Sapiens – da animali a dei

DI GIOSUE’ TEDESCHI

1. Sapiens – di pronostici e letture

Ci sono cose che non si raccontano perché non sono importanti e cose che non si raccontano perché sono troppo importanti.

Sapiens – Da Animali a Dèi è un libro che mi è parso saltasse da un argomento all’altro senza un particolare nesso. Non so se sia per fare dei collegamenti, per portare più dati in meno spazio, o perché non può argomentare più di quanto abbia già fatto ciò che vuole sostenere.

Nell’esposizione degli argomenti esibisce anche un certo gusto narrativo, tramite l’inserimento di piccole storie che tengono viva l’attenzione.

In ogni caso racconta bene tutta la storia dell’uomo dall’inizio dei tempi fino a oggi. Piacevolmente sorpreso dal fatto che il racconto non sia fatto soltanto da un punto di vista evoluzionistico ma comprenda anche la parte emotiva, interna e personale dell’evoluzione degli individui.

Altra nota positiva su Yuval Noah Harari sono i collegamenti tra le varie discipline (biologia, neuroscienza, storia) – non si è limitato a un solo campo di ricerca ma ha spaziato molto.

Ho sentito dire da alcuni ragazzi che hanno condiviso questa lettura che a volte cade nella pretesa di voler insegnare, di voler dire lui tutto quello che è vero, di fare un po’ il maestrino.

Personalmente non ho avuto questa impressione, mi è sembrato chiaro e giustificato nei suoi ragionamenti. Non posso dire di essere d’accordo con tutto quello che ha detto nel libro, però sono convinto che contenga degli importanti spunti di riflessione

Alcuni sono molto impopolari e per questo tralasciati nei discorsi di questo tipo. La fine del libro la dedica a parlare di economia, di capitalismo, di banchieri, di meccanismi economici… cose che non mi interessano particolarmente. Hanno sicuramente fatto parte dell’evoluzione e meritavano di essere trattate, ma le ho trovate noiose e poco coinvolgenti. Per quanto lui si sia impegnato per renderle comprensibili.

(Yuval Noah Harari)

2. La felicità – Sapiens spin-off

Di particolare interesse è stata l’analisi sui livelli di felicità nella storia, trattata nel libro Sapiens – Da animali a Dèi. 

Essenzialmente, dice Harari nel libro, non siamo più felici di un uomo del Medioevo. Nonostante tutti i vantaggi materiali che abbiamo e lo stile di vita più comodo e meno faticoso. 

Come mai? Certo cambia da persona a persona cosa sia la felicità, ma due esempi chiari che Harari porta sono, uno: che se volevi un carro di buoi e lo ottenevi eri felice, oggi se vuoi una Ferrari e ottieni una Ford non sei felice. 

E due: mentre un adolescente aveva da confrontarsi solo con gli altri 50 uomini del suo villaggio oggi ha da confrontarsi con l’intera popolazione mondiale di umani, rendendo molto più facile sentirsi inadeguati.

Questo perché la felicità la fa la serotonina, quella è uguale per il banchiere come per il contadino nella capanna di fango: i beni materiali sì son comodi ma non sono la felicità. 

Una vita che abbia senso può essere molto soddisfacente anche in mezzo alle difficoltà, mentre una vita senza senso è un travaglio terribile per quanto confortevole essa sia.

Dunque forse la felicità sta nel sincronizzare le proprie illusioni personali sul senso della vita con le illusioni collettive prevalenti – fino a quando la mia narrazione personale sarà in linea con quella di chi mi circonda posso convincermi del fatto che la mia vita sia significativa; trovare la felicità in questa convinzione.

E’ piuttosto sconsolante. La felicità dipende quindi solo da un autoinganno?

Nelle parole del criticato Rousseau: tutto ciò che avverto come bene è bene, tutto ciò che avverto come male è male.

Se la felicità dipende soltanto da ciò che sentiamo dentro bisogna smettere di cercare successi esteriori come la ricchezza o la posizione sociale e collegarsi invece ai propri moti interiori. 

Più succintamente: la felicità comincia da dentro – o almeno questo è ciò che sostengono i biologi, ma è più o meno l’opposto di quanto diceva Buddha.

Buddha andava d’accordo con i biologi moderni solo sul fatto che la felicità è indipendente dalle condizioni esterne, ma la sua intuizione più importante era che la vera felicità è anche indipendente dalle nostre sensazioni soggettive. Infatti quanto più significato attribuiamo a queste ultime tanto più desideriamo e tanto più soffriamo.

La raccomandazione di Buddha era di rinunciare non soltanto alla ricerca dei risultati esteriori ma anche alle ricerche di sensazioni interiori.

Ma se rinunciamo a tutto cosa resta a guidarci

C’è qualcosa di più pericoloso di una massa di dèi irresponsabili e insoddisfatti che non sanno neppure cosa vogliono? 

(Siddhārtha Gautama, alias “Buddha”)

3. Differenze di genere – Sapiens spin-off

Un’altra parte che ho trovato molto interessante di questo libro è quella del discorso sul genere.

Inizia dicendo che le categorie di uomo e donna sono categorie sociali e non biologiche – perché come sappiamo le biologiche sono quelle di maschio e femmina.

Notiamo come queste categorie sociali abbiano grande influenza su quella che poi sarà la vita dell’individuo – perché non si può negare che ci siano differenze nella società di oggi fra come sono trattati gli uomini e come sono trattate le donne.

Dal punto di vista maschile si vive nel costante timore, dice Harari, di perdere la pretesa di mascolinità; quindi nel corso dei secoli i maschi sono cresciuti più disposti a rischiare e anche a sacrificare la propria vita così che la gente possa dire “è stato un vero uomo”.

Lasciando da parte le futili discussioni su cosa sia un vero uomo, possiamo dire con certezza che a partire dalla rivoluzione agricola le società umane sono state per la maggior parte società patriarcali.

Ci si chiede allora perché siano stati quasi sempre gli uomini a raggiungere posizioni di comando, mentre le donne così raramente e con difficoltà. 

Poiché il patriarcato è così diffuso fra le diverse società sulla terra possiamo escludere che sia il prodotto di qualche circolo vizioso messo in moto da un’occorrenza casuale.

Siamo portati a pensare che ci sia qualcosa di biologico, qualcosa di comune che possa spiegare il perché siano sempre gli uomini ad averla vinta. Nel libro Harari propone tre teorie.

Teoria 1

La prima teoria è quella della potenza muscolare. Com’è intuitivo mette in evidenza il fatto che gli uomini sono più forti delle donne e sottintende che abbiano usato la loro potenza fisica per costringere le donne alla sottomissione. In una versione più sottile sostiene che la forza degli uomini consenta loro di monopolizzare compiti che richiedono un duro lavoro manuale – come arare il terreno o fare il raccolto e questo darebbe un vantaggio – un controllo sulla produzione del cibo. Il controllo della produzione di cibo diventerebbe a sua volta influenza politica. 

Problemi

I problemi di questa posizione sono che l’affermazione che gli uomini sono più forti delle donne è valida solo se riferita alla media e solo per certi tipi di forza. 

Le donne sono generalmente più resistenti alla fame, alla malattia e alla fatica rispetto agli uomini; alcune donne sono capaci di correre più velocemente o sollevare pesi maggiori degli uomini.

Un altro fattore più problematico è che nel corso della storia le donne sono state escluse soprattutto dai lavori che richiedono uno sforzo fisico modesto ma hanno una certa influenza – come per esempio il sacerdozio, l’attività giudiziaria o la politica – e sono state invece impegnate proprio nel lavoro dei campi, nell’artigianato e nella conduzione della casa

Possiamo notare come in realtà fra gli umani non esista un rapporto diretto tra forza fisica e potere sociale, ne è un esempio chiaro il fatto che i sessantenni o comunque gli anziani del villaggio abbiano molto più potere dei giovani, nonostante i giovani siano più forti degli anziani.

Anche nel crimine organizzato il capo non è il più forte, è un uomo maturo che di rado ricorre ai pugni.

Teoria 2

Un’altra teoria si basa sull’aggressività. 

Sostiene che nel corso dei secoli gli uomini siano diventati più violenti delle donne e quindi quando le cose degenerano gli uomini siano più inclini a usare la violenza fisica. Questo spiegherebbe perché storicamente la guerra sia una prerogativa maschile.

Problemi

Tuttavia per dirigere la guerra non serve forza fisica e non serve neanche tanto l’esperienza in battaglia. 

Se neanche l’esperienza sul campo conta, perché sono comunque gli uomini a dirigere le truppe in battaglia e non soltanto a combattere? 

La guerra non è una rissa da osteria – è un piano complesso che richiede uno straordinario grado di organizzazione, cooperazione ed elasticità. Pertanto assegnare la conduzione di una guerra a un bruto aggressivo è la scelta peggiore. Molto meglio una persona cooperatrice, che sappia mediare, manipolare e osservare le cose da prospettive diverse. Ma questo è proprio lo stereotipo delle donne!

Perché non fossero le donne a comandare non si capisce.

Teoria 3

Una terza teoria punta il dito sulle differenti strategie di sopravvivenza che uomini e donne hanno dovuto sviluppare nel corso del tempo. 

In particolare sul fatto che gli uomini dovessero competere fra di loro per avere l’opportunità di fecondare le donne fertili e quindi ogni singolo uomo doveva superare e sconfiggere gli altri – quindi i geni che passavano da una generazione alla successiva appartenevano agli uomini più ambiziosi, aggressivi e competitivi. 

Tuttavia se la donna voleva che i suoi figli avessero anche dei nipoti doveva correre grossi rischi: per esempio rimanere incinta per 9 mesi e poi continuare a nutrire i figli per anni. Di conseguenza forse col passare del tempo i geni femminili che passavano alle generazioni successive erano quelli di donne remissive che si prendevano cura della prole. 

Le donne che invece spendevano molto tempo per conquistare il potere non trasmettevano allle future generazioni nessuno di quei geni dominanti. 

Il risultato di queste differenti strategie di sopravvivenza è che gli uomini sono programmati per essere più ambiziosi e competitivi e per eccellere, mentre le donne sono programmate per farsi da parte e dedicare la loro vita all’allevamento dei figli. 

Problemi

Però perché la dipendenza delle donne da un aiuto esterno le avrebbe rese dipendenti dagli uomini piuttosto che da altre donne? 

Come è potuto accadere che proprio nella specie in cui il successo dipende soprattutto dalla cooperazione, che gli individui che ipoteticamente sono i meno cooperativi, ovvero gli uomini, controllino gli individui che ipoteticamente sono i più cooperativi, ovvero le donne? 

Conclusione

Nessuna di queste teorie riesce a dare una risposta definitiva e convincente.

Tuttavia guardando a come sono i ruoli oggi possiamo notare che con movimenti quali le suffragette e altri strumenti di ricerca di parità civile giuridica, politica e di pari opportunità economiche il divario fra i generi sia sì significativo ma in netta riduzione.

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