DI ALBERTO GROMETTO
Chi o cosa esattamente è, o deve essere, un eroe per essere chiamato tale?
Superpoteri incredibili? Abilità eccezionali? Un’energia cosmica fuori dal comune?
Be’, certo che se avessimo la possibilità di volare e si potessero sparare raggi laser dagli occhi sarebbe ottima cosa! Però così sarebbero tutti bravi a “fare l’eroe”.
No, la verità è che essere eroi è un’altra cosa.
Il vero eroismo non deriva da una qualche forza sovrumana concessaci dal Cielo o dalla Sorte, né dipende da quanti nemici riesci a sconfiggere. Il vero eroe non è colui che è sempre perfetto, e non sbaglia mai. Gli eroi sono anzi coloro che, pur sbagliando, nella loro debole vulnerabilità, rimangono in piedi, non si lasciano abbattere e vanno dritti per la loro strada, anche se dura, anche se difficile, anche se la tentazione di fare la cosa più semplice, o in alternativa l’arrendersi, sarebbe più allettante. Questo è essere eroi: essere umani, che in quanto tali sono deboli e sbagliano, ma che proprio perché sono umani non si fanno sopraffare e continuano a lottare.
Sulla carta due pellicole che hanno un unico protagonista maschile dentro la sua auto pressoché tutto il tempo, senza apparentemente tirare in ballo altri personaggi e che descrivono una vicenda che vede questo uomo solo che in qualche modo si ritrova a “dover lottare” e a combattere una battaglia che gli sta cambiando la Vita, potrebbero sembrare lo stesso identico, tale e quale, tipo di film.
Eppure i due contendenti di questa Grande Sfida, pur avendo un solo personaggio dentro la sua macchina e con tutte le caratteristiche di cui sopra, sono due film completamente, totalmente, assolutamente diversi tra loro: direi anzi diametralmente opposti! Pur raccontando ambedue una storia di vero eroismo.
Da una parte abbiamo IL PRIMO FILM IN ASSOLUTO di quello che quasi per chiunque è il primo regista che viene in mente quando si pensa al concetto stesso di regia cinematografica: il Maestro e Genio Sovrumano (lui sì che sembra davvero avere cosmici superpoteri eccezionali!) STEVEN SPIELBERG!!!

Dall’altro lato abbiamo una produzione targata A24, quella che ai miei occhi è la casa cinematografica più grande e brillante e originale e fortissima attualmente in circolazione, che fa quello che non fa nessun altro, e cioè concedere a folli visionari la possibilità di realizzare le loro folli follie, su cui nessun altro scommetterebbe, proprio come nel caso del britannico STEVEN KNIGHT, sceneggiatore e regista di questa pellicola, che se ne uscì con questa idea che vedeva un unico personaggio nella sua macchina presente in tutto il film.

E così ci ritroviamo a confrontare quelli che per me sono DUE MASSIMI CAPOLAVORI DELLA SETTIMA ARTE.
Da un lato il film risalente al 1971 conosciuto come “DUEL”.

Dall’altro, più di quarant’anni dopo, un’opera del 2013: “LOCKE”.

Partiamo dal primo!
Spielberg non era ancora IL MAESTRO SPIELBERG, ma il giovane ventiquattrenne Steven, che aveva da poco mollato l’università di lingua e letteratura inglese per darsi alla sua vera passione, la Settima Arte. Aveva diretto qualche cortometraggio e diverse serie e show televisivi, quando gli si presentò la grande occasione della Vita: un film tutto suo!
La cosa più vicina ad un film che aveva fatto fino a quel momento era stata una sua piccola personale produzione gestita per conto proprio quando non aveva che diciassette anni, finanziata dal padre, e che aveva richiesto un budget di soli 500 dollari. Basato su una storia scritta dalla sorella Nancy, questa epopea fantascientifica spielberghiana si chiamava “Firelight”, parlava di ufo alieni e venne girata nei weekend tra la casa dello stesso Steven e il suo garage. I genitori gli fecero da produttori, e venne proiettato in un’unica sera in un solo cinema, il Phoenix Cinema, affittato dal padre di Spielberg. In totale la sala ospitò 500 persone quella notte, e il biglietto costava un dollaro, in modo da coprire le spese nella loro interezza. Ma, come ricorda Steven, ci fu anche un profitto di un dollaro: uno degli spettatori, vuoi per generosità vuoi per distrazione, pagò il doppio.
Capite dunque che quando si ritrovò nel ’71 a dirigere il suo primo vero film… il giovane Steven decise che avrebbe dato tutto. La produzione gli concesse solamente dieci giorni per le riprese. Lui accettò, ma gli ci vollero alla fine tredici giorni. Porse le sue scuse al produttore per il ritardo, al che questi gli disse che in realtà nessuno al mondo sarebbe stato capace di girare una pellicola in soli tredici giorni, figurarsi in dieci!
Ma di cosa racconta DUEL?
Lo dice il titolo stesso, di un duello. Quello che vede un uomo comune, normale, come tanti, scontrarsi con ciò che altro non può che essere definito come il Male Assoluto. Perché DAVID MANN quella particolare mattina sta attraversando in solitaria il deserto californiano. Si tratta di un viaggio di lavoro, come tanti altri. E lui è un uomo tranquillo, come tanti altri. Sua moglie, al telefono, lo rimprovera per non aver fatto nulla la sera prima, quando un loro amico si mise a flirtare fastidiosamente e insistentemente con lei. Dopodiché, riparte lungo la strada. Solo. Ci sono lui… e un gigantesco camion. Il camion è molto lento, e così David lo supera. Ed è allora che sprofonda nel peggiore degli incubi infernali. Perché quel camion non lo lascerà più andare: lo tallonerà costantemente, lo inseguirà incessantemente, tenterà di spazzarlo via in ogni modo possibile.

Il duello che vediamo andare in scena è una diabolica sfida adrenalinica che lascia senza fiato, fatta di terrorizzante tensione, greve suspense drammatica e un senso di panico e pericolo costante, che t’attanaglia tra luoghi desertici e isolati, ove la sola presenza è il camion, QUEL camion, gigantesco, garguantesco e quasi demoniaco. Chi lo guida e perché faccia quello che faccia non ci è dato sapere. Il respiro ci viene a mancare, il cuore batte all’impazzata, il sudore riga la fronte mentre quell’emissario del Male, perché sembra proprio che faccia quello che fa solo per fare il Male, rincorre David, e noi con lui. Quel maledetto muso (quel GENIO ASSOLUTO di Spielberg scelse del resto proprio quel camion specifico sulla base del suo muso, che voleva ricordasse una faccia) ci si para sempre davanti, mentre la musica martellante della colonna sonora ci risuona nelle orecchie e ci atterrisce, e ogni inquadratura potrebbe essere l’ultima. Mann non è un eroe, né tantomeno un cavaliere dall’armatura scintillante. Ma come ci suggerisce la pronuncia del suo stesso cognome: è un uomo. Un uomo come molti altri. Ma che si ritrova però a dover reagire. Il Male entra d’improvviso nella sua vita con uno schianto, e lui potrebbe arrendersi, lasciar perdere, come nel caso dell’amico e della moglie. Ma se in questo caso lo fa, sarà una resa definitiva. E lui invece vuole vivere. E dunque non può far altro, dopo essere scappato a perdifiato, che fermarsi, accettare la sfida e lottare.
«Non si può mai dire, non si può mai dire. Uno crede che certe cose siano abbastanza naturali: come per esempio guidare la macchina senza che qualcuno cerchi di ammazzarti. E invece tutto a un tratto qualcosa cambia e per mezz’ora della tua vita perdi ogni contatto con il mondo civile e ti senti come se fossi di nuovo un selvaggio nella giungla».
David Mann, nel film “Duel”
Pure IVAN LOCKE, protagonista dell’altro film, è un uomo normale e comune. Come tanti altri. E anche lui si ritroverà da solo, in macchina, a vivere la più Grande Sfida della sua Vita, contro le Forze del Male. Eppure si tratta di una sfida completamente diversa da quella di Mann. Perché David si è ritrovato in quell’inferno suo malgrado, e una volta lì dentro ha dovuto reagire. Nel caso di Ivan invece c’è stata una scelta precisa, c’è stata un’azione piuttosto che una reazione, un agire anziché un reagire.

Locke non sta andando al lavoro, ma sta tornando a casa dal lavoro. È sera, tra pochi minuti c’è la partita: un’ottima occasione per stare con la famiglia. Quando però si ferma ad un semaforo, inizia a pensare. Scatta il verde. E lui cambia direzione. Ha deciso di agire. Lo ha scelto lui. Ed è qui che il film comincia. Il Male nel suo caso non è un camion infernale che lo insegue e se la prende con lui fino a quando non verrà distrutto. No, trattasi di un altro tipo di Male. Il Male che si ha dentro. Perché Ivan ha commesso un errore mesi prima, ha fatto uno sbaglio. E adesso, anche se poteva decidere di infischiarsene, prende una scelta, quella che gli fa cambiare strada e lo fa andare dall’altra parte. Non è detto che ne uscirà vincitore. E, anzi, si prenderà “tanti colpi”. Ma avrà fatto qualcosa di molto più importante che vincere: avrà fatto la cosa giusta.
Pure LOCKE è un film ansiogeno, fatto di tensione crescente e panico sottocutaneo. Ma è un tipo di suspense completamente differente. Anche qui il protagonista è solo e soltanto un uomo, un uomo solo, nella sua auto. E affronterà il Male, il Male delle sue azioni, ma soprattutto quello stesso Male che vorrebbe fargli ignorare ciò che ha fatto. Ma lui non ignora, lui si assume le sue responsabilità, e il Male lo sconfigge in questo modo. Per tutto il tempo del film lui da quell’auto, diretto verso una meta precisa e che è quella giusta, parlerà al telefono, organizzerà, farà e disferà, mentre in gioco vi è la sua esistenza, in ogni sua sfaccettatura, professionale così come sentimentale, emotiva così come lavorativa. Il rischio di andare a sfracellarsi, non con l’auto ma piuttosto metaforicamente parlando, è altissimo. Tutti gli altri personaggi in scena non sono in scena, ma sono solo voci che parlano al telefono con lui, quell’Ivan sul quale e attorno al quale è costruito l’intero impianto narrativo del film, colui con cui stiamo tutto il tempo, lui e nessun altro.


Ecco, la Grandezza di un film come “Locke” sta proprio anche in questo: nel suo attore protagonista. O sarebbe meglio dire: unico attore. Son veramente rari e preziosi quegli interpreti capaci di stare davanti alle cineprese da soli per un intero film di quasi un’ora e mezza: ma fortunatamente esiste TOM HARDY, che è una Divinità della Recitazione e che ci fa sperimentare, stando sempre al volante di quella macchina, cosa significhi vedere la propria esistenza crollare in pezzi mentre intanto si sceglie di fare quello che è più giusto, mentre intanto tutto cade ma sei Tu a non cadere. Ma non è il solo Hardy a reggere sulle sue spalle il film: caratterizzato da una regia assolutamente indovinata e sicura, girato per intero per otto notti consecutive dal 18 Febbraio fino al 25 Febbraio 2013, così che in fase di montaggio si potesse scegliere la versione migliore di ogni singola scena, la sceneggiatura la fa da padrone, imbastendo una vicenda che nella sua semplicità è profondamente umana perché si spoglia di tutto. Si spoglia di un antagonista vero e proprio, di cambi di location e accadimenti. Le azioni della trama sono ridotte al minimo, al nulla. Almeno sulla carta. Perché sì, lui sarà sempre seduto su quell’auto. Ma intanto sta agendo, e sta cambiando la sua esistenza. Un plauso anche agli interpreti esclusivamente vocali, che conferiscono alla vicenda narrata emozioni d’ogni tipo: si ride anche parecchio nel corso del film, per quanto la tensione drammatica sia sempre presente sottopelle.
Nel caso di “Duel” invece ci ritroviamo davanti a un’operazione narrativa completamente diversa. L’introspezione psicologico-emotiva del protagonista e l’analisi delle sue scelte e di quello che fa, non sono il centro focale della pellicola. Se Ivan passa sotto la nostra lente d’ingrandimento tutte le volte che si ritrova a dover spiegare qualcosa a qualcuno al telefono, o quando si arrabbia con una presenza invisibile seduta dietro e che osserva dallo specchietto retrovisore e che altri non è che il suo stesso padre, di cui non vuole commettere gli stessi errori… nel caso di David, lui è semplicemente un uomo che cerca di sopravvivere. L’interpretazione straordinaria di DENNIS WEAVER, tesa a restituire quell’ansia e quella tensione e quel panico terrorizzante e disperato ma che ancora anela alla vita, è formidabile: le sue urla, i suoi versi gutturali, il suo respiro affannato sembrano reali. Ma non è certo la sceneggiatura la ragione per cui questo film ha fatto la Storia e ha lanciato Steven Spielberg nell’Olimpo del Cinema, al punto che nel corso della sua carriera sarebbe arrivato a plasmare quella che è la Settima Arte. La Vera Grandezza di questo film sta nella sua regia, perché quel giovane folle di 24 anni consegna al Mondo Intero una lezione su cosa veramente voglia dire essere un autentico regista: uno che si mette al servizio della storia che racconta e fa tutto quello che è in suo potere perché quella narrazione venga veicolata, per far sì che quelle immagini e quel modo di narrare veicolino le emozioni che devono essere veicolate. Quando Mann scappa, il montaggio è frenetico e ricco di inquadrature tutte diverse, senza che ci possa essere dato un momento per respirare. Quando si riposa tra un inseguimento e l’altro, ecco allora che vi è un piano sequenza lungo, nessun taglio, così da rilassarci visivamente anche noi, insieme a lui. Questo è essere davvero un REGISTA!!!


Due pellicole dunque completamente e totalmente differenti, pur basandosi su un unico attore che interpreta un uomo comune che deve però lottare contro il Male dimostrandosi dunque un Eroe. Due film talmente diversi eppure talmente belli e straordinari che… che, davvero, stabilire un vincitore non ha senso. Sarebbe sbagliato.
«Tra una sola volta e nessuna volta ci passa il mondo intero. È la differenza tra il Bene e il Male».
Questo lo dice la moglie di Locke al marito. Ha ragione, vi è tutta la differenza del mondo tra una sola volta e mai. Perché basta un solo errore, che tutto si sgretola. E basta un solo camion impazzito che ti vuole uccidere, per rischiare di morire. Il punto però è come sei fatto tu, se sei in grado di reagire ai colpi, se vuoi prendere la scelta giusta anche se potrebbe distruggerti. Guardiamo quindi, non a caso, alla marca dell’automobile di David: VALIANT. Cioè: Valoroso.


La Vita può essere orribile, e non sai mai quello che ti capita. Ma su una cosa puoi avere controllo, e cioè su di Te e su chi scegli e cerchi di essere. E sia David sia Ivan, ognuno a modo suo e per ragioni diverse, scelsero però di essere degli EROI.


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