Re-SUSHI-tiamo la tradizione – Compendio culinario scientifico

DI FEDERICA CANNATA

Sushi. Quando si parla di Giappone questa è una delle prime parole che ci balzano alla mente. C’è chi lo ama e chi lo odia, difficile trovare delle vie di mezzo, ma, inevitabilmente, tutti lo conoscono. 

Ma come e quando nacque il sushi? Per scoprirlo dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di circa 2.400 anni…

La storia del sushi

Ci troviamo nella zona del Sudest asiatico, nel quarto secolo a.C, al tempo il riso veniva accostato al pesce crudo ma con scopi diversi da quelli attuali. Il riso cotto, insieme al sale, veniva infatti utilizzato per la conservazione del pesce, che poteva così essere consumato anche dopo molti mesi.

Il sushi, per come lo conosciamo oggi, compare in Giappone molto più tardi, nell’ottavo secolo d.C., quando, su influenza della cultura cinese, si inizia a mangiare il pesce fermentato assieme al riso. Lo stesso riso che prima veniva buttato quando arrivava il momento di consumare il pesce. 

La prima tipologia di sushi fu l’oshizushi, una polpetta di riso al cui interno veniva inserito il pesce crudo. Da allora un’infinità di varianti fece capolino: si iniziò ad aggiungere aceto di riso e verdure, si moltiplicarono i possibili ingredienti, cambiarono le dimensioni.

Oshizushi. Credit: explorejapan.net

Solo con la fine della Seconda Guerra Mondiale però questo piatto travalicò i confini nazionali e si diffuse oltreoceano, prima in America e poi in Europa. Nacque così il Philadelphia-maki, si iniziò a mettere l’alga non più solo all’esterno ma anche all’interno, si aggiunse l’avocado, si crearono sushi vegetariani. L’inevitabile contaminazione culturale.

I primi ristoranti di sushi –sushiya– in Italia risalgono invece agli anni ’70, locali gestiti da giapponesi trasferitisi in Italia e all’inizio frequentati prevalentemente da connazionali nipponici. L’abitudine di mangiare pesce crudo non era infatti consuetudine tra il popolo italiano e ci volle un po’ prima di riuscire a superare le barriere culturali e innamorarsi definitivamente del sushi. 

(Il sushiya Poporoya a Milano, il primo aperto in Italia.)

Attualmente in Italia si possono contare un numero imprecisato – ma molto corposo – di ristoranti di sushi. Oserei dire però che quasi, se non tutti, i locali con formula “all you can eat” non abbiano una gestione nipponica. È interessante inoltre notare come i ristoranti più “autentici” spesso non abbiano nel loro menù il sushi. Questo è dovuto a una discrepanza culturale tra la cucina giapponese autentica e quella importata. Una tipica famiglia giapponese infatti mangerebbe soba, zuppa di miso e tonkatsu nella propria quotidianità; il sushi sarebbe un piatto per le occasioni speciali. Un po’ come se noi ci mettessimo a mangiare le lasagne tutte le settimane, a parte Garfield (che però è un gatto americano) non ho ancora conosciuto nessuno tanto vorace.

Parentesi scientifica: il processo di fermentazione

Come mai il riso cotto permette una così buona conservazione del pesce?

Tutto merito della fermentazione! La fermentazione è un processo portato avanti da alcuni microrganismi che permette loro di ricavare energia tramite la degradazione di molecole organiche in assenza di ossigeno. Gli agenti alla base di questa fermentazione in giapponese vengono chiamati kōji. La loro scoperta permise, non solo una maggiore conservazione di carne e pesce, ma anche di iniziare a produrre bevande alcoliche come il sakè o alimenti come la salsa di soia. 

Dal punto di vista tassonomico stiamo parlando del fungo Aspergillus oryzae che tramite la fermentazione del riso rende l’ambiente particolarmente acido. L’elevata acidità, insieme all’alto contenuto di sale, utilizzato anch’esso per la conservazione, contribuisce a rendere inospitale l’ambiente per i microrganismi patogeni. Ma non finisce qui! Questi funghi permettono anche di migliorare le qualità nutritive del pesce, contribuendo alle proprietà antiossidanti, antitumorali e antimutagene di questa pietanza.

Il Sushi oggi: una questione di sostenibilità

Ai livelli più alti il sushi si può considerare una vera e propria arte che si impara da grandi Maestri, si inizia a lavare le stoviglie usate nella preparazione e dopo circa due anni di apprendistato si è forse imparato come cuocere perfettamente il riso. È un percorso lungo e nel quale si può sempre migliorare, alla ricerca continua della perfezione.

I grandi Maestri di sushi scelgono personalmente il pesce, valutando gli esemplari di maggiore qualità e rispettando rigorosamente la stagionalità delle varie specie.

(Jiro Ono, uno dei più grandi maestri di sushi. Credit: www.japantimes.co.jp)

Questo non avviene normalmente nei ristoranti che tutti noi frequentiamo, dove si trovano sempre le stesse e più conosciute tipologie di pesce. Cosa comporta questo? La conseguenza è che non vengono rispettati i cicli vitali del pesce. Le specie ittiche hanno infatti periodi di riproduzione e crescita specifici che, se rispettati, permettono il rinnovamento delle popolazioni marine. Non rispettare la stagionalità del pesce si traduce in uno sfruttamento eccessivo delle risorse e, in ultima ratio, all’esaurimento delle stesse. 

Così avviene, per esempio, per il tonno rosso, specie che a causa del suo valore economico è stata soggetta a pesca illegale ed eccessiva, o per alcune specie di salmone reale. Pesci che, inoltre, sono predatori e la cui assenza va ad alterare profondamente l’equilibrio ecosistemico perché molti organismi si trovano senza il proprio predatore naturale. 

A tutto questo poi si aggiungono i cambiamenti climatici che contribuiscono ad aumentare gli impatti negativi su specie già provate dalla pesca sconsiderata.  

Se da una parte gli allevamenti di acquacoltura aiutano perché contrastano il fenomeno della pesca eccessiva, dall’altro essi non rappresentano una soluzione definitiva. Hanno, infatti, un elevato impatto ambientale e sono fulcro di diffusione di malattie.

E allora? Cosa possiamo fare per ridurre l’impatto del consumo di sushi?

Sicuramente ridurre la frequenza con cui andiamo a mangiarlo. Se invece di andarci una volta al mese ci andassimo una volta ogni due mesi faremmo un favore al pianeta e potremmo comunque toglierci lo sfizio di consumare questa pietanza.

Per chi ne avesse l’opportunità economica, inoltre, ci si può dirigere verso dei locali più costosi ma con una qualità del pesce sicuramente migliore. 

In Giappone, per esempio, è popolare l’Omakase, che letteralmente vuol dire “fai tu”, una tipologia di menù in cui è lo chef che sceglie quale pesce cucinare nella preparazione del sushi che mangerai. Questo ovviamente non è sempre sinonimo di un menù completamente sostenibile perché è a discrezione dello chef ricercare, e riuscire a trovare, risorse sostenibili. E anche quando c’è la buona volontà non è sempre così semplice riuscire a trovare dei distributori che vendano prodotti stagionali e locali, soprattutto se ci troviamo in una località non marittima. Possiamo dire che essere sostenibili è un lavoro a tempo pieno!

Questa tipologia di locali sta iniziando a diffondersi anche in Italia, e laddove non ci fossero basterebbe trovare dei ristoranti che non propongono un menù fisso ma variabile con l’alternarsi delle stagioni.

(Iyo omakase a Milano, uno dei pochi locali omakase in Italia. Credit: www.lucianopignataro.it)

Se parliamo, invece, di pesce in generale meglio prediligere pesce non surgelato. Ricerchiamo delle pescherie o venditori rionali che siano attenti alla questione della sostenibilità.

Lo possiamo capire anche dalla varietà di pesce offerto, che dovrebbe cambiare durante l’anno, e dall’origine del pesce stesso, che dovrebbe provenire da località non troppo distanti. Potrebbe essere anche un’opportunità per scoprire nuove prelibatezze poco conosciute.

Ci sono delle organizzazioni che ci vengono in aiuto indicando quali pesci è preferibile mangiare e quali evitare a seconda del grado di minaccia in cui si trova la specie, consultabili ai seguenti link: SeaFood Watch; National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) e IUCN | Dall’Italia.

In una società così globalizzata e complessa è difficile, se non impossibile, vivere una vita completamente ecosostenibile. Essere consapevoli dell’impatto delle nostre scelte è però il primo passo per poter vivere in maggior sintonia con le risorse che il pianeta ci offre. 

Detto questo: Buon appetito!

FONTI:

Stefania Viti. 2015. L’arte del sushi. Un viaggio gastroculturale alla scoperta del piatto simbolo della cucina giapponese e del suo mondo. Ed. Gribaudo

Chan SXY, Fitri N, Asni NSM et al. 2023. A Comprehensive Review with Future Insights on the Processing and Safety of Fermented Fish and the Associated Changes. Foods 12:558

Tonno rosso | Animali in via di estinzione e specie a rischio | WWF Italia

You Can Eat Sushi Sustainably (forbes.com)

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