di essere chiamati “capolavori”… beh, sicuramente uno di questi non potrà non essere «NOSFERATU, IL PRINCIPE DELLA NOTTE» targato anno 1979. Siamo proprio in presenza di un film fatto sia per passione sia per raccontare la vicenda dell’orrendo Nosferatu in una nuova maniera e per dirci qualcosa di diverso da quello che già era stato detto.

Stiamo parlando in questo caso di un Genio Assoluto, tra i miei registi e sceneggiatori e autori di Cinema preferiti, una figura a metà tra la Leggenda e il Mito capace di guardare alla Vita e al Mondo con uno sguardo talmente fantastico, talmente forte, talmente “suo” da assomigliare unicamente a sé stesso. Il Maestro WERNER HERZOG ha cambiato la mia Vita tante e tante volte, non saprei neanche enumerarle, perché non me l’ha cambiata ad ogni suo film. Molto più: ad ogni singola visione di una sua opera, anche di una che già avevo visionato, quell’uomo è stato capace di cambiarmi l’esistenza.
La pellicola di Murnau, capostipite dell’horror e del vampirismo cinematografico, era ritenuta una delle più alte vette mai raggiunte dal Cinema Espressionista Tedesco: cioè quel tipo di Cinema dei primi anni del XX secolo interessato cioè al soprannaturale, al distorto, al grottesco tenebroso, al misterioso allucinante, all’inspiegabile inspiegato e via dicendo. E in effetti quel Nosferatu era proprio rappresentazione di questo: originale rappresentazione innovativa, fisica e tangibile di qualcosa che non può essere controllato e nemmeno conosciuto fino in fondo, neanche quando ce l’hai davanti. Herzog, però, come ha sempre fatto nell’arco di una delle carriere e delle vite più brillanti, straordinarie e geniali non solo della Storia del Cinema ma della Storia della Narrativa tutta, “va oltre”. Si spinge più in là, sia col suo sguardo, sia con la sua narrazione. Sia chiaro: i fatti narrati nel film del ’22 sono sostanzialmente gli stessi identici, tali e quali, raccontati in quello del ’79. La trama è quella lì. Ma cambia ciò che voleva dire e fare Murnau rispetto a quello che vuole dire e fare Werner – MERAVIGLIA – Herzog. Soprattutto, cambia Lui. Proprio lui, il vampiresco Principe delle Oscure Tenebre Notturne: Nosferatu!

Il Maestro Herzog, da sempre accanito fan e appassionato ammiratore dell’opera targata Murnau al punto da ritenerla la pellicola più importante mai prodotta in Germania, è uno dei padri e massimi esponenti del Nuovo Cinema Tedesco, e cioè un movimento nato negli anni ’60 che voleva risollevare la situazione cinematografica tedesca portando avanti un tipo di Settima Arte che fosse libero, libero da qualsiasi fattore commerciale e culturale, disposto ad accollarsi dei rischi. E in effetti Werner si è accollato rischi d’ogni genere nel corso di una carriera che lo ha visto scrivere, dirigere e produrre oltre cinquanta pellicole. Tra cui questo remake di Nosferatu, sempre da lui scritto e diretto e prodotto, col quale intendeva egli stabilire un legame tra il Cinema Tedesco d’un tempo e il Cinema Tedesco della sua epoca. A parte la questione “nomi” – Werner infatti, pur volendo realizzare un remake dichiarato dell’opera di Murnau, scelse di assegnare ai suoi personaggi i nomi originali propri del romanzo – non vi sono cambiamenti sostanziali a livello di fatti. Ma i fatti, si sa, contano meno rispetto a quello che è lo sguardo del suo autore.
La storia di Nosferatu (termine rumeno che letteralmente significa “Non Spirato” ) nelle mani di Herzog diventa un modo per indagare l’animo umano nei suoi aspetti più malinconici, profondi, tristi, dolorosi, sofferti. Se nel film di Murnau il mostro era rappresentazione fisica dell’incontrollato inspiegabile e dell’inspiegato incontrollabile, in questo caso abbiamo a che fare con un Nosferatu (non Conte Orlok, bensì in questo caso Conte Dracula!) in qualche misura più umano, sofferente, emotivamente profondo. Un personaggio a 360º gradi, psicologicamente approfondito e che nei fatti è un debole. Sì, il Signore delle Tenebre raccontato da Herzog non è il mostro efferato e feroce che ci si poteva aspettare, ma è un essere umano. Un essere umano debole che si piange addosso pensando di aver avuto la peggiore di tutte le sorti: non poter morire. Eh sì, l’immortalità non è tutta questa gran cosa! L’immortalità, soprattutto poi se è quella fredda e gelida e cadaverica del succhiasangue transilvano, è solitudine. È assenza d’Amore. Impossibilità di partecipare all’amore degli altri, loro, i vivi. L’immortalità non è Vita, bensì una Non-Vita che non ha in sé nemmeno la Pace propria della Morte.

“Il tempo è un abisso profondo come lunghe infinite notti, i secoli vengono e vanno. Non avere la capacità di invecchiare è terribile. La morte non è il peggio: ci sono cose molto più orribili della morte. Riesce a immaginarlo? Durare attraverso i secoli, sperimentando ogni giorno le stesse futili cose” afferma, col volto gonfio di sofferenza e lo sguardo tetro perso nel vuoto, il Nosferatu herzogiano. Il quale non poteva che essere interpretato da Lui: il suo storico collaboratore, il suo attore feticcio, colui col quale più era felice di lavorare (a dispetto delle molteplici, orride difficoltà… e ce ne erano a bizzeffe!). Stiamo parlando di KLAUS KINSKI. Pazzo scriteriato d’un folle nella vita vera, se non fosse stato in grado di recitare, il suo solo volto così unico e speciale sarebbe bastato a considerare la sua performance ineguagliabile. Ma il fatto è che Klaus era anche Maestro di Interpretazione. Werner e Klaus si odiarono ed ebbero ogni genere di discussione delle più violente possibili sul set: ma, a dispetto di questo, amavano lavorare insieme più di ogni altra cosa, non avrebbero mai smesso di farlo e il loro sodalizio portò alla realizzazione di alcune delle più belle pellicole mai realizzate. Herzog racconta di questa loro affettuosa amicizia carica d’odio e tensione in un documentario del 1999: «Kinski, il mio nemico più caro». I due si erano conosciuti quando Werner aveva solo 12 anni e Klaus 28: erano stati vicini di casa. Già allora Kinski si dimostrava un folle eccentrico pazzo. E la cosa incantò Herzog, che riguardo al periodo in cui si incontrarono ricorda: “Ho saputo in quel momento che sarei diventato un regista, e che avrei diretto Kinski”.

Per Noi è stata una Grazia del Cielo, perché il Nosferatu di Herzog non sarebbe potuto nemmeno essere pensato non fosse stato per il suo magistrale e monumentale interprete. Applausi dei più fragorosi spettano però anche agli altri membri del cast. Se l’agente immobiliare di Murnau era un simpatico idiota sempliciotto, quello interpretato dall’eternamente compianto BRUNO GANZ nel film del ’79 è riflessivo, pensoso, quasi taciturno. “Sarà bello stare lontano da questa città per un po’. Stare lontano da questi canali che finiscono per portarti sempre al punto di partenza” afferma guardando fuori dalla finestra, quando scopre di dover partire per la missione di tipo lavorativo a causa della quale conoscerà Dracula. E poi c’è lei, la moglie dell’agente immobiliare, personaggio decisivo e fondamentale in ogni versione della vicenda. ISABELLE ADJANI è meravigliosa e strepitosa nel dar corpo e anima all’essere umano che, per paradosso, più assomiglia al mostruoso Nosferatu: malinconica, triste, sofferente. Lei ha il presagio addosso, ce l’ha nel sangue, percepisce il Male avvicinarsi, i suoi incubi la avvertono e le dicono che qualcosa di orrido capiterà. Il capolavoro del ’79 è tale anche per merito suo.

Se dunque il film muto del ’22 ha il merito di essere stata la prima pellicola di un nuovo genere capace di far presa sulle nostre emozioni più profonde e ancestrali quali spavento, paura, terrore, panico, e dimostrarsi rivoluzionario, quello di Herzog va applaudito per come riesce a prendere la stessa vicenda e partendo da quella, introducendo le parole e il sonoro, regalarci un’opera paradossalmente silenziosa, fatta di inquadrature spettacolari, una fotografia sensazionale, sequenze cariche – più che di paura – di una tristezza angosciante in sottofondo che si fa via via sempre più “rumorosa” nel suo silenzio. E tutto questo ci porta alla sua ultima trasposizione, quella che ci ha spinto a scrivere questa Grande Sfida diversa da tutte le altre, perché a questo giro i contendenti non son due, bensì tre!

È il 2024. Un altro remake. Che io accetto, in questo caso? Ebbene… sì. Dopo Murnau ed Herzog, dobbiamo in questo caso applaudire al Genio di ROBERT EGGERS, tra i più grandiosi talenti cinematografici attualmente in circolazione. Pure in questo caso la vicenda, guardando alla trama e ai fatti salienti, rimane grosso modo la stessa. Certo, Robert è quello che si permette qualche libertà in più, fa qualche modifica qui e là, soprattutto per quanto concerne la relazione tra il Mostro e la Donna, il Vampiro e l’Umana, Nosferatu e la moglie dell’agente immobiliare. Personaggio decisivo in ognuna delle tre pellicole, dicevamo. Se nel ’22 lei era una donna triste con brutti presentimenti e nel ’79 la Adjani l’avrebbe resa una sorta di malinconica Cassandra con la puzza del Male addosso e capace di guardare in faccia Nosferatu dialogando con lui sulle loro reciproche sofferenze, nel caso di quest’ultimo film è lei la vera protagonista della vicenda narrata. Lei e il Mostro si conoscono di persona da molto prima che il film cominci. L’una sa chi è l’altro, e viceversa. Lodevolissima la performance di LILY-ROSE DEPP. Ma ancor di più quella del marito: l’attore NICHOLAS HOULT, tra i migliori interpreti della sua generazione e mi sento di dire della Storia della Settima Arte, ha il compito non facile rispetto allo sciocco del ’22 o al riflessivo malinconico del ’79, non ha caratteristiche peculiari a cui aggrapparsi. Deve impersonare un uomo comune e normale che si ritrova a vivere una vicenda tutt’altro che comune e normale. Emergere con un personaggio ordinario, soprattutto se attorniato da personaggi straordinari eccentrici e sopra le righe, in una narrazione che non ha nulla di ordinario, è un’impresa impossibile. Ma non per Hoult.


Eggers confeziona dunque un remake di cui avremmo potuto sentire il bisogno, specie perché fatto con passione e con l’intento di “aggiornare” la vicenda realizzando un film più simile alle pellicole horror prodotte oggigiorno. Ne esce fuori un poema visivo grandioso che è pura estasi per gli occhi, a livello estetico è una perla che non sfigura per niente rispetto ai due illustrissimi predecessori. Oltre a questo suo desiderio di aggiornare la vicenda, due son essenzialmente i grandissimi sconvolgimenti e cambiamenti che porta. Uno è il personaggio di Lei, che diventa protagonista come in nessun’altra versione e che ha un rapporto diretto con “La Creatura”. Il secondo è Lui, Nosferatu. Lo impersona il sempre ottimo BILL SKARSGÅRD, ma avrebbe potuto interpretarlo chiunque altro per quanto compare nel film. Nel ’22 il vampiro era manifestazione fisica mostruosa del terrore più puro, nel ’79 rappresentazione tangibile e soprattutto umana di grandissima sofferenza, ma nel 2024 egli è assenza paurosa. Sì, perché questo Nosferatu non è quasi mai in scena, finendo per essere però un’assenza sempre presente, che permea l’intera pellicola, che si fa sempre sentire anche quando effettivamente non c’è. Soprattutto, rispetto ai due precedenti, il regista quasi non ce lo fa mai vedere in faccia o nella sua interezza, ma ce lo fa desiderare per tutto il tempo. In una maniera, trovo, non dissimile da quanto fece il Maestro Steven Spielberg, uno dei miei idoli più grandi, col suo «Lo Squalo» (1975).


Un viaggio, quello che abbiamo affrontato con Nosferatu, lungo oltre un secolo, che ci fa capire questo:
Vi sono certe Storie, certe figure, certi personaggi che ti entrano dentro e poi non se ne vanno più. Cambiano forma, colore, dimensione. Ma rimangono loro. E questa è la vera immortalità, quella bella, quella che è piena di Vita e Forza e Amore. E che non conosce il Peso del Tempo che passa.
Ma chi vince, alla fine? La mia risposta a questa domanda è chiara, ma non voglio influenzarvi. Che ognuno possa trovare la sua risposta nel proprio cuore. Sempre che ce l’abbia e non sia invece… un vampiro!


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