Un viaggio nel grande classico di Collodi attraverso le immagini di Dixit.
L’altro giorno giocavo insieme a mia sorella a quel magnifico gioco da tavolo che si chiama Dixit, una scatola contenente carte ricche di illustrazioni che hanno il preciso scopo di farti vagare in mezzo alla tua più vasta capacità immaginifica.
Giocando appunto con mia sorella, ho notato che alcune carte risultavano essere davvero perfette per rappresentare la nuovissima versione del film di Pinocchio, animata da Guillermo del Toro, che ha conferito alla storia tradizionale una grafica misterica, una narrazione simbolica, una sfaccettatura politica.
Pertanto, lungo la stesura di questo articolo, disseminerò le immagini delle carte che più hanno richiamato alla mia immaginazione l’incantevole viaggio che Guillermo del Toro mi ha donato (e che, se anche voi lo vedrete, spero donerà anche a voi).
Cercherò di farvi toccare gli aspetti che a mio parere rendono questo Pinocchio davvero umano e reale.
Tre grandi temi affrontati da Guillermo del Toro sono la fede, la guerra e la politica. Ci troviamo nell’Italia di Mussolini. Mastro Geppetto ha un figlio, Carlo, buono e gentile. Una notte, Carlo e Geppetto erano di ritorno dalla chiesa del paese. Il cielo buio, improvvisamente, è rischiarato da bagliori rosso-arancio. Una bomba cade. Carlo muore.
La disperazione di Geppetto è mostrata nel graduale arrossarsi dei suoi occhi, nella sua inizialmente silenziosa e infine esplosiva rabbia e tristezza che lo porteranno a dar forma al dolore causato dalla perdita di Carlo attraverso il legno.
I colpi di scalpello si alternano a numerosi sorsi da una bottiglia di vino a notte fonda.
Nasce così il corpo inerme del ragazzo di legno che dovrebbe compensare l’enorme vuoto lasciato da Carlo.
Come tutti sappiamo, a colmare Pinocchio di una vita pulsante sarà la Fata Turchina, che in questo film assume sembianze inconsce e introspettive.
Una volta che Pinocchio prende vita, si dimostra in tutto e per tutto innocente e un po’ ingenuo come un vero bambino, guidato inizialmente da quello che gli pare bello e, infine, da quello che gli pare giusto. Ma il reale motore del cuore di Pinocchio è indubbiamente l’amore per il suo babbo Geppetto. Da subito Pinocchio si deve confrontare con il desiderio di Geppetto di trovare in Pinocchio un sostituto di Carlo piuttosto che l’unicità di un nuovo figlio.
Uno dei dialoghi tra Pinocchio e il Grillo parlante (che qui prende il nome di Sebastian) ha lasciato per qualche secondo il mio cervello ammutolito:
-Sebastian?
-Sì Pinocchio?
-Chi è Carlo?
-Carlo era un bambino. Geppetto lo ha perso tanti anni fa
-Dove lo avrà mai messo? Come si può perdere un’intera persona?!
-Intendevo…è…è morto, Pinocchio, non è più in vita
-Ed è una cosa brutta?
-Sì, è un enorme peso per un padre perdere un figlio piccolo
-Che cos’è un peso?
-E’ una cosa dolorosa che devi sopportare, anche se ti fa soffrire nel profondo.
Mi ha scosso, perché mi ha ricordato quanto i bambini possano essere beatamente incoscienti, così distanti dal complicato mondo degli adulti, i quali sono soliti liquidare i bambini con un sorriso gentile rivolto alla loro ingenuità proferendo le seguenti parole: “Tesoro mio, questo lo capirai quando sarai grande”. Ma ecco, invece, il Pinocchio portato in vita da Guillermo del Toro dimostra che, nella beata incoscienza di bambino, nell’innocenza ignorante dei fatti cosiddetti da grandi, lui sa cosa è importante. E quello che è importante è in realtà una cosa molto più semplice e spontanea di quanto si creda, una cosa per nulla da grandi, ma di cui i grandi talvolta si dimenticano: a volte, per salvarsi, basta amarsi, e, soprattutto, accettarsi. E questo i bambini lo sanno fare molto meglio di noi. Amare incondizionatamente. Dare più importanza all’amore piuttosto che ai difetti di una persona. Pinocchio ama Geppetto nella sua imperfezione, ma l’amore di Geppetto per il suo bambino di legno è ostacolato dal muro che ha eretto alla morte dell’amato Carlo. Pinocchio non sarà mai Carlo. E questo Pinocchio lo sa.
Il film di Guillermo del Toro è un percorso di scoperta, di nascita e di rinascita. Il punto di partenza in questo viaggio di ricerca di sé stessi e del proprio essere è la perdita. La perdita di Carlo. E con la perdita di Carlo, Geppetto perde contemporaneamente una parte di sé, quella più vitale e pulsante. Scoprire di essersi persi per ritrovare sé stessi, nelle inaspettate condizioni in cui l’universo ci ha gettato.
Qui si entra a fondo nella psicologia e nelle emozioni di Pinocchio, che non appare più un bambino incosciente, birbante e combina guai, ma mostra invece di essere mosso da un sentire molto più articolato e profondo, che permette all’osservatore di immedesimarsi e commuoversi.
Ci sono tante altre considerazioni che potrei aggiungere su questo film, ma dovrei spoilerare parecchi elementi per farlo e vorrei invece che chi di voi non l’ha ancora visto abbia la possibilità di lasciarsi sorprendere.
Era da molto tempo che la me adulta non riusciva a ricordare quale fosse la vera essenza dell’essere un bambino. E sono grata a questo spettacolare film per avermi riportato sulle sponde di una spiaggia ahimè da troppo tempo lontana.