DI GIOSUE’ TEDESCHI
A volte la vita è un po’ noiosa, ammettiamolo. Ci sono periodi di giorni, settimane, mesi, in cui non succede assolutamente niente. Ricordo quando andavo a scuola e i giorni mi sembravano tutti uguali. Sveglia, sei ore in classe, casa, compiti, dormire, e tutto da capo. Oggi ricordo con nostalgia alcuni di quei periodi, lo ammetto. Mentre li vivevo però avrei dato qualunque cosa per sentire anche solo un momento di quelle lunghe ore come importante. Per sentire una qualche emozione che mi ricordasse che ero vivo. È una nota iniziale un po’ triste, non c’è dubbio, magari persino un po’ romanzata. Credo, comunque, che si sentisse un po’ così il David che incontriamo all’inizio della storia. Solo, fuori posto, un bullone lento in una macchina veloce durante una curva da multa: pronto a essere sbalzato via. E nessuno si aspetta che l’intera macchina si fermi, rallenti, o si distrugga per un solo bullone che salta.
Metto le mani avanti: c’è anche un gioco che si chiama cyberpunk dal quale la serie è tratta. Non l’ho giocato. Non intendo farlo. Questa storia cammina con le sue gambe e va pure piuttosto lontano, vederla in relazione al videogioco non potrebbe che farle male. Naturalmente i creatori ne hanno preso spunto, in più di un modo. Potrebbe essere interessante per un appassionato dell’avventura videoludica andare a indagare sincronicità e discrepanze tra i due prodotti, a me non interessa. David, alla fine della serie, è diventato un mio amico a prescindere da qualsiasi altra cosa possa essere detta su di lui. L’unica nota che mi sento di condividere è che questa serie si posiziona come un prequel rispetto alla storia narrata nel videogioco. Posizionarsi in un tempo antecedente permette di aggiungere molte informazioni e profondità al mondo di Cyberpunk senza intaccarne la coerenza interna.
Lo stile animato, un po’ cartoon, di questa serie non deve ingannare: non è certo per bambini. Mi è difficile dire quale sia l’elemento discriminante ma sono sicuro che tutti siano in grado di capire se un’animazione è fatta per adulti o per giovani. I colori di Cyberpunk: Edgerunners sono così vividi, accesi, futuristici ma non utopici. Rendono l’idea del mondo, della mentalità, dei gusti della società in cui è ambientato. Sono totalmente irrealistici eppure, forse proprio per questo, ci danno l’idea di quanto tutto quello che stiamo vedendo si stia imprimendo negli occhi dei personaggi istante dopo istante. Trauma dopo trauma.
Questa serie è una tragedia unica. La storia di David non ha molti momenti felici. Quelli che più gli assomigliano in realtà sono pause tra una tragedia e un’altra. Tra una morte e un’altra. A Night City, in questa città futuristica, piena di neon e di tecnologie che fott… forgiano il cervello alla gente, il valore di una vita umana non è lo stesso che le diamo noi. La vita di una persona diventa qualcosa di suo, un oggetto di proprietà. Non diverso da una tazza, un paio di scarpe, o una giacca. È tuo ed è tua la sua responsabilità, devi farci attenzione tu. Nessuno si curerà di te al posto tuo. A Night City se lasci qualcosa di tuo in giro, incustodito, se ti distrai troppo a lungo, non c’è nessuna autorità né alcuna morale che impedisca veramente a qualche altra persona di prenderselo. Questo vale per la tua giacca, per le tue scarpe e per la tua vita. Ci sono un milione di ragioni per cui la madre di David non è potuta rimanere con lui fino a fine serie ma nessuna di queste ha a che fare col caso.
La madre è l’unica persona nella serie che gli abbia veramente voluto bene, nel modo in cui è giusto amare qualcuno. Dopo di lei la sua vita è cambiata in modo irreparabile. Senza nessuno che credesse in lui si è trovato con le spalle al muro e ha dovuto fare una scelta. Ha scelto di credere in sé stesso quando nessun altro l’avrebbe fatto. Sfortunatamente questo vuol dire che ha creduto nella parte di sé stesso che gli altri vedevano: il ragazzino di Santo Domingo. Un nessuno venuto dal nulla che morirà senza lasciare traccia e senza fare niente di buono nella sua vita. Un criminale in poche parole. È un ragazzo intelligente ed è diventato un criminale coi fiocchi, non c’è dubbio. Tra le altre cose, si aggiunge alla tristezza, al rimorso, il pensare come sarebbe stata la sua vita se sua madre fosse rimasta con lui. Se avesse continuato a credere in lui. Se crescendo avesse avuto accanto qualcuno che vedesse in lui qualcosa più di un criminale di Santo Domingo.
Un altro dei punti forti di questa serie è il mondo che esiste oltre la storia narrata. Laddove molte storie dicono solo quanto serve a sé stesse, Cyberpunk: Edgerunners ha avuto sufficiente cura per i dettagli da costruire un mondo funzionale e funzionante molto più vasto della vita del nostro piccolo ragazzo di periferia. Un mondo con un’economia, delle relazioni di potere, dei giocatori principali, delle forze politiche, una società con sogni e tabù tutti suoi. Il risultato è che non abbiamo “il mondo di David” ma “un mondo con David“, e questo fa tutta la differenza del mondo.
A questo punto sembra che David sia innocente, che la sua vita non sia mai stata in mano sua. Era intelligente, ha avuto le sue possibilità. Perché è finito com’è finito? Tutti si sono presi gioco di lui, è stato una pedina nelle mani di altri per tutto il tempo, una carta passata tra molte mani a un tavolo poco illuminato, in una stanza ben arredata. Ha fatto solo quello che doveva per vivere, no? Tutta la sua intelligenza, i compagni che ha trovato, le volte che ha sofferto, quelle in cui ha riso, tutte le strade che ha percorso; cosa di tutto ciò era una sua scelta? Quanto della sua vita è stato davvero in condizione di decidere liberamente? C’è più di una risposta a questa domanda.
La prima è, naturalmente: niente. Non aver mai avuto la possibilità di autodeterminarsi aggiunge drammaticità alla sua storia.
La seconda: tutto. Avrebbe potuto dire di no a Lucy. Avrebbe potuto non farsi installare il Sandevistan. Avrebbe potuto ingoiare l’orgoglio e continuare a frequentare la scuola. Avrebbe potuto passare dalla parte del governo. Forse, avrebbe addirittura potuto salvare sua madre. Se è così otteniamo un personaggio così miope da sembrare cieco. Ha avuto tutte le possibilità di quel mondo e comunque non è riuscito a cavarsela diversamente da come ha fatto. Si è scelto, magari senza saperlo nel momento in cui lo faceva, tutto ciò che gli è arrivato. Ha scelto in quel modo perché non è stato capace di accettare l’amore di sua madre per lui, la perdita di esso; non è stato capace di vedersi con gli occhi di lei e si è invece perso negli occhi del mondo, ma ogni scelta è stata sua.
La terza: ha fatto una sola scelta. Una, all’inizio, piccola e importantissima. Ha scelto di rimanere sé stesso. Ha scelto di rimanere fedele a sé stesso. Di rimanere, nel profondo, quel ragazzo che viveva con la madre in una casetta alla periferia di Night City. Quel ragazzo a cui è sempre bastata una sola persona che credesse in lui per conquistare il mondo. Ha scelto di non perdersi mai, pur cambiando; magari questo spiega come non sia impazzito per così tanto tempo. Come sia riuscito a restare sé stesso pur cambiando completamente il suo corpo: sapeva chi era, in fondo.
Allora chiediamocelo anche noi: chi è David? Qual è il suo sogno? Cosa vuole fare nella vita? Quello che fa gli serve a sopravvivere nel momento, certo. Ma se avesse potuto fare qualunque cosa, cosa avrebbe fatto? Penso che questa sia una domanda a cui ciascuno dovrà rispondere per conto suo.