DI ELODIE VUILLERMIN
“Forse okay sarà il nostro sempre”.
Hazel è nel fiore dei suoi anni. L’adolescenza, in fondo, si può paragonare a questo: un fiore appena sbocciato, pronto a crescere ancora di più, avido di sole e di vita. Peccato che il fiore di Hazel si stia appassendo. La colpa è del cancro. Subentra la depressione, accompagnata da un atteggiamento indifferente e quasi disilluso verso la vita. La madre la costringe a frequentare gruppi di supporto, ma per lei quella non è vita. È solo un eterno raccontare i fatti propri a un gruppo di estranei con i quali non riesce a trovare il senso di solidarietà per il fatto di essere tutti segnati da una malattia. I polmoni difettosi di Hazel sembrano tornare a respirare normalmente quando incontra Augustus, ragazzo estroverso, esuberante e positivo che a causa di un osteosarcoma ha dovuto amputarsi una gamba, ora rimpiazzata da una protesi.
Hazel si è fatta più rassegnata nel corso degli anni. Adora la famiglia e gli amici, ma a volte sente che le stiano un po’ troppo addosso e finisce per usare la stanchezza come scusa per congedarsi in fretta. Che poi scusa non è, o almeno lo è al 50%, dato che è stancante respirare con dei polmoni destinati a riempirsi d’acqua. Non solo, sente che con i suoi coetanei le interazioni sono sempre un po’ impacciate, quasi forzate, come se avessero il timore di dire la minima cosa sbagliata. Per loro rivolgerle la parola è un continuo camminare sulle uova, il che alla lunga è irritante, perché così è un’ammissione silenziosa che si sentono a disagio accanto a lei, che la natura “non normale” di Hazel è difficile da accettare per loro. Ma dimenticano una cosa: che è ancor più difficile da accettare per Hazel stessa.
Lei vorrebbe vivere, parlare, provare dei sentimenti come ogni ragazza normale. Lo vorrebbe davvero. Ma ha paura. Se si legasse a qualcuno e poi quel qualcuno non ci fosse più? E se invece fosse lei a sparire prima della sua metà? Sarebbe l’equivalente di averlo illuso con promesse d’amore fittizie. Già i suoi genitori soffrono per la sua condizione, non vuole far soffrire nessun altro. Si paragona ad una granata che prima o poi esploderà. Lei teme il momento dello scoppio e le vittime che causerà. Per questo esita a lasciarsi andare.

Augustus cerca di trattare la sua condizione con fare scherzoso, stuzzicando con malizia Hazel. Mantiene il suo entusiasmo e la voglia di vivere nonostante tutto. Eppure dietro quel sorriso si nasconde una grande paura: quella di sparire senza aver dato niente al mondo, di non aver fatto nulla di memorabile in cambio della vita. Si sente impotente quando non riesce a fare le cose da solo.
Le loro malattie li hanno fatti avvicinare. È d’obbligo, per ogni protagonista di una storia, avere quella che si chiama una ferita dentro di sé, sia essa l’abbandono di un genitore, un trauma, una malattia, qualsiasi cosa possa generare un conflitto. Hazel e Augustus hanno visto le reciproche ferite, se le sono mostrate, le hanno esplorate e accettate a vicenda. Non solo. Grazie ad Augustus, Hazel impara a capire che lei non è la sua malattia, che sono la personalità e le passioni a definirti una persona speciale, e non il cancro. Per questo la loro storia d’amore funziona. È magica nella sua fragilità, stupenda perché non eterna e ancor meno duratura delle coppie normali. Nonostante una parte di te sappia qual è l’epilogo a cui andranno incontro, ci speri nel lieto fine.
Il cancro non è qualcosa su cui scherzare. È una belva distruttrice che ti divora da dentro. Quando succede a un adulto, è brutto. Ma se ne è vittima un bambino o un adolescente, è peggio. È innaturale. È sbagliato. Eppure capita. Se ti colpisce gli occhi, rischi la cecità e non vedere più la faccia dei tuoi cari è una tortura. Se colpisce le ossa, può prendersi un tuo arto, se non tutti, fino a smontarti come una torre di Lego.
La cosa peggiore del cancro, però, è quello che fa agli altri, ai cari intorno a te. Vivono ogni giorno nell’angoscia di perderti da un momento all’altro. Si sentono impotenti quando una cura non c’è. E poi, c’è quello che Augustus considera la sua paura peggiore, anche più della morte: l’oblio. Lasciare questo mondo ed essere dimenticato da chi è rimasto in vita. Non riuscire a lasciare abbastanza ricordi di te. Fa venire i brividi, a pensarci. Specie per la sua inevitabilità.
“Verrà un tempo […] in cui tutti noi saremo morti. Tutti. Verrà un tempo in cui non ci saranno esseri umani rimasti a ricordare che qualcuno sia mai esistito o che la nostra specie abbia mai fatto qualcosa. Non ci sarà rimasto nessuno a ricordare Aristotele o Cleopatra, figuriamoci te. Tutto quello che abbiamo fatto, costruito, scritto, pensato o scoperto sarà presto dimenticato, e tutto questo […] non sarà servito a niente. Forse quel momento sta per arrivare o forse è lontano milioni di anni, ma anche se sopravvivessimo al collasso del nostro sistema solare non sopravviveremmo per sempre. È esistito un tempo prima che gli organismi prendessero coscienza, e ce ne sarà uno dopo”.
Ma nell’attesa, puoi fare qualcosa.
Puoi vivere i tuoi giorni approfittando di ogni momento. Puoi fare tesoro di ogni banalità. Puoi circondarti di persone speciali e seminare il tuo ricordo il più possibile. Con l’arte, la scrittura, le fotografie, le sculture, con tutto quello che vuoi. Perché io voglio crederci, che con l’Arte (e non solo quella) riesci a essere in un certo senso eterno.
Hazel e Augustus hanno certamente trovato il loro modo per riuscirci: con un sentimento che persiste nonostante la morte. Avevano una spada di Damocle sopra di loro, ma non sono rimasti fermi per il terrore di vedersela cadere addosso. Hanno corso il rischio e hanno amato. E hanno fatto bene. Poco importa com’è finita. È stato magico finché è durato.

“Gus, amore mio, non riesco a dirti quanto ti sono grata per il nostro piccolo infinito. Non lo cambierei con niente al mondo. Mi hai regalato un per sempre dentro un numero finito, e di questo ti sono grata”.
La storia, nonostante parli di temi un po’ pesanti, lo fa con una delicatezza magistrale, tipica di John Green. Tipici di lui sono anche la scrittura ironica, l’alto livello di verosimiglianza delle situazioni narrate e lo stile scorrevole e coinvolgente.
C’è una tenerezza infinita nelle interazioni tra Hazel e Augustus. Non mancano poi i personaggi secondari, molto interessanti e sfaccettati. Primo fra tutti Isaac: sta per perdere la vista e vorrebbe imprimere il ricordo del viso di chi ama nella sua mente per sempre, crede nell’amore eterno ma la sua ragazza ha smesso di farlo. Poi lo scrittore Van Houten, venerato come figura di riferimento da Hazel ma con una spiazzante verità che lascerà a bocca asciutta i lettori. Perfino i personaggi minori come Kaitlyn riescono a rimanerti impressi, con la loro personalità o le loro battute esilaranti.
Da questo libro è stato poi tratto l’omonimo film nel 2014, con la regia di Josh Boone, altrettanto emozionante e indimenticabile. Il merito è anche dei bravissimi Shailene Woodley e Ansel Elgort, doppiati da quel duo ugualmente magistrale di Manuel Meli e Rossa Caputo. Consigliatissimo a chi vuole provare emozioni forti (ed esaurire le proprie scorte di fazzoletti).


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