DI EDOARDO VALENTE
I gatti, ma quanto ci piacciono i gatti? Da (quasi) l’inizio dei tempi e in (quasi) tutto il mondo vengono apprezzati, coccolati, venerati.
Un gatto in particolare, però, ci piace meno di altri: il gatto nero.
Certo, questo non valeva per tutti: mentre nell’antico Egitto hanno dato a una dea, Bastet, il volto di questo animale, nell’Europa medievale addirittura diversi papi ne ordinarono l’uccisione durante feste popolari. Quindi possiamo dire che il problema con il piccolo felino color carbone ce lo abbiamo soprattutto noi.

Durante il già citato Medioevo, la figura del gatto nero veniva associato alle streghe, delle quali era un fedele accompagnatore, una spia del demonio o, in certi casi, erano le streghe stesse a prenderne le fattezze.
Volendoci soffermare dietro l’origine di questo nostro antico odio verso la stregoneria non ne usciremmo più, ma evidentemente se ad oggi la magia ci sembra, invece, una cosa meravigliosa (vedere alla voce: Harry Potter), i gatti neri continuano a non piacere a molti.
Non è pero difficile capire quale fosse l’opinione al riguardo del caro Edgar Allan Poe, che titolò uno dei suoi racconti divenuti più celebri “The black cat”. E potete scommetterci che, conoscendo l’autore, non ne viene fuori un ritratto positivo.
Lo sventurato protagonista della vicenda è un uomo che decide di raccontarci un fatto particolare avvenutogli di recente. Ci tiene a specificare, innanzitutto, due sue grandi passioni: gli animali e l’alcol. La prima è sicuramente encomiabile e fa sì che egli abbia la casa piena di tenere bestiole, la seconda fa sì che, invece, queste bestiole vengano da lui trattate non proprio nel migliore dei modi.
Ecco che infatti una notte, tornato a casa sbronzo, incattivito dall’alcol, decide di cavare un occhio al suo gatto, dato che invece di lasciarsi accarezzare gli aveva morso una mano. E, come se non bastasse, lo impicca ad un albero.
Da quel momento in poi hanno inizio le sue disgrazie.
La notte stessa la casa va inspiegabilmente a fuoco. Lui e la moglie sono costretti a fuggire ma, tornando sul luogo dell’incendio, si scopre che una sola parete è rimasta in piedi e, su di essa, vi è impressa l’ombra scura del gatto impiccato!
Orrore!
Ma il nostro protagonista preferisce fare finta di niente e tornare a ubriacarsi.

Passa del tempo e una sera, in una bettola, trova un gatto che è simile in maniera inquietante a quello che ha ucciso. La somiglianza e il fatto che il gatto lo segua volentieri gli sembrano un segno del destino: così decide di portarlo a casa.
Ben presto, però, anche questo surrogato del primo gatto nero inizia a non andargli a genio. Inizia a scivolare lentamente in uno stato di follia.
Un giorno, scendendo in cantina con la moglie, il gatto lo fa involontariamente inciampare e lui cade dalle scale. Preso da una cieca rabbia afferra un’accetta trovata lì vicino e decide di scagliarsi contro quel gatto del malaugurio. La moglie prova a intromettersi e, in tutta risposta, diventa lei la vittima di quella improvvisa furia omicida.
Che fare ora? Con il cadavere della moglie a terra?
Non c’è più tempo per pensare al gatto, occorre dedicarsi all’occultamento del corpo. L’idea geniale è quella di murare il corpo, creando un nuovo strato di mattoni a poca distanza dalla parete di fondo della cantina e, in quell’interstizio, nascondere il cadavere.
Tutto va perfettamente liscio: il corpo è nascosto, la parete perfetta e insospettabile, e anche quella maledetta bestia non si fa più vedere in giro. Che sollievo!
Finché non giunge la polizia a indagare.
Eppure, il nostro protagonista/alcolista/assassino non ha nulla da temere: non potranno mai rendersi conto del nascondiglio da lui architettato. I poliziotti fanno un giro in casa, poi in cantina, in cerca di indizi, ma pare tutto a posto. Anche la parete di fondo è solida, tutto nella norma. Accade, però, che proprio da lì dietro si senta un verso: un miagolio.
Con quale stupore deve aver accolto l’assassino la visione del gatto che saltava fuori dalla parete posticcia una volta che la polizia l’ha tirata giù, scoprendo, naturalmente, anche il cadavere della moglie.
Tutto, tutto per colpa di un gatto nero!
Morale: trattate bene gli animali (e magari anche le persone a voi care), che a far del male agli altri non ci si guadagna mai nulla.
Oltre a questo, Poe ci dimostra ancora una volta le sue capacità narrative che, in questo caso, riescono ad attingere alla folkloristica superstizione nei confronti del gatto nero per creare un racconto che, come è suo uso, si trova sulla sottile linea che divide la realtà dalla fantasia, in quel sonno della ragione che, come si sa, genera mostri.


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