Taxi Driver Vs Re per una notte: Soli in una folla

DI ALBERTO GROMETTO

In un mondo sempre più popoloso e popolato come il nostro, è davvero possibile percepire solitudine? Le Grandi Città sempre più numerose, le code smisurate, la folla nella quale incappi ad ogni angolo di strada… non dovrebbero farci essere meno soli? E invece è vero proprio il contrario.

Circondato da un mare di persone, ti senti come una goccia d’acqua nel deserto. Se sei in coda, gli altri sono interessati solo ad andare avanti, non a te, che manco guardano in faccia! È dimostrato che è preferibile svenire in un posto con poche persone anziché in un luogo affollato: perché se si è in tanti la gente ha la tendenza a dare la responsabilità agli altri, a dire “E io cosa ci posso fare?” oppure “Ci pensi qualcun altro, perché devo farlo io?” e così nessuno fa niente, e il Mondo va a rotoli, e tutti stanno lì e non agiscono, la sola cosa che fanno è giudicare, giudicare e basta, e deridere, e dare la propria (non richiesta) opinione e non fare veramente niente di niente. E chi rimane indietro, chi è al fondo della coda, chi non è calcolato da nessuno, si sente come abbandonato, o meglio, è abbandonato. E agisce senza sapere cosa fare davvero. Solo. Ma, proprio anche per questo, libero di fare qualsiasi cosa.

A questo giro parliamo di due pellicole che a buon diritto possono essere definite “sorelle”. Le somiglianze sono immediatamente evidenti: entrambi i film vantano quel monumento di recitazione attoriale quale ROBERT DE NIRO nei panni del protagonista, entrambi sono diretti dal Formidabile Maestro MARTIN SCORSESE ed entrambi sono ambientati a NEW YORK.

(Robert De Niro & Martin Scorsese insieme in vacanza: non solo attore e regista, ma due grandissimi amici per la vita)

Lo Zio Marty, il ragazzaccio di strada, eroe della Settima Arte, Colui che ha forgiato intere generazioni di cinefili attraverso la sua opera immortale, ci fa dono di due delle più grandi perle non solo della sua intera filmografia ma della Storia del Cinema tutto, e per farlo usa il suo attore feticcio per eccellenza dell’epoca come protagonista e ne ambienta le vicende nella sua città, a casa sua. 

Ma, sulla carta, non sembra che questi due film abbiano altro da spartirsi… o no? 

Da una parte abbiamo le vicende di un giovane tassista newyorchese reduce della Guerra del Vietnam sul finire degli anni Settanta che soffre di insonnia e quindi fa i suoi turni solo di notte, quando la Grande Mela dà il peggio e per le strade girano personaggi squallidi e per nulla raccomandabili.

Dall’altra abbiamo un aspirante comico a metà dei trenta, agli inizi degli anni ’80, che sogna con tutto sé stesso di diventare una star amata e idolatrata, che sente di avere un talento comico non indifferente, ma che non ha mai avuto la Grande Occasione per dimostrare quello che lui è convinto di saper fare per davvero.

Il primo film risale al 1976, oggigiorno viene insegnato e analizzato e studiato in ogni scuola di cinema che si rispetti, ne ha scritto il soggetto e la sceneggiatura quell’immortale Maestro che sempre sarà PAUL SCHRADER, e si tratta di TAXI DRIVER.

(Insieme al Maestro Paul Schrader)

Il secondo invece è targato anno 1983, il titolo originale è «The King of  Comedy», sceneggiatura originale a firma di PAUL D. ZIMMERMAN, un mega flop al botteghino quando uscì, la critica di oggi ammette di aver commesso uno degli errori più grossi mai fatti a stroncarlo, e dopo più di 40 anni ancora tutti lo guardano e lo amano: trattasi di RE PER UNA NOTTE.

(Il Maestro Paul D. Zimmerman)

Ebbene, in realtà io vi dico che queste due pellicole raccontano la stessa cosa pur mettendo in scena due personaggi che sono uno il contraltare dell’altro, entrambi impersonati da un gigantesco De Niro che firma due delle cinque/sei migliori performances di tutta la sua variegata e lunghissima carriera. Eppure son due protagonisti non solo diversi, ma diametralmente opposti. Anche se proprio per questo risultano quindi così maledettamente simili, quasi “gemelli”. 

TRAVIS BICKLE è un modesto tassista notturno, taciturno il più delle volte, umile e senza pretesa alcuna, che guida il taxi, guarda la televisione, va nei cinema a luci rosse… e basta. Non ha obbiettivi nella vita.

RUPERT PUPKIN è un chiacchierone impenitente e alquanto invadente dotato di grandissima personalità, trascorre le giornate nel tentativo (vano?) di diventare qualcuno di importante, di famoso, un pezzo grosso. Il suo grande sogno è far ridere la gente, farla ridere di gusto.

C’è ancora una cosa che non ho detto su di loro. Sono entrambi soli. Vivono d’una solitudine mostruosa e talmente solitaria che quasi si rabbrividisce se ci si sofferma a rifletterci. Soprattutto, sono soli anche se vivono nella New York di quel tempo, cioè una delle città più popolose e popolate al mondo, circondati perennemente da persone. Ma sono solo estranei, nei fatti. Sia per Rupert quanto per Travis. Per quanto il loro modo di rapportarsi con gli altri sia opposto, in realtà ambedue sono due solitarie solitudini che soffrono come cani.  

Diametralmente opposti, dicevamo!

Il tassista Travis vive completamente immerso nella realtà del posto in cui abita, una realtà urbana sporca, fetida, fatiscente, piena di sporcizia “umana” d’ogni tipo e lui sta costantemente a contatto con questa realtà nella quale affonda a piene mani con tutte le scarpe. Vede talmente tanta schifosa realtà che non può che sperare che un giorno questa fetecchiosa umanità scompaia una volta per tutte.

«Vengono fuori gli animali più strani, la notte: puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l’altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre».

Il comico (aspirante!) Rupert di contro non avrebbe alcun contatto con la realtà, ne vive completamente distaccato, si perde nelle sue fantasie, passa le ore immaginandosi di star parlando con celebrità che gli chiedono favori di ogni tipo, di avere un suo programma in tv, di essere idolatrato da schiere sterminate di fan e ammiratori… quando invece la madre all’improvviso, dall’altra parte della casa, gli urla chiedendogli cosa diamine stia facendo. Egli si convince di essere un talento e che per questo gli si dovrebbe dare una chance, senza passare attraverso una qualche forma di gavetta.

«Il mio nome è Rupert Pupkin… So che il mio nome non ti importa molto. Ma importa molto a me!».

Da una parte abbiamo un personaggio veramente molto triste ma che in qualche modo è quasi, in un certo senso, un “puro di cuore” quale è Travis Bickle, che alla fine non vorrebbe altro che vivere in un mondo diverso da quello che abita e con altri tipi di persone.

(Martin sul set di “Taxi Driver” insieme all’amico e attore feticcio Robert De Niro)

Dall’altra abbiamo un mascalzone molto simpatico ma che assume contorni inquietanti, cringe e disturbanti e che è Rupert Pupkin, una nullità alquanto egoista che vuole fama e successo, ma che in realtà (maledetta e amarissima comica ironia della sorte!) è solo un tizio di cui tutti quanti sbagliano a scrivere o a pronunciare il cognome.

(Da sinistra a destra: Robert De Niro, Martin Scorsese e Jerry Lewis sul set di “Re per una notte”)

Eppure, in entrambi i casi, vi sono delle profondissime contraddizioni.

Abbiamo detto che Travis in «Taxi Driver» vive circondato da realtà. Eppure viene fuori che non la sa decifrare molto bene. Ad un appuntamento con una ragazza che incontra nel corso del film e di cui si è infatuato, anziché in un ristorante o simili la porta in un cinema a vedere un porno, incapace di rendersi conto che questa cosa non va fatta. L’appuntamento sarà un disastro, ovviamente.

E ancora: verso la fine del film un Travis Bickle sempre più disorientato e alienato si convince davvero che la sola cosa che egli possa fare per migliorare l’orribile e orrida e orrenda società nella quale vive e che se ne sbatte di lui, sia ammazzare un senatore candidato alle elezioni. Senza accorgersi che questo assassinio non farebbe del bene a nessuno, e soprattutto che è dettato principalmente dal fatto che la ragazza dell’appuntamento è una sua sostenitrice impiegata nel suo staff.

Rupert, continuamente perso nella sua immaginazione scriteriata, capisce che vi è un modo per avere un’occasione, per prendersela. Ed è rapire il suo più grande idolo, il comico Jerry Langford. Jerry è interpretato dall’omonimo JERRY LEWIS, e qui interpreta una parodia di sé stesso, dando vita ad un personaggio stanco e triste che pur avendo quella fama a cui Pupkin anela disperatamente, non è felice. E anzi, non è felice proprio perché ha quel costante peso sulle spalle, quello della fama e della gente che lo importuna e lo disturba per qualsiasi cosa. Solo perché lui è una celebrità, e gli altri no.

(Jerry Lewis insieme a Marty durante le riprese di “Re per una notte”)

Per tutto il film, Rupert gli dà il tormento, lo perseguita, lo infastidisce perché vuole che egli gli dia la sua possibilità di “essere qualcuno”. E noi siamo realmente convinti della folle pazzia di Rupert, il quale non s’accorge di essere diventato “l’inferno” del suo eroe. Ma a dire il vero, man mano che la storia procede, ci rendiamo conto che non è che Rupert non lo capisca. Semplicemente se ne frega. Lui vuole una cosa, ed è disposto a fare tutto il necessario per ottenerla. E sì, il rapimento potrebbe sembrare una pazzia disperata, ma in realtà ha perfettamente senso, e serve a Rupert per ottenere quello che vuole. E sa che così facendo lo avrà. 

E così Travis, che osserva realtà tutti i giorni, ne perde contatto e non riesce più a distinguere quello che è giusto da quello che è sbagliato. E per un caso fortuito lui, che rischiava un domani di essere considerato un brutale criminale, verrà invece applaudito come un eroe dei giorni nostri. Anche se nei fatti nulla sarà davvero cambiato.

Mentre Rupert, che vive di fantasia, si dimostra invece molto più pragmatico di Travis, e fa quello che fa per ottenere quel che vuole, per quanto sembri un folle in realtà è molto più consapevole di quel che sembra. E del resto alla fine viene fuori che, dopotutto, anche se mai lo avremmo detto, sorpresa delle sorprese!, è davvero portato per il cabaret e ha davvero un talento comico!

Alla fine entrambi i film parlano della stessa cosa: la solitudine di chi ha sofferto e soffre in una società indifferente, giudicante e che se ne frega. Sia Bickle sia Pupkin sono due persone che hanno patito terribili dolori. Il primo è stato in Vietnam e non riesce più a vivere con gli altri, è senza nessuno al mondo. Il secondo ha avuto un’infanzia schifosa, e infatti la sua comicità si basa su questo: lui pensa alle cose orribili che gli sono accadute e le trasforma in battute. 

Sono opposti, certo. Ma in un modo molto simile, in un modo malato. Nell’essere opposti sono uguali.

Travis è profondamente altruista, al punto che quando incontra una prostituta tredicenne impersonata da una giovanissima JODIE FOSTER che è l’amante del suo stesso spavaldo protettore interpretato da un formidabile HARVEY KEITEL, lui vuole aiutarla e salvarla a tutti i costi. Il fatto però è che è lei a non voler essere salvata, e a dirgli di lasciarla stare. Ma lui tira dritto per la sua strada.

(Jodie Foster & Harvey Keitel in una scena del film “Taxi Driver”)

Rupert invece, lo abbiamo già detto, è profondamente egoista. Anche lui malato narcisista sofferente come Travis. Ma mentre nel caso di Bickle questo si traduce in un comportamento teso a voler fare qualcosa per cambiare le cose per quanto sia un agire sbagliato, nel caso di Pupkin (che cognome impronunciabile!) lui fa tutto quello che fa solo per sé stesso, per poter essere al fianco di Jerry. O, meglio ancora, al suo posto. 

(Cybill Shepherd e Robert De Niro nei panni di Betsy e Travis in “Taxi Driver”)

Tutto questo, naturalmente, si rispecchia anche nel fatto che entrambi si ritrovano a voler conquistare una donna; in entrambi i casi la gentil donzella, per un motivo o per un altro, non è a loro indifferente, ma ella comunque cercherà di allontanarsi quando vedrà che tipi sono. Da una parte la Betsy di CYBILL SHEPHERD che da subito rimane colpita da un uomo come Travis che la corteggia con una qual certa onestà ma che con altrettanta onestà si mostrerà come il disadattato quale è, quando lei invece è assolutamente inserita nella società in cui vive tanto da lavorare per un senatore nella cui causa dice di credere; dall’altra abbiamo invece la Rita di DIAHNNE ABBOTT, che Rupert conosce da molto prima dell’inizio delle vicende del film, e che respinge il nostro ma al contempo ne è inevitabilmente attratta (almeno in parte), e che certamente non è un personaggio integerrimo (in una scena del film la si vede rubare) ma in fin dei conti forse non è l’amore della vita di Pupkin anche se lui la chiama “la sua regina”, piuttosto lei rientra nelle sue ossessioni, deve averla ma non perché lei è lei, ma in quanto lei è una che ha desiderato in passato ma che fino a quel momento non aveva mai avuto il coraggio di “prendersi” (come nel caso della sua Grande Occasione).

(Rita e Rupert di “Re per una notte”, impersonati rispettivamente da Diahnne Abbott e Robert De Niro)

Se Betsy sembra essere diametralmente opposta a Travis per quanto in sintonia con lui, Rita è più simile a Rupert anche se il loro rapporto è decisamente burrascoso: ma, nei fatti, il risultato che ne consegue è che entrambe sono l’epitome del senso di fallimento più grande che sovrasta le esistenze dei due protagonisti e che spingerà entrambi ad agire per quello che credono il meglio, quando invece è qualcosa di criminoso. 

Concludo citando un recentissimo cult targato 2019 che ha preso a piene mani ispirazione da entrambi i film. O sarebbe giusto dire che è direttamente il risultato della fusione delle due pellicole scorsesiane. Se «Taxi Driver» è la tesi, «Re per una notte” è l’antitesi, chi ne fa una sintesi (o vorrebbe farne una sintesi) è indubbiamente: JOKER.

Il regista e co-sceneggiatore TODD PHILLIPS ha espressamente dichiarato di essersi ispirato a questi due illustrissimi predecessori per narrare la vicende di come il malato solitario Arthur Fleck sia diventato il super-criminale dei fumetti DC Comics “Joker”, arcinemico del supereroe Batman. Ma non c’era bisogno di alcuna dichiarazione, era chiaro da sé: la storia è quella di un modesto clown solitario, taciturno e alienato che vive con l’anziana madre immerso in una realtà urbana sporca, fetida, fatiscente, piena di sporcizia “umana” in cui regna il degrado totale e che ha il grandissimo sogno di diventare una celebrità televisiva e un grandissimo cabarettista, convinto di avere un talento ineguagliabile. Vi ricorda qualcosa? 

Non a caso la GOTHAM CITY in cui Arthur vive ricorda da vicino la New York scorsesiana. Non a caso pure qua, nel film con protagonista quel Maestro Colossale di JOAQUIN PHOENIX, e che interpreta il criminale pagliaccio, ancora una volta troviamo Lui, sì, proprio Lui: Robert De Niro. Che in questo caso interpreta Murray Franklin, il comico cabarettista presentatore del programma televisivo di cui il futuro Joker è grandissimo fan (similmente a Jerry Langford/Lewis per Rupert).

(Joaquin Phoenix & Robert De Niro in una scena del film “Joker”)

La novità che Phillips introduce (o tenta di introdurre) può essere rintracciata nel finale: e cioè Arthur si rende conto di non aver niente in mano, di essere un perdente e in quanto tale “perde”. Sicuramente non vince. Prende coscienza del porco posto schifoso in cui vive. Travis e Rupert di contro, entrambi, in qualche modo che ha dello straordinario, sembra che diventino parte di quel porco posto schifoso in cui vivono. Sembra che vincano. Anche se sottolineo: SEMBRA. In entrambi i casi, a differenza di quanto accade con «Joker», il loro finale è pazzesco perché assolutamente ambiguo e totalmente contraddittorio, al punto che non possiamo essere sicuri che le cose avvengano per come davvero ci sono mostrate, in ambedue i casi la sontuosa e solenne regia di Scorsese ci lascia col dubbio. Ci porta a chiederci: Ma sta succedendo davvero? 

Il punto focale, di tutti e tre i film, è e rimane la società nella quale vige la solitudine più nera e cupa possibile. Una società piena zeppa di spazzatura, gentaglia, schifezza. E di cui nessuno sembra interessarsi, di cui nessuno vuole interessarsi. Sono tutti più preoccupati a leggere i giornali che raccontano quello che vogliono e come lo vogliono, oppure a guardare la tv e idolatrare persone finite che davanti alle cineprese ci sono finite quasi per caso ma alle quali la gente vuole disperatamente assomigliare. Trattasi di una forte critica aspra ai mass media, che alimentano falsi idoli creando menefreghismo e apatia. E chi sta male che fine fa? Chi sta male può morire. Oppure? Oppure… agire come meglio pensa.

(Da sinistra a destra: Robert De Niro, il regista Todd Phillips e Joaquin Phoenix durante le riprese di “Joker”)

Arthur Fleck sceglie di rifiutare quel mondo, di fuggirne, trova una via di vivere alternativa. Travis Bickle sembra invece rendersi conto di quanto tutto intorno a lui faccia orrore, mentre Rupert se ne frega talmente è ossessionato dai suoi sogni. Ma entrambi, quale che sia il loro amletico finale, sostanzialmente desiderano comunque far parte di quella società schifosa che li ha fatti sentire dei piccoli falliti. Desiderano comunque esserci dentro. Ma perché? Perché alla fine Travis e Rupert non vogliono che la stessa, identica, fottutissima cosa. Quello che vogliamo tutti. E che cos’è?

Amore.

Vogliono solo essere amati.

“Joker: Folie à Deux”, l’attesissimo sequel del film del 2019, Noi correremo in massa a vederlo… dove? Ma si sa, nel nostro cinema del cuore ❤️, il solo posto nel quale mai vorremo stare: IL REPOSI DI TORINO IN VIA XX SETTEMBRE 15… ANDATECI ANCHE VOI!!!

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