DI EDOARDO VALENTE
Qualche mese fa una mia amica mi ha detto: “Ho visto il film tratto dall’ultimo racconto incompiuto di Poe”.
Io, pensando subito a produzioni simili a The Pale Blue Eye, ho esclamato: “Ma come? Non c’è nessun ultimo racconto incompiuto di Poe!”.
E invece c’è. E io l’ho ignorato per anni, finché non sono andato a controllare. Non potevo crederci, perché mi era anche capitato di consultare l’intero elenco di racconti scritti da Poe, e mai mi ero imbattuto in questa cosa.
E invece c’è.
Se si va a controllare – come ho fatto spesso – la pagina inglese di Wikipedia denominata “Edgar Allan Poe bibliography”, con l’elenco completo delle sue opere, per trovare quella in questione bisogna andare nella sezione “Other works”, nella sottocategoria “Other”, e solo allora, all’ultimo posto dell’elenco puntato, appare:
The Light-House (1849, never published in Poe’s lifetime) – An incomplete work that may have been intended to be a short story or a novel.
Incuriosito, vado ad approfondire la questione, anche se – più o meno – queste sono le uniche informazioni che abbiamo in merito.
Per essere un po’ più precisi: in cosa consiste questo ultimo racconto?
Sono due paginette che Poe ha scritto molto probabilmente pochi mesi prima della sua morte. Due paginette senza titolo, e senza seguito.
Per rendervi partecipi della brevità di questo testo, nell’immagine che segue potrete vederne l’interezza. La versione digitale, a disposizione di tutti, è tratta dal sito della Edgar Allan Poe Society of Baltimore.

La versione tradotta in italiano di questo frammento non è facilmente reperibile, la quasi totalità delle raccolte di racconti la tralasciano. È presente, però, nella monumentale Obscura. Tutti i racconti di Edgar Allan Poe, pubblicato da Mondadori in una gigantesca edizione cartonata.
Detto ciò, di cosa parla l’abbozzo di questa storia?
Di un uomo che ha scelto di fare il guardiano di un faro, su un’isola, per poter restare solo, a scrivere. Il racconto è scritto nella forma del diario che il protagonista sta tenendo dal primo giorno in cui è arrivato al faro, ovvero il 1° gennaio 1796.
Ecco il riassunto di tutto ciò che abbiamo:
1° gennaio: sono arrivato al faro e sono contento di essere qui da solo, lontano da tutti; con me solo il mio cane. Ora ho tempo per scrivere il mio libro.
2 gennaio: che bello essere solo, in vista solo il cielo e il mare.
3 gennaio: il faro è molto alto; sembra solido, ma lo sarà abbastanza?
4 gennaio: …
Fine.
Questa è l’ultima opera di narrativa che Poe ha iniziato, e mai portato a termine.
Tutto qui?
Beh… sì. E pensare che a partire da questo spunto è stato fatto un film!
Si tratta di The Lighthouse, di Robert Eggers, con protagonisti Willem Dafoe e Robert Pattinson.
A questo punto della scrittura dell’articolo devo dirvi che il film non l’ho ancora visto. Non penso che mi potrà dare informazioni in più rispetto a quello che è il centro della mia indagine, ma sono curioso di capire cosa è stato fatto in questo film, di cui conosco lo spunto iniziale.
Mi darà nuove e inaspettate prospettive?
Lo scopriremo tra 109 minuti…

Non mi ha dato nuove e inaspettate prospettive!
The Lighthouse è un bel film, specialmente per quanto riguarda l’aspetto visivo: regia, fotografia, anche scenografia. La trama è di per sé abbastanza didascalica.
Ci sono un giovane (Pattinson) e un vecchio (Dafoe) che devono andare a occuparsi del faro per quattro settimane. Il giovane non ha voglia, ma è ligio alle regole; il vecchio è abituato e fa quello che vuole. Il giovane sgobba e il vecchio di notte si spoglia di fronte alla luce del faro. Ad un certo punto impazziscono e alla fine muoiono.
La cosa interessante è la componente allucinatoria della vicenda.
A causa della solitudine – e in seguito dell’alcol – il giovane inizia ad avere visioni, a sovrapporre scenari reali con quelli irreali, e il vecchio contribuisce ad alimentare questa sua follia.
Nel film si possono, volendo, rintracciare alcuni rimandi a scenari classici dei racconti di Poe, ma nulla di effettivo.
La sceneggiatura è stata scritta da Eggers stesso e da suo fratello Max, che ha suggerito l’ispirazione dell’incompiuto The Light-House di Poe.
Di fatto, a parte l’ambientazione (e la presenza di una profezia nefasta) non ci sono altri particolari rimandi, anche perché, come è facile accorgersi, non c’era molto da cui partire.

Bene: ma le domande restano.
C’è la possibilità di scoprire qualcosa di più in merito a questo lascito?
O forse la vera domanda è: ci interessa davvero scoprire qualcosa di più?
Le cose stanno così: pochi mesi prima di morire, uno dei più importanti scrittori della letteratura americana inizia una nuova opera, che si presume si incentrerà sulla solitudine. Non la continua, e non la continuerà mai.
Le informazioni in merito sono troppo poche, le speculazioni vaghe e improprie.
Non si può accettare semplicemente che le cose stanno così e basta?
Si può eccome, tanto non possiamo farcene granché nella vita di tutti i giorni di questa cosa.
Parlando per me, però, che sono un grande ammiratore dell’opera di Poe, arrivare a scoprire inaspettatamente l’esistenza di questo frammento è stato stupendo.
L’ho già scritto altrove, ma giova ripetermi: la mia esperienza con Edgar Allan Poe è stata sorprendentemente graduale e continua.
A quindici anni mi sono affacciato ai suoi racconti, rimanendone folgorato. Sapevo che aveva scritto un romanzo, e successivamente ho scoperto la bellezza delle sue poesie, e dei suoi saggi sulla poesia.
Alla sua opera poetica, infatti, ho dedicato il mio primo articolo qui su Mercuzio and Friends, pubblicato esattamente due anni fa (un anno fa, invece, ho sviscerato la sua poesia più famosa…).
Ma c’è altro oltre alle poesie! Poe ha scritto un saggio-poema a tema cosmogonico (su cui mi sono già espresso), ed è stato un prolifico scrittore di articoli e recensioni, di cui esistono una o due raccolte (che devo ancora recuperare).
Sapendo qual è stato il mio modo di progredire nella scoperta della sua opera, mi aspettavo dunque che i passi successivi sarebbero stati gli articoli, poi le lettere, e poi chissà cos’altro.
E invece, ecco che appare un racconto di cui ignoravo completamente l’esistenza, che non solo è l’ultimo che ha scritto, ma è anche incompleto; e questi due elementi concorrono per accrescerne la leggenda.


Si tratta, appunto, di un mito, il mio mito personale costruito attorno a E. A. Poe, e alla continua sorpresa a cui mi trovo davanti nello scoprire sempre ciò che non mi aspettavo.
Al di là di questo mio caso specifico, voglio condividere questa mia emozione perché a ognuno capita di avere una figura di riferimento, per i più disparati motivi, e affezionarsi a essa, e approfondirne la conoscenza. E avere la possibilità, anche ad anni di distanza, di potersi ancora stupire, di potersi trovare di fronte all’inaspettato, è un’emozione impagabile.
Restringendo il campo all’ambito letterario, immagino ci sia per ognuno quell’autore o autrice che, una volta incontrato ad un certo punto della vita, non ci può più lasciare. E leggendone le opere ad un certo punto si può arrivare a pensare: “Se lo leggo ancora, presto non avrò più nulla di suo da leggere”.
A me sembra che, nel mio caso, con Edgar sarò a posto per tutta la vita.
Conoscere veramente bene un autore richiede un lavoro molto più grande di quel che sembra, diventa una fonte inesauribile, e attorno a questa fonte si creano collegamenti, derivati, comparazioni, che ampliano ancora di più il raggio di interesse.
Questa mia confessione irrilevante, oltre a essere un atto d’amore nei confronti dell’opera di un autore a me caro, serve per evidenziare il potere della passione: la sua inesauribilità.


Appena scoperta l’esistenza di quell’ultimo racconto, sono andato a cercarlo, l’ho letto, mi sono informato in merito – per quanto possibile. Posso intuire che, più che l’incipit di un romanzo (come alcuni suggeriscono) è più probabile che si trattasse di un racconto, se paragonato alla struttura iniziale di altri racconti.
Eppure, ha qualcosa di inedito, perché è un diario, l’unico caso in cui Poe ha utilizzato questa forma narrativa. Magari lo ha interrotto proprio perché questa struttura non era la sua. E doveva apparentemente parlare di solitudine, che non è un tema nuovo nell’opera di Poe (si pensi anche alla poesia Alone), ma chissà in che modo sarebbe stato affrontato. Ed è presente anche l’accenno di una minaccia, a cui il protagonista non vuole pensare, e che quindi, sicuramente, sarà la causa della sua disfatta; questo unito al sospetto che il faro non abbia una base solida.
Insomma, si prospettava un bel racconto, ma quello che abbiamo non è che la possibilità di speculare.
Ed è questa, forse, la parte più bella dell’intera vicenda.
Se c’è qualcosa che ho imparato da Poe, questo è stato: l’inesistenza di una vera distinzione tra ciò che chiamiamo reale e ciò che non lo è; la coincidenza di genialità e follia; il potere dell’immaginazione e della visionarietà; i rischi dell’immaginazione e della visionarietà; la volontà di comprendere la realtà che ci sta attorno, anche quanto sembra incomprensibile; le infinite possibilità della narrazione.
Vorrei ricordare che, oltre quel velo macabro attraverso cui lo guardiamo, Poe è stato anche colui che ha fatto riunire centinaia di persone di fronte alla sede del giornale per cui scriveva, perché volevano saperne di più su una notizia particolare. Si trattava del primo viaggio da un lato all’altro dell’Oceano Atlantico fatto grazie a un pallone aerostatico.
Peccato che non fosse vero. Si trattava di un altro racconto di fantasia di Poe, che però ha fatto passare per un vero resoconto.


Ancora una volta, in questo ribaltamento comico tra realtà e finzione, ci appare evidente che quello che conta, in questi casi, non è mai la verità dei fatti.
Non importa che l’ultimo racconto di Poe sia breve e incompiuto; l’importante è che, attorno a esso, si possa costruire una bella storia.
Infatti, non c’è stata nessuna amica che mi ha fatto scoprire questa cosa, dando il via alla mia divagazione: è stata solo una casualità.
(Questo articolo è dedicato a Silvia, grazie alla quale ho potuto ampliare ancora la mia conoscenza di Poe e della sua opera.)





