Civil War – Alla ricerca dello scatto perfetto, negli Stati Uniti divisi di Alex Garland

DI GIACOMO CAMISASCA

Siamo lontani anni luce dalla guerra in Vietnam e dal colonnello Kurtz, non c’è un fiume da percorrere e non c’è nemmeno tutta quella vegetazione che nasconde ogni cosa, ogni orrore.

Qui tutto si compie alla luce del sole.

In questo Civil War, diretto dal britannico Alex Garland (Ex-Machina, Annientamento), viaggiamo attraverso una Nazione, quella degli Stati Uniti d’America, divisa.

Una Nazione dove si combatte una guerra interna scoppiata a causa di alcuni eventi che ci vengono sussurrati, senza mai essere esplorati del tutto.

Come diceva il personaggio di Mr. X, interpretato da Donald Sutherland nel film JFK di Oliver Stone, “Questa è la vera domanda, non è vero? Perché? Il come e il chi sono solo diversivi per il pubblico.”

In questa guerra, in cui gli Stati della California e del Texas non riconoscono più il potere del Presidente e di fatto l’esistenza degli Stati Uniti, ci ritroviamo non dalla parte di uno schieramento, ma nel mezzo, dietro le macchine fotografiche di alcuni reporter, impegnati nel diffondere notizie e immagini provenienti dal fronte.

La fotografa di guerra di fama internazionale Lee Smith (Kirsten Dunst), il collega Joel (Wagner Moura) e l’anziano giornalista del New York Times Sammy (Stephen McKinley Henderson) si accingono a partire verso Washington, circondata dalle truppe secessioniste, decisi ad intervistare il Presidente che rischia di essere ucciso da un momento all’altro.

Prima di partire il gruppo fa la conoscenza di un’aspirante e giovane reporter di nome Jessie (Cailee Spaeny) che il giorno prima era stata salvata dallo scoppio di una bomba dalla stessa Lee.

La giovane si unirà al gruppo e partirà per un viaggio destinato a cambiarla.

Nel pieno della battaglia si combatte con le camicie hawaiane e gli occhiali da sole a forma di cuore.

Sembra in tutto e per tutto un gioco in cui è difficilissimo distinguere gli amici dai nemici, gli americani puri dagli americani presunti.

I protagonisti, con le loro macchine fotografiche sempre in mano, sono alla costante ricerca dello scatto perfetto, alla ricerca di quella storia da raccontare al mondo intero.

Bisogna che le emozioni non trapelino, bisogna rimanere lucidi e distaccati, anche di fronte all’orrore.

La logica umana va abbandonata dietro di sé, perché che logica ci può mai essere in un conflitto?

Alex Garland crea un film che non si discosta poi così tanto dalla realtà, e fa sorridere che nella terra a stelle e strisce la pellicola abbia diviso così tanto il pubblico.

Il suo racconto di un possibile conflitto interno non si perde in chiacchiere e ci porta subito nella follia dell’essere umano.

È difficile rimanere distaccati, è difficile credere che si riduca tutto a uno scatto rubato durante un appostamento o nel mezzo di un conflitto serrato in cui i proiettili sfrecciano da ogni parte.

Il film rimane per quasi due ore in uno stato di tensione costante dove in ogni momento potrebbe succedere qualcosa, in ogni momento i nostri protagonisti potrebbero trovarsi dalla parte sbagliata e allora che fare? 

Continuare a fotografare oppure cercare di salvarsi?

Fin dove bisogna arrivare per trovare quella foto? 

Quanto bisogna sacrificare di sé stessi?

Sono domande che affiorano alla mente, domande che affliggono la giovane Jessie, catapultata in una realtà senza senso, in una guerra che di civile non ha nulla.

Vi è un solo cinema nel quale andare a vedere questo film, il cinema nel quale siamo andati a vederlo noi, il nostro cinema del cuore ❤️, IL REPOSI di TORINO IN VIA XX SETTEMBRE 15: ANDATECI ANCHE VOI!!!

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