DI VITTORIA BRACCO
Honoré de Balzac, prima di buttarsi a capofitto tra le proprie opere, accendeva quattro candele. La passione per i vecchi lumi è condivisa da Isabel Allende, la quale è solita scrivere per la durata di un’unica candela. John Steinbeck, invece, per essere sicuro di non doversi interrompere in fase creativa, ogni mattina controllava di avere a disposizione dodici matite temperate alla perfezione.
Grandi nomi, grandi artisti, grandi scrittori. Ma chi sarebbero stati senza i propri “riti di iniziazione”?
Ognuno di noi ha le proprie abitudini, i propri gesti quotidiani, ritualità a cui non può rinunciare. Spesso questi divengono automatismi, azioni che compiamo senza nemmeno rendercene conto. Per alcuni sono gesti scaramantici, per altri sintomi di sicurezza e stabilità. Per molti, riti necessari per dedicarsi alle proprie passioni. Tra i fan di quest’ultima squadra diversi scrittori, capaci di dedicarsi alla propria arte solo a determinate condizioni. Vizi, manie, segreti, capricci e fobie caratterizzano il lavoro di autori tra i più disparati, ma anche tra i più geniali. E pare che molti di questi avessero qualcosa in comune.

Posizione.
“Come stare seduti in maniera corretta” è questione spesso discussa. È stato scritto un intero protocollo per il lavoro d’ufficio nel quale si suggeriscono le migliori tipologie di sedie, l’altezza ideale della seduta e la corretta posizione dei braccioli. Eppure, si dice anche che la creatività si ottenga allenandosi a “rompere gli schemi“, nonché che la scomodità stimoli la fantasia. Forse Marco Missiroli ne sa qualcosa: da anni lo scrittore scrive solo se seduto sopra i braccioli. Della stessa scuola Ernest Hemingway, amante della scrittura in piedi, e Marcel Proust, il quale era solito lavorare alle proprie opere seduto su una pila di maglie. Sarà l’urgenza di cambiare posizione a motivarli?

Colori.
Si dice che i colori siano capaci di influenzare le emozioni, di alterare lo stato d’animo, di suscitare profonde risposte psicologiche. In questo schema ogni colore possiede un proprio significato, una sua peculiarità. Il viola, ad esempio, è spesso associato a creatività ed immaginazione. Lo aveva capito Lewis Carroll, il quale scriveva solo con penne caricate ad inchiostro viola, e forse anche Virginia Woolf, per cui il porpora era fondamentale durante la stesura delle proprie lettere. Al contempo, ogni occhio ha le sue preferenze, e molti di noi scelgono un colore favorito, fonte di individuale serenità. Mark Twain scriveva solo se con indosso una camicia rigorosamente bianca, Amélie Nothomb si mette all’opera solo se possiede una bic blu. Ad ognuno il suo.

Mattino.
È fondamentale, quando si scrive, imparare a difendersi dal potenziale distruttivo delle interruzioni. In questo senso, il fascino delle prime ore dell’alba pare insuperabile. Gli uccellini cantano, il traffico è lieve, le case dormono. Georges Simenon, Alessandro Piperno, Daria Bignardi. Per loro e molti altri i primi bagliori di luce sono o sono stati condizione ideale per dedicarsi alla scrittura. Se poi alcuni consacravano il resto della propria giornata alle più svariate attività, tanti la destinavano a una meticolosa rilettura del lavoro mattutino.

Movimento.
Si dice che quando camminiamo il ritmo dei nostri pensieri accompagni quello dei nostri passi, e il nostro discorso interiore influenzi il movimento delle gambe. Nello specifico, pare che camminare affini il “pensiero divergente”, processo mentale utile a generare idee creative, risposte che siano allo stesso tempo inusuali ed efficaci. Eppure, se molti autori si “accontentano” di camminare prima di scrivere, come ad esempio Mario Desiati, altri necessitano di stimoli fisici maggiori. Da Haruki Murakami, il quale ogni pomeriggio di ogni giorno si dedica alla corsa, a Dan Brown, sulla cui scrivania è presente una clessidra la quale ogni ora segnala la pausa esercizio fisico. Inoltre, se la sua creatività incontra un blocco, lo scrittore è solito appendersi a testa in giù penzolando da una barra. Ancora una volta, corpo e mente paiono imprescindibili.

Nudità.
A detta di molti, cucinare nudi elimina ogni inibizione e stimola la creatività. Altri ritengono che il nudismo aiuti a essere più limpidi nelle relazioni umane. Tuttavia, il sentimento comune è che la nudità renda fragili ed esposti. Ma forse è solo questione di abitudine. Truman Capote era solito scrivere nudo steso su un letto o un divano, mai alla scrivania. Più semplice Thomas Hardy, a cui bastava rimanere a piedi nudi. Leggende più ammalianti circondano Victor Hugo. Lo scrittore francese era solito scrivere nudo, soprattutto se pressato da consegne imminenti. Senza vestiti non poteva uscire di casa e, come si può immaginare, pativa il freddo, così si vedeva costretto ad accelerare i tempi di creazione. Si dice che, quando temeva di non terminare uno scritto nei tempi stabiliti, chiedesse ai propri domestici di nascondere tutti i capi d’abbigliamento presenti in casa. Pare che, alla scadenza per la presentazione di Notre Dame de Paris, per non cadere in tentazione ordinò addirittura che venissero bruciati.

In definitiva, sono numerosi gli scrittori che hanno seguito o seguono originali e ferree ritualità. Chi scrive in piedi, chi completamente nudo, chi alle prime luci dell’alba e chi soltanto con il proprio inchiostro preferito. Ad emergere tra molteplici esempi vi è tuttavia un comune denominatore: la necessità di darsi dei contorni, di rispettare limiti autoimposti con continuità e costanza.
Secondo il mito essere creativi significa avvalersi di una componente eterea, rarefatta e sperimentale: l’ispirazione. Nei fatti la creatività è caos ma al tempo stesso controllo. I due elementi vanno di pari passo, sono complici imprescindibili. Scrivere è un atto libero, e proprio perché lavoro che non richiede orari prestabiliti necessita di confini.
Che indossi una camicia bianca, bruci i propri vestiti o si appenda a testa in giù, ogni scrittore ha i propri riti. E non può farne a meno.