DI ELODIE VUILLERMIN
Ci sono personaggi che riconosci da una semplice citazione.
“Abbassa la leva. L’altra leva!”. E pensi subito a Yzma.
Poi c’è Massimo Decimo Meridio, che giura “E avrò la mia vendetta, in questa vita o nell’altra”.
E poi lui. Colui che di fronte alle difficoltà esclama spesso “Oh, rabbia!”.
Sì, lui. Winnie the Pooh. L’orsacchiotto più goloso di miele che c’è.
Lo abbiamo visto in numerose produzioni Disney, nei film in live-action, perfino in salsa horror/slasher. Ma quali sono le origini del personaggio?
Tutto cominciò da un uomo di nome Harry Colebourn. Egli era di cuore gentile e aveva sempre amato gli animali. Nato in Inghilterra, a 18 anni emigrò in Canada per studiare chirurgia veterinaria. Si laureò all’Ontario Veterinary College nel 1911, per poi trovare lavoro al Dipartimento dell’Agricoltura a Winnipeg (capoluogo della provincia del Manitoba), ma fu costretto a trasferirsi a Valcartier (Quebec) a causa dell’inizio della Prima guerra mondiale. Durante una breve sosta a White River (Ontario), il 24 agosto 1914, si imbatté in un cucciolo di orso tenuto al guinzaglio da un cacciatore che cercava di venderlo a qualcuno. Harry, mosso a compassione per quel cucciolo orfano (sua madre era stata uccisa), comprò l’orsetto per 20 dollari e lo portò con sé al campo di addestramento militare di Valcartier. Lo chiamò Winnipeg, in onore dell’omonima città, abbreviato in “Winnie”. O meglio, la chiamò, perché era una femmina.

Nelle settimane successive il legame tra Harry e Winnie si rafforzò notevolmente, e l’orsetta divenne ben presto la mascotte del reggimento. Quando Harry si imbarcò per l’Inghilterra, Winnie venne con lui. Ma quando venne chiamato al fronte occidentale, in Francia, capì che non poteva far rischiare la vita all’orsetta e che doveva trovarle una sistemazione temporanea. Così il 9 dicembre 1914 la lasciò allo zoo di Londra, giurando a sé stesso di riportarla in Canada una volta finita la guerra. Venne spesso a trovarla tra una partenza e l’altra. Intanto Winnie cresceva e diventava un’orsa adulta, ma il suo carattere mansueto era rimasto immutato, cosa che la rese in breve tempo la star dei bambini di Londra. Addirittura era così docile che i bambini avevano il permesso di entrare nella gabbia con lei, darle del cibo e cavalcarla.
Finalmente, nel 1918, la Prima guerra mondiale finì e Harry si ricongiunse con Winnie, tuttavia capì che lo zoo era ormai diventato la sua vera casa, e la donò definitivamente a quel luogo. Dopo un ultimo saluto all’amica orsa, tornò a Winnipeg, dove continuò a lavorare per il Dipartimento dell’Agricoltura e aprì un piccolo ospedale per animali nel retro di casa sua. Si sposò, ebbe un figlio e continuò a dedicarsi alla cura degli animali fino alla fine dei suoi giorni. Quanto a Winnie, ebbe una vita felice e continuò ad essere amata dai visitatori dello zoo. Quando morì a 20 anni, nel 1934, la notizia fece scalpore in tutto il mondo.
La storia di Harry e Winnie è narrata nel libro Finding Winnie: The True Story of the World’s Most Famous Bear, uscito il 20 ottobre 2015. Lo ha scritto Lindsay Mattick, la bis-nipote di Harry Colebourn.
Ma ci fu un altro uomo dal ruolo più che fondamentale in questa vicenda: fu colui che divenne il “padre” effettivo di Winnie the Pooh, Alan Alexander Milne. Egli era uno scrittore di gialli, sceneggiatore per la radio e il cinema, nonché editore di commedie per il Punch, un’importante rivista satirica. Viveva a Londra con sua moglie Daphne e suo figlio Christopher Robin. Dopo aver prestato servizio durante la Prima guerra mondiale, rimase così segnato dagli orrori vissuti da scrivere numerosi saggi contro la guerra.

Nel 1925 comprò la Cotchford Farm, una casa di campagna situata a Hartfield, nell’East Sussex, vicino alla foresta di Ashdown, conosciuta anche come Bosco dei Cinquecento Acri: quelli furono i luoghi che ispirarono le ambientazioni dei libri di Winnie the Pooh. Il trasferimento in campagna aiutò Milne a capire che, in un mondo già scosso dal ricordo della guerra mondiale, la gente non era pronta a sentir parlare ancora di guerra, ma preferiva andare avanti e dimenticare. Le serviva quindi un luogo felice, semplice e simbolo di innocenza dove potersi rifugiare per ritrovare la felicità perduta. Aveva bisogno di un modo per evadere dalla realtà.
La principale fonte di felicità di Milne era proprio il figlio di 6 anni, Christopher Robin. Per il suo primo compleanno, egli ricevette in dono un orsacchiotto di pezza da parte della ditta Alpha Farnell, che chiamò Edward. Inoltre era uno dei bambini che più rimase affascinato dall’orsa Winnie, tanto che (quando erano ancora a Londra) volle tornare più volte allo zoo con lo scopo preciso di vederla, e alla fine cambiò il nome del suo amato orsacchiotto di pezza in Winnie. Ben presto Milne iniziò a scrivere per il figlio una serie di storie della buonanotte con protagonista proprio Winnie, a cui si aggiunsero gli altri personaggi, ispirati ai peluche che la madre aveva comprato ai grandi magazzini Harrods: Ih-Oh l’asinello, Pimpi il maialino, Tigro la tigre, mamma Kanga e il piccolo Roo. Il coniglio Tappo e il gufo Uffa, invece, non derivavano da dei pupazzi di pezza, ma esistevano solo nell’immaginazione di Christopher Robin e del padre.
Il primo racconto su Winnie the Pooh (o Winny Pooh, o Winnie Puh, o Winnie-the-Pooh, chiamatelo come volete), che raccontava il volo dell’orsetto attaccato a un palloncino, venne pubblicato nel 1925 nell’edizione natalizia del London Evening News; a esso seguirono alcuni episodi raccontati via radio. Il successo fu tale che Milne si decise a scrivere un romanzo vero e proprio, pubblicato il 14 ottobre 1926, e coinvolse nel progetto un suo amico, E.H. Shepard, che si occupò di disegnare le illustrazioni. Il libro fu un successo mondiale e immediato, venne tradotto in tantissime lingue; pensate che ne esiste una traduzione in latino, Winnie Ille Pu, risalente al 1960 e che fece 21 ristampe e 125.000 copie vendute, rimanendo così tra i best-seller del New York Times per 20 settimane.
Il pubblico amava Christopher Robin, che fin da quando aveva 7 anni presenziò a eventi pubblici e godette di un’enorme fama. La cosa all’inizio gli piaceva, perché tutti volevano essere suoi amici e questo lo faceva sentire speciale. Anche i suoi genitori, accecati dai guadagni che la fama gli portava, spinsero perché il figlio fosse posto maggiormente sotto i riflettori. Al contrario, gli zii non approvavano questo stile di vita, sostenendo che in questo modo Christopher Robin venisse derubato di un’infanzia normale. Quando se ne rese conto, Milne interruppe la pubblicazione di libri dedicati a Winnie the Pooh, ma la richiesta di ristampe restava comunque elevata e il successo dell’orsetto metteva in ombra i suoi romanzi per adulti, che la critica rifiutava continuamente; questo lo frustrava assai, perché non voleva essere riconosciuto solo come un autore di storie per bambini.

Anche il lavoro di E.H. Shepard soffrì quanto quello di Milne. L’illustratore, che prima di lavorare per Milne faceva il fumettista politico per il Punch, sostenne che quanto fece per Winnie the Pooh fu solo un favore occasionale per un amico. Ma la crescente popolarità dei libri di Milne oscurò il suo precedente lavoro, ormai le illustrazioni a tema politico gli venivano criticate perché accusate di copiare lo stile di altri illustratori. Shepard era risentito per il fatto che venisse ricordato più per Winnie the Pooh che per altro, e ogni volta che gli parlavano di quel personaggio lo chiamava “quello sciocco vecchio orso”.
Ma colui che rimase il più danneggiato di tutti dalla figura di Winnie the Pooh fu proprio Christopher Robin. Nel 1930, quando aveva 10 anni, i genitori lo allontanarono dai riflettori per cercare di dargli un’adeguata istruzione, come ogni bambino normale. Tuttavia, appena fu mandato in collegio, cominciò a essere bullizzato dai coetanei, che lo prendevano in giro per Winnie the Pooh. Questo, nel tempo, lo portò a odiare quell’orsetto e il rapporto con suo padre fu rovinato per sempre: scegliendo di usare il vero nome del figlio nel libro, Milne gli aveva rubato la possibilità di avere una vita da persona comune, ed era questo che Christopher Robin non gli perdonava. E in un certo senso non posso dargli torto. Non è facile vivere all’ombra del successo di un padre impegnato a usare le storie infantili di qualcuno come mezzo per scacciare i demoni del proprio passato e i traumi vissuti in guerra.
Non solo Christopher Robin odiò suo padre, ma non aveva un buon rapporto nemmeno con la madre: la donna, infatti, si aspettava di avere una femminuccia, e obbligò il figlio maschio a travestirsi da bambina quando era piccolo. Fu la sua governante a crescerlo, poiché i genitori non si affezionarono mai realmente a lui.
L’involontaria fama dovuta a Winnie the Pooh perseguitò Christopher Robin anche quando, dopo aver combattuto nella Seconda guerra mondiale, ogni datore di lavoro a cui propose il suo curriculum lo giudicò basandosi solo sul personaggio di un libro piuttosto che assumerlo per la persona che era realmente. Anche se i libri di Milne avevano reso tutta la famiglia ricca al punto da poter vivere senza lavorare, Christopher Robin provava così tanto rancore verso il padre che rifiutò di prendere i soldi dell’eredità che Winnie the Pooh aveva lasciato.
All’età di 27 anni Christopher Robin conobbe una sua cugina da parte di madre, Lesley de Selincourt, con cui si sposò nonostante il parere contrario della madre, mentre il padre gli diede la sua benedizione. Tuttavia, dopo che ebbe aperto una libreria con la moglie ed ebbe una figlia, Clare, quest’ultima nacque con una grave paralisi cerebrale. A malincuore accettò un po’ di soldi dalla fortuna di Winnie the Pooh pur di pagare le spese mediche della figlia. Divenne anche lui, come il padre, uno scrittore, ma di libri autobiografici in cui raccontava la sua infanzia in modo poco lusinghiero, come dimostra questo estratto:
Ho sempre avuto l’impressione che mio padre avesse ottenuto il suo successo a mie spese, che mi avesse rubato persino il nome per lasciarmi solo una vuota fama.
A.A. Milne morì nel 1956, dopo che un ictus lo aveva costretto sulla sedia a rotelle. Nel Bosco dei Cinquecento Acri si può trovare una targa in suo onore. Nove anni più tardi la Disney acquistò dalla vedova Daphne i diritti per usare Winnie the Pooh e tutti gli altri personaggi dei libri. Alla fine degli anni ‘60 uscì quindi una serie di cortometraggi e nel 1977 (a 11 anni dalla morte di Walt) venne prodotto un film, Le avventure di Winnie the Pooh. La Disney rimase abbastanza fedele al materiale di partenza: in un primo momento adattava le storie originali di Milne, poi iniziò a crearne di nuove. Inoltre introdusse personaggi inediti, che non erano frutto della fantasia di Milne, come De Castor. Nel 2001 Disney comprò il resto dei diritti (quelli dei libri) per 350 milioni di dollari. C’è da dire che ha fatto un affare, considerando che tutto il merchandising legato all’orsetto sciocco goloso di miele frutta alla Disney oltre 1 miliardo di dollari l’anno.
Tornando a Christopher Robin, dopo la morte del padre con cui peraltro aveva rapporti minimi, smise di vedere anche sua madre. Fu quando compì 60 anni che disse di poter finalmente guardare i libri di Winnie the Pooh senza crollare. Si spense nel 1996 all’età di 75 anni.
I suoi peluche vennero donati al Donnell Library Center di New York, dove sono conservati ancora oggi. L’unico mancante è il piccolo Roo, perduto intorno agli anni ‘30 in un frutteto.


Se ami Winnie the Pooh, non potrai non amare pure il caro Tigro: e allora pigia qua sopra!!!