Fai bei sogni (Massimo Gramellini)

DI ELODIE VUILLERMIN

La perdita di un genitore e il dolore che ne consegue sono difficili da digerire, soprattutto per un bambino. Ma ancor più difficile è continuare a vivere sapendo che ciò che hai perso non tornerà mai più. È il messaggio che vuole trasmetterci Gramellini, autore e protagonista di questo romanzo autobiografico.

PAURA DI SOGNARE

Massimo perde la madre in tenera età. Si trova catapultato in una situazione più grande di lui, nemmeno capisce cosa sta succedendo, gli adulti non gli dicono niente per tenerlo al sicuro. Eppure sente che qualcosa è cambiato. Si accorge subito di un’assenza improvvisa nella sua vita e ha notato già da prima che sua madre sorrideva sempre meno. Ma nella sua ingenuità fanciullesca non pensa subito allo scenario peggiore, crede piuttosto che lei abbia smesso di volergli bene e che sia scappata. Anche quando gli viene spiegato che è stato il cancro a portarsi via sua madre, lui fatica a capire che si tratta di una malattia, o forse nemmeno vuole capire.

Per un bambino la morte è incomprensibile e crudele. Massimo non la accetta, sin dalle prime pagine ci viene mostrata la sua ostinata speranza che la sua mamma possa tornare: basti pensare a quando prega il Signore di restituirgliela, convinto che il suo “eterno riposo” sia un sonno incantato da cui prima o poi dovrà svegliarsi, e arriva anche a dirgli che se non lo farà ci penserà lui personalmente. Quando finalmente capisce che la morte è definitiva, cerca di allontanare la cruda realtà in ogni modo. Pur di riuscire nel suo intento, si è rifugiato dove poteva: nella fantasia, nei successi sul lavoro, nell’abbraccio di altre donne. Ha ceduto alle sue paure (prima tra tutte quella dell’abbandono, di ritrovarsi solo in un mondo troppo grande) e si è lasciato andare a comportamenti autodistruttivi, in preda ai quali ha quasi gettato via la sua vita.

È rimasto a lungo in conflitto con sé stesso e con il mondo, allontanando perfino gli affetti che gli erano rimasti. Finché, dopo anni di ragionamenti errati e incomprensioni, viene a sapere che non si è trattato di cancro, ma di suicidio, e che nonostante tutto sua madre ha dedicato a lui ogni suo pensiero, finché ha potuto: solo allora se ne fa finalmente una ragione. Capisce che nella vita si cresce e si diventa forti non con i se (“se la mamma non fosse morta”) ma con i nonostante (“la mamma è morta, nonostante questo vado avanti”) e che solo perdonando sua madre potrà salvarsi.

Per molto tempo Massimo non è andato realmente avanti, ha fatto passi indietro oppure è rimasto fermo. Ha smesso di credere ai sogni quando la realtà si è dimostrata troppo crudele con lui: non solo ha perso la madre, ma ha maturato sfiducia nell’amore per molto tempo ed è stato segnato dagli orrori della guerra. Crescendo diventa un vigliacco, timoroso della morte e di legarsi a qualcuno: pur volendo una famiglia, ripudia l’idea di avere un figlio perché in lui vede un potenziale orfano. Ma con Elisa ritrova il coraggio, per la prima volta dopo anni, di affrontare i suoi traumi, di parlare di sé senza nascondersi dietro menzogne o fantasie infantili. La cagnolina Billie, invece, gli insegna a prendersi cura della sua vita mentre fa lo stesso con lei. E da sua madre impara a sognare di nuovo, a vivere davvero, perché rispetto alla morte fa molta più paura il non vivere, l’aver sprecato la propria esistenza.

IL MALE DENTRO DI SÉ

L’assenza perseguita Massimo sin dalle prime pagine. Nella vita gli manca sempre qualcosa e per tutto il libro cerca di sfuggire a quel vuoto o di colmarlo come può. In un primo momento si cerca una madre sostitutiva, tra l’austera ma affettuosa nonna Emma, uno zio dalla grande sensibilità, nonna Giulia, la maestra della sua scuola, le madri degli altri bambini, la tata Mita. Esaurite le possibili candidate, si è orientato sul padre, con cui però non ha mai trovato l’intesa che cercava se non quando parlavano di calcio. Si inventa, nel corso degli anni, varie motivazioni per cui sua madre non c’è più pur sapendo benissimo che è morta; ha ammesso la realtà a sé stesso, eppure non sa farlo con gli altri. Cerca di compensare quella mancanza con l’amore, ma i suoi tentativi sono fallimentari: in quelle donne cerca una madre che non c’è più, che non sarà mai uguale alle altre e nemmeno loro saranno mai uguali a lei.

Già nell’infanzia Massimo ha i suoi appigli e rifugi segreti. Primo tra tutti il Sottomarino, dove dava libero sfogo alla sua immaginazione; una protezione sicura dai mali esterni, incapace però di fare altrettanto con i dolori interiori. Venuto a mancare quello, è comparso il subdolo Belfagor, personificazione delle sue paure, che gli riempiva la testa di domande per renderlo più insicuro e gli sussurrava malefici consigli; per evitare ulteriori mali, la soluzione era fare male agli altri. Ci sono state anche le sessioni di tic tic, dove fingeva di essere qualcun altro (campione di calcio o stella del rock). Una volta cresciuto si è buttato sulle donne e, quando queste lo deludevano, sul lavoro.

Questa sua lotta contro il vuoto interiore dura ben quarant’anni, lo logora, cambia la sua personalità. Eppure riesce a trovare il suo lieto fine, con una donna che lo ama e una nuova consapevolezza, grazie alla quale è in grado di nuovo di camminare con i piedi per terra e gli occhi rivolti al cielo, senza aver paura della realtà e con uno sguardo di speranza rivolto al futuro.

AFFRONTARE IL LUTTO

Perdere un amico, un genitore, un amore, è difficile da accettare. Viene da chiedersi: perché proprio a me? I dubbi ci sommergono, la paura ci fa compiere scelte sbagliate, scappiamo per timore di soffrire ancora. Ci sentiamo abbandonati da tutti, arriviamo a invidiare le vite degli altri e a detestare il mondo perché non ci capisce. Odiamo il destino per le piccole sfortune che ci capitano in seguito e ci convinciamo che ci torturi apposta per farci stare peggio. 

Gramellini ci dice che tutto questo è normale quando si è segnati da una tragedia di tale portata e al contempo ci insegna che la verità, per quanto dolorosa, non va mai negata, altrimenti rischiamo di dimenticarci di noi stessi e di farci soffocare dalla paura di vivere. Può affermarlo perché quel dolore l’ha vissuto sulla sua pelle.

Le fasi di elaborazione del lutto sono molteplici e Massimo le attraversa tutte. La prima è il rifiuto, con il sé stesso bambino che fugge e si nasconde dietro una maschera d’orgoglio, negando quel che è successo e fingendo di non aver bisogno di nessuno. Segue la rabbia, personificata dagli sfoghi contro le altre persone: odio verso la madre perché non torna da lui, scaramucce con i compagni di scuola e invidia per le loro madri, litigi con Padre Teschio e malefici consigli di Belfagor. Poi il patteggiamento, con lui che cerca di riprendere il controllo della vita (attraverso la passione per il calcio, la letteratura greca, il lavoro, l’amore, manuali di autostima e altro) ma non ci riesce, perché il dolore non è del tutto svanito. La quarta è la depressione, nella quale sprofonda dopo i suoi numerosi fallimenti: si sente inadeguato nonostante i successi lavorativi, cerca di salvare un ragazzino in guerra ma non ce la fa, le donne lo abbandonano, il buddismo lo fa sentire a disagio anziché dargli le risposte che cerca. E infine l’accettazione, in cui non smette di soffrire ma almeno riesce a dare un senso alla sua perdita, grazie anche ad Elisa e Billie.

UNA NARRAZIONE CHE RENDE GIUSTIZIA

Lo stile narrativo è delicato, chiaro e diretto per far arrivare al meglio ai lettori le sensazioni scaturite dalla perdita e dal dolore di vivere. Le metafore funzionano molto bene in questo senso: un cucchiaio di ghiaccio che entra nella pancia di Massimo e ci scava dentro, il sé stesso bambino che si paragona a una caramella assaggiata e subito sputata, gli adulti che lo abbracciano con cautela come se lui fosse un peluche caduto in una pozzanghera e così via. Talvolta si può notare qualche termine più ricercato, come “propiziare” e “compromesso onorevole”, che nei primi capitoli sembra stonare con il modo di parlare di un bambino ma in realtà sono coerenti con il pensiero del narratore, che non è un bambino che cresce ma un adulto che sta riesumando il suo passato; infatti, quando a parlare è il protagonista ormai grande, questa scelta di stile risulta più che appropriata. Non manca qualche frase ironica per smorzare la pesantezza del tema, tra cui:

Avevo detto due bugie, risposto male una volta alla mamma e tirato un calcio nel sedere a Riccardo, il bambino della Juve che abitava al secondo piano. Non mi sembravano peccati gravi, specie l’ultimo.

Mentre il contenuto dei pentoloni veniva versato nelle zuppiere, padre Teschio in persona sovraintendeva al rito supremo: la preghiera con cui ringraziavamo il Signore per la nostra sbobba quotidiana. Il risotto coi fegatini. La prima volta che provai a mangiarlo lo vomitai, stupendomi che non ci fosse alcuna differenza fra quanto avevo rovesciato sul pavimento e quel che era rimasto nel piatto. Una poltiglia scura in mezzo alla quale andavano alla deriva come naufraghi le viscere degli animali sacrificati da Teschio durante qualche orrido rituale che si consumava nelle cucine.

Fanno da contorno alla vicenda un gran numero di personaggi: il padre del protagonista, padre Teschio e i suoi modi inquietanti, lo psicologo incapace, padre Nico che si aggrappa troppo alle sue convinzioni e non ascolta quelle degli altri, Elisa la donna perfetta (gentile, comprensiva e molto intelligente), l’austera nonna Emma, Rosolino e tanti altri. Ognuno riesce a lasciare il segno a modo suo, arricchendo la vita di Massimo dall’infanzia all’età adulta.

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