DI PIETRO BERRUTO
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario dalla creazione di Wolverine, uno dei personaggi più importanti della storia dei fumetti, avvenuta ne L’Incredibile Hulk #181, scritto da Len Wein e disegnato da Herb Trimpe, ed esce anche nelle sale cinematografiche il film a lui co-dedicato, Deadpool & Wolverine. Il personaggio, che doveva essere solo un antagonista per il Gigante di Giada, fu trascinato da Wein in Giant-Size X-Men #1, dove divenne parte della Seconda Genesi degli X-Men. Logan, quindi, fu pubblicato per sedici anni su Incredibili X-Men, scritto da Chris Claremont fino al 1991, diventando la superstar che è ora. In occasione di questo speciale compleanno ho avuto voglia di rileggere la prima serie in solitaria con protagonista il mutante con gli artigli d’adamantio, pubblicata nel 1982, scritta, ovviamente, da Chris Claremont e disegnata da Frank Miller.
Wolverine, Miller e Claremont hanno tutti e tre in comune una caratteristica: o li si ama, o li si odia. Claremont scrive in modo didascalico, eccessivamente descrittivo e ripetitivo, ed è spaventosamente geloso con i personaggi a cui è affezionato, comportandosi in modo passivo-aggressivo quando vengono, secondo la sua opinione, usati nel modo scorretto da altri scrittori. Eppure, Chris Claremont è l’uomo che ha rivoluzionato gli X-Men e ha dato loro una vera storia, comprendente testo e sottotesto. Ogni personaggio di Claremont ha una sua voce specifica, persino alcuni umani apparentemente ininfluenti apparsi per pochi numeri. Frank Miller è una di quelle poche figure del mondo dei fumetti che anche i non esperti conoscono, trattandosi di una vera e propria celebrità: 300, Il ritorno del Cavaliere Oscuro, Sin City e Daredevil: Rinascita sono tra gli albi più acclamati della storia. La celebrità giunge sempre accompagnata da critiche e perciò lo stile grafico spigoloso di Miller è sempre stato commentato negativamente da una parte dei lettori. Con il passare degli anni, in effetti, Miller ha reso i suoi disegni progressivamente più stilizzati, con scene più movimentate, quasi sfocate, e personaggi squadrati e imbruttiti. Bisogna anche considerare l’importanza delle opere scritte da Miller, criticate forse anche più di quelle solamente disegnate, nelle quali più facilmente mostra le sue opinioni politiche di estrema destra in maniera più esplicita, forse quasi nauseante, riuscendo ad allontanare diversi lettori, anche tra i più affezionati, me compreso. Eppure, nessuno nega l’impatto che Miller ha avuto sull’intera industria dei fumetti e del cinema. Wolverine invece è un personaggio che richiede spazio, nonostante per la maggior parte del tempo non sia il protagonista della storia. Wolverine si intromette nella trama, a volte con la forza, ritagliandosi uno spazio per sé, persino provocando il fastidio di alcuni lettori fanatici. Wolverine è arrogante, è rude, è maleducato ed è persino puzzolente. Eppure, Wolverine è popolare. Logan è stato per tanti anni il supereroe di punta della Marvel, secondo solo forse all’Uomo-Ragno, e ciò avvenne anche prima che i film immortalassero l’immagine di Hugh Jackman con gli artigli nella coscienza collettiva. Questi tre figuri influiscono nella miniserie in maniera coerente e omogenea, andando a creare una storia avvincente e rivoluzionaria per tutti e tre.
La storia della miniserie, di per sé, non è complessa, né intricata, né originale: Claremont non ha mai nascosto il suo amore per la cultura giapponese e, nello specifico, per i film di samurai, che ispirano fortemente, per sua ammissione, questa storia. La trama infatti inizia con Wolverine che, giunto a Tokyo preoccupato per il silenzio della donna che ama, Mariko Yashida, viene a sapere che lei si è sposata con un uomo violento, costretta dal padre che è il boss della Yakuza, Shingen Harada. Deciso a vendicare la sua amata, Wolverine affronta Lord Shingen con la spada, ma viene sconfitto con relativa facilità. Abbandonato per strada, viene trovato da una vecchia alleata degli X-Men, la ninja cacciatrice di taglie Yukio, che lo prende a lavorare con lei. Yukio e Logan legano e si crea un rapporto romantico fra i due, ma Logan vuole rimanere fedele a Mariko. La ninja porta con sé Logan ad assassinare un criminale, compito che Wolverine esegue suo malgrado: viene rivelato che Yukio lavora per Lord Shingen e questo non era altro che un piano di quest’ultimo per umiliare il mutante di fronte a Mariko, spettatrice dell’orrida scena. Wolverine, depresso, inizia una relazione con Yukio e comincia a bere frequentemente, pur amando ancora Mariko. Poco dopo, Logan capisce che Yukio lavora per Shingen e i due combattono per tutta Tokyo. Dopo il marasma, abbandonato da tutti, Logan viene illuminato da un pensiero: usato da tutti e trattato come un animale, ridicolizzato perché mutante e perché gaijin (straniero in giapponese), Logan ritrova, scavando nell’anima, la sua dignità e la sua umanità e, tramite queste, il suo onore. Logan sfida per l’ultima volta Harada, che accetta il duello; egli però tiene in ostaggio entrambi gli amori di Logan. Quando Wolverine entra nel palazzo, Mariko viene salvata da Yukio, che uccide il marito della giovane sposa; dopo un ultimo bacio, Yukio si scusa con Wolverine e chiede di combattere con lui, ma lui rifiuta l’invito: deve riconquistare il suo onore da solo. Logan, infine, si scontra con Harada, artigli contro katana, e, con molta fatica, lo uccide. Illuminati dalla luce della luna, Logan e Mariko si riuniscono e si abbracciano. Nell’ultima pagina della miniserie, gli X-Men ricevono l’invito alle nozze dei due amanti.
Claremont ha una fascinazione molto forte per il Giappone e la cultura giapponese, a volte al limite della feticizzazione. Non a caso all’interno della sua run su Gli Incredibili X-Men ci sono molti personaggi giapponesi (Sole Ardente, Ogun, Lady Deathstrike) o amanti della cultura giapponese (Sebastian Shaw o lo stesso Logan), definiti in gergo internettiano weeb. Una nota negativa è però la stereotipizzazione di alcuni elementi della storia legati alla cultura del luogo: per esempio Mariko Yashida è un “non-personaggio”, un inerte interesse amoroso per Logan, basato sullo stereotipo della fragile geisha giapponese. Si tratta di una situazione inusuale per Claremont, che ha sempre scritto personaggi femminili particolareggiati e tridimensionali. Una caratteristica positiva in Wolverine è, come scritto prima, la sua forte ispirazione dai film sui samurai, fattore evidente a chiunque abbia letto la storia. La parola sulla quale si può mettere più enfasi è più “film” che “samurai”. Il merito è principalmente di Frank Miller, le cui vignette emulano magnificamente, soprattutto nelle scene di dialogo, la gravitas tipica dei film drammatici giapponesi. I tagli tra un’immagine e l’altra sono netti, come il taglio di una spada, mimando spesso l’alternanza di campi e contro-campi. L’uso del campo lungo, sempre presente, anche se ottenebrato, all’interno delle sopracitate vignette permette l’immersione del lettore nell’ambiente notturno di Tokyo. La cosa cambia però con le scene d’azione: la differenza tra i cambi di inquadratura è più lieve, permettendo al movimento di essere più fluido, quasi slanciato. Ciò si sposa con un’altra peculiarità dello stile grafico di Miller, ovvero la distruzione dei limiti della vignetta stessa, che permette a volte ai personaggi durante i combattimenti di ignorare la fisica stessa della narrazione del fumetto e di dimostrare così la forza dei loro movimenti. Se l’obiettivo di Claremont e Miller era quello di creare una pellicola sugli spadaccini del Sol Levante, hanno ottenuto il risultato desiderato.
Non ho finora citato una delle persone coinvolte nella miniserie e credo sia il momento di introdurla: parlo di Josef Rubinstein, l’inchiostratore della serie. Le ombre sono particolarmente marcate all’interno di questa serie, soprattutto nelle scene d’azione, in cui la figura di Logan è ombreggiata nelle orbite; la sua faccia è, d’altro canto, perfettamente illuminata nelle scene discorsive. In modo evocativo, le luci e le ombre esteriori rispecchiano quelle interiori, ossia l’anima tormentata di Wolverine. Egli è un uomo, nato con artigli di animale, costretto a diventare mastino e servo di uomini potenti che sminuiscono il suo intelletto e il suo onore. Ogni volta che Wolverine deve usare i propri artigli per uccidere sa che sta attingendo alla parte oscura della sua anima e se ne vergogna, perché crede in questo modo di dare ragione ai suoi padroni. E così Wolverine pensa, anche lui, di essere null’altro che una bestia, una macchina di morte, l’ombra di ciò che è veramente. La situazione si esaspera dopo che Logan viene sconfitto e umiliato da Lord Shingen e viene privato di chi nel contesto della storia lo rende umano, Mariko. La figlia del Daimyo, invece, rappresenterebbe la vita ideale che Wolverine vuole, una di pace e di tranquillità, e la sua gelosia nei confronti di lei, non è solo un caso di possessività maschile, ma è anche terrore che venga a lui rubata la vita perfetta che desidera da sempre e che non ha mai potuto avere. Yukio, anche lei un’assassina, di conseguenza, rappresenta la tentazione di Wolverine di continuare a uccidere e a vivere nell’ombra. Wolverine è attratto da entrambe le donne, ma non ama Yukio e si sente in colpa a stare con lei; persino Yukio sa che non è giusto che loro due stiano insieme e abbandona Wolverine perché lei stessa sa che il suo stile di vita non è ciò che Logan vuole davvero. Infine, quando Wolverine rimane solo, in sincronia, Claremont, Miller e Rubinstein mostrano la loro vera bravura: illuminato dall’alto, Logan, abbandonato, capisce che è un uomo vero, nonostante tutto quello che è stato costretto a fare. Per la prima volta, Logan sorride per la gioia, felice di aver ritrovato sé stesso e si ripromette di affrontare Lord Shingen per l’ultima volta. Durante il duello con il Daimyo, Logan non combatte per vendicarsi, rabbioso come una bestia, ma duella per il suo stesso onore infangato, ottenendo l’autodeterminazione di cui tanto necessitava. Logan, dopo il duello, riceve da Mariko la spada del Clan Yashida, la leggendaria Masamune, facendo di lui ufficialmente un samurai, permettendogli ora di chiamarsi come vuole, ignorando coloro che lo chiamano “bestia”, “gaijin” o “aberrazione” per chiamarsi finalmente “marito”, “guerriero” e “uomo”. Questa narrativa si può ritrovare anche nelle pagine iniziali della miniserie, in cui Wolverine è costretto a terminare l’esistenza di un orso divenuto pazzo e perciò pericoloso a causa di una ferita infertagli da un bracconiere: se si immagina l’orso come la bestialità del protagonista, Logan è costretto ad ucciderlo, per quanto esso sia innocente, per poter stabilire di nuovo la pace. Così come scopre che la colpa non è dell’orso per il suo comportamento, Logan, riconoscendosi come una vittima piuttosto che come aggressore, riesce a perdonarsi e ad andare avanti con la propria vita.
Wolverine è un fumetto alla stregua del capolavoro che sfiora la perfezione con la punta degli artigli. Ebbe talmente tanto successo che, quando fu proposta, sei anni dopo, un’altra serie con Logan come protagonista, i numeri non furono quattro, bensì centottantanove. Nel 2011 divenne persino la base per la sceneggiatura del film Wolverine: L’Immortale. Claremont continuò a scrivere le avventure dei mutanti per altri nove anni e Miller divenne la superstar che è ancora adesso, rivisitando in un paio di occasioni il tema del samurai, come in Ronin. Logan non riuscì a sposare Mariko, come i due si erano promessi alla fine del numero #4, perché purtroppo la grande verità è che per continuare ad esistere, l’eroe della storia non può essere davvero soddisfatto, perché se lo fosse, non ci sarebbe conflitto e quindi storia: il loro matrimonio verrà impedito dal fratello di lei, Silver Samurai, in Gli Incredibili X-Men #172 e #173 e i due non staranno mai insieme ufficialmente. Eppure, terminando questa miniserie, il lettore può immaginare Logan, finalmente e definitivamente, amato e felice nel suo personale lieto fine.
Se questo articolo non vi avesse stufato con Logan, la redazione vi consiglia la visione di Deadpool & Wolverine al Cinema Reposi!
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