DI GIOSUE’ TEDESCHI
È di malaugurio rifiutare un brindisi, ragazzo.
Avresti immaginato la presenza di un manuale di regole per un faro? Eppure c’è. E c’è anche la classica dovuta e spesso immeritata anarchia del più anziano. Quattro settimane, due uomini in un faro. Così si apre uno dei pochissimi film horror che guarderò.

I due personaggi sono Ephraim Winslow, l’assistente – che in realtà si chiama Thomas Howard – e Thomas Wake, l’anziano guardiano del faro.
Primo elemento horror di questo film: è orribilmente difficile da guardare. Non si capisce assolutamente niente di quello che succede, o meglio si capisce ma non sei sicuro di aver capito. Questa confusione mentale inevitabile nella mente dello spettatore è senz’altro voluta e cercata. Però più che orrifica l’ho trovata infastidente.
La relazione tra i due personaggi comporta che l’assistente faccia tutto e il guardiano accenda la luce. L’assistente fa tutto, può e deve fare tutto, ma non accendere la luce. La luce non è affare suo, ma del più anziano. La luce non la deve toccare. Ecco il primo classico elemento di un horror.
Al che io direi… grazie al gabbiano. Non muove una cima sto guardiano, almeno se la gestisca lui la luce. Ma l’assistente no! L’assistente trova irresistibile la luce e vorrebbe occuparsi pure di quella. Senza parole.

A quanto pare il vecchietto ha un fetish per la luce. Sembra che si droghi di watt. Io ho questo meccanismo di difesa dagli horror: li faccio diventare dei meme. Poi ovviamente, come in ogni buon horror, arrivano i sogni strani. Sono premonizioni? O suggestioni della mente? Quando lo scoprirai, sarà già troppo tardi.
Alla lanterna serve petrolio.
Qualunque elemento in questo film diventa una illusione, una ipnotica attrattiva che non ti lascia andare.
A un certo punto il giovane assistente deve confrontarsi con un gabbiano che gli sbarra la strada. Uno dei gabbiani più molesti che io abbia mai visto in vita mia. Momento catartico del film, anche perché il vecchio guardiano lo guarda gestire la situazione dall’alto del faro. Lui sa, e tu sai che lui sa. Ma l’assistente non sa che lui sa, e tu sai che lui non sa, e viene da chiedersi: il guardiano sa che sai?
Comunque, è molto faticoso prendersi cura di un faro.

Il fatto che tutto il film sia in bianco e nero amplifica l’effetto di illusione e di ipnosi. Si apprezza particolarmente durante inquadrature come quella del faro visto dal basso che sembra la spirale aurea, ma sembra anche un occhio, ma sembra anche un gorgo.
Credi di essere il primo? Non lo sei, no. Tempo due settimane e vorremo entrambi stare in silenzio come due bare.
“Molto presto se ne vanno alla pazzia entrambi.” Appena dopo aver avuto questo pensiero è arrivata la storia del precedente assistente del faro che è impazzito. Anche se secondo me pure il guardiano già era pazzo e faceva finta di non esserlo. La narrazione qui è davvero bella.
Come anche: “Porta male uccidere animali marini” – ed ecco quel gabbiano che sta veramente dando sui nervi, a lui come a te che guardi. Vuole vedere quanto può “rompere il ponte di prua” prima di essere ucciso, forse. Piccolo spoiler: verrà levato di torno.
Ma perché porta male uccidere un gabbiano? In loro, in generale negli uccelli marini, vivono le anime dei marinai che hanno incontrato il creatore.
Il guardiano del faro è molto autoritario. L’assistente non sa bene perché però capisce che non ha molto senso opporsi, e quindi accetta le angherie, se di angherie si tratta, negli horror non si sa mai, e continua a lavorare.
Magistrale l’utilizzo della musica. Bellissime le scelte delle metafore, così come i racconti del guardiano. Se prendessimo le storie che il guardiano narra all’assistente durante tutto il film potremmo scrivere un libro a parte. Quel guardiano del faro ha un dono per la narrazione, te lo dico io. Le storie di Thomas, il guardiano, sono sempre più avvincenti e colorite man mano che il film procede. Davvero un piacere ascoltarle. Certo ci sono alcuni buchi di trama in ciò che racconta, ma perché insistere? Ascolta le storie e basta.
Quasi quasi ti fa desiderare che tutto il resto del film sia lui che ti racconta di quando andava per mare. Purtroppo non è così.

Insomma a parte l’ironia questo è davvero un buon horror che non si perde l’aspetto della narrazione. Anche la presenza al faro dell’assistente viene spiegata in modo credibile. Mi piace molto che in questo horror nulla accade senza un senso, tutto è spiegato. Tutto accade per un motivo. Molti altri invece si accontentano di buttare in mezzo dei jumpscare al momento giusto et voilà: un horror.
Come ogni horror che si rispetti non può tenerti in tensione tutto il tempo, altrimenti ti abitui. Così proprio quando stai per accettare l’ansia, arriva, ben calibrata, la scena di amicizia dove cantano e si trovano bene tra loro. Per un po’ puoi quasi crederci.
E subito dopo ecco che tutto affonda: compare una sirena sulle pietre? Lui scappa? I gabbiani lo inseguono? Mi sono perso un pezzo? Devo dire che non ho tanto capito cos’è successo lì. Però la scena della tempesta era davvero sublime.
Anche perché è seguita da un salto temporale? A quanto pare sono passate varie settimane più del previsto e la barca che doveva arrivare non è arrivata. Ma quando sono passate? Hanno fatto un così buon lavoro nel confondere le percezioni dello spettatore che a un certo punto non ho più capito niente.
Iniziano a spaventarsi l’un l’altro per tutto il tempo. Perché? Probabilmente perché avere paura di un uomo e delle sue parole è comunque meno spaventoso che dover affrontare, seppur in compagnia, la forza del mare. Della tempesta. Di tutti gli elementi naturali.
Arriva la storia dei boschi, la storia dei tempi in cui lui lavorava ancora come taglialegna, prima di arrivare al faro. Ed è orribilmente simile a quella che vive lui adesso. La mia teoria è che lui non abbia mai lasciato i boschi e stia allucinando, in punto di morte, in una qualche radura sperduta. O magari non è mai stato in compagnia al faro? Si è immaginato un guardiano che gli facesse compagnia? Ma allora chi accendeva la luce?
Ammetto che queste teorie possano sembrare distanti dal possibile ma a un certo punto crederesti a qualunque cosa pur di distinguere la realtà dai sogni. È sempre difficile, ma di notte diventa un’impresa impossibile.
Sono due uomini o uno in due parti?
Da quanto siamo su questo scoglio? Dove siamo? Aiutami a ricordare. Tu chi sei Tommy?
Forse non è uno di quei film che devi capire, o che puoi capire. Lo devi solo sentire. Una sola domanda assilla tutti: la tempesta finirà mai? In che modo può finire la tempesta? Qualcuno ricorda come è cominciata?
L’ambiguità di questo film è decisamente parte del senso di orrore che provoca.
Infine l’assistente finalmente arriva alla luce e la guarda dritto negli occhi. Senza il vecchio guardiano in giro dovrebbe essere l’unico abitante dell’isola adesso. Ma sappiamo che non è così, e che la luce non è proprio una luce.
Mi lascia a pensare se questo posto sia mai esistito. Se questa isola sia qualcosa, oppure niente. Magari è solo l’adattamento cinematografico di “Il Crollo“?


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