La Ragazza Sul Divano – Mozziconi di battute per dar voce piena all’Umanità intera

DI ALBERTO GROMETTO

Di tutti gli autori teatrali contemporanei, uno dei più conosciuti e al tempo stesso paradossalmente dei meno rappresentati (quantomeno in Italia), è sicuramente JON FOSSE.

(Il Premio Nobel Jon Fosse)

Il suo è un teatro complesso e difficile perché si propone la missione impossibile di comunicare l’incomunicabile ed esprimere l’inesprimibile. I personaggi di Fosse parlano frammentato, a mozziconi, avrebbero una voglia matta in corpo di urlare “Ci sono anche io!” senza però farlo mai. Queste, credo, le ragioni per cui risulta così poco appetibile. Fino a quando, almeno, non ha vinto nel 2023 il Premio Nobel per la Letteratura. E allora, si sa, appena ti metti un Nobel in tasca, tutti decidono che hanno sempre avuto una gran voglia di portarti in scena! Eppure in Italia, dove tra l’altro era quasi del tutto sconosciuto, quantomeno prima della grande notiziona da Stoccolma, c’era da tempo chi decideva di rappresentarlo. 

Infatti chi lo conosceva già nel nostro Paese deve ringraziare in primis uno di quei pochi e rari Maestri del Teatro italiano (la “M” maiuscola è d’obbligo!) che hanno avuto abbastanza coraggio, inventiva, fantasia, forza e fegato per portarlo in scena: stiamo parlando di VALERIO BINASCO, tra le più eminenti personalità teatrali di cui possiamo fregiarci, colui che più di ogni altro in Italia ha voluto e saputo rappresentare Fosse, la sua carriera e il suo lavoro sono di una ricchezza e un’importanza sostanzialmente ineguagliabili.

(Insieme al Maestro VALERIO BINASCO, che il Comitato di Redazione ringrazia)

MARTEDÌ 5 MARZO 2024 ha debuttato in anteprima assoluta nazionale, in quella splendida istituzione e faro di cultura che è il TEATRO CARIGNANO DI TORINO, diretta e pure interpretata proprio da Binasco, un’opera teatrale fossiana che vuole dire sull’indicibile e parlare dell’imparlabile: «LA RAGAZZA SUL DIVANO». Mai era stato fatto prima in Italia.

Stiamo parlando di qualcosa che sulla carta è impossibile da inscenare: una storia che non è una storia, perché non accade nulla davanti a noi, tutto ciò che doveva accadere nel momento in cui l’opera va in scena è già accaduto. Quello che noi vediamo rappresentato davanti ai nostri occhi è una ragazza che, da anni, non è più ragazza. È oramai una donna invecchiata, sola, che pensa al passato. Quel passato che lei ha speso su un divano. E il fatto è che ha continuato a starci, su quel divano. Anche una volta smesso di essere ragazza. Questa donna ricorda le ombre di quella che è stata la sua vita, rammenta i suoi dolori e travagli e sofferenze, rimembra quelli che sono stati i traumi e le persone che l’hanno segnata in gioventù e per sempre.

(Il brillante MICHELE DI MAURO e la sublime ISABELLA FERRARI)

È uno spettacolo fatto quasi sostanzialmente solo di ricordi appartenenti ad epoche diverse, memorie terribili e dolorose, frammenti di una vita stroncata fin da subito e che non è mai veramente partita. E così adesso quella ragazza-non-più-ragazza che vive di rimembranze non fa altro che dipingere anche se non sa dipingere. E che cosa prova inutilmente a dipingere? Una ragazza seduta sul divano. Sofferenze atroci tutte interiori, immobilismo assoluto, piani temporali che si incrociano e disincrociano: come è possibile rappresentare una roba del genere a teatro?  

Abbiamo avuto l’inestimabile onore e assoluto privilegio di conoscere di persona l’intero cast al completo nell’ambito del RETROSCENA organizzato presso il TEATRO GOBETTI, in occasione del quale Binasco e gli attori della compagnia hanno dialogato con ARMANDO PETRINI del DAMS/Università di Torino. Come riuscire ad essere interpreti, non di dialoghi, ma di pensieri, di emozioni, del sentire di questi personaggi tutti fossiani? 

(Da sinistra a destra, in occasione del Retroscena: GIULIA CHIARAMONTE, ISABELLA FERRARI, PAMELA VILLORESI e ARMANDO PETRINI)

Personaggi che non hanno un nome, perché non sono significativi, perché a loro non succede nulla di significativo, perché in loro non hanno niente di significativo. Sono solamente persone qualunque che vivono una vita qualunque, ricca di dolori intrisi di una sofferenza qualunque. Personaggi che però, ci hanno riferito gli attori durante il summenzionato dialogo, dicono sempre la verità. Ma sapete qual è il problema della verità? È che la verità è inesprimibile. Il linguaggio non basta ad esprimere la verità, perché qualsiasi cosa vorrai dire non riuscirà mai ad aderire sufficientemente ai tuoi sentimenti, al tuo pensiero, a quello che hai dentro. A volte quella verità la esprime molto meglio un silenzio piuttosto che una frase. Ad un “Come stai?”, ci si ritrova a rispondere con un “Sto così”. E che diavolo vuol dire quel “Sto così”? Magari vuol dire qualcosa del tipo: Sto come uno che è profondamente e completamente innamorato di Te ma che non sa dirlo, sto come uno che vorrebbe amarti ma non sa se gli darai mai l’occasione. 

(Insieme a GIULIA CHIARAMONTE, che il Comitato di Redazione ringrazia)

E dunque che ne emerge? Ne emerge che il modo di essere di questi personaggi, il loro modo di parlare e di relazionarsi deve essere del tutto normale e, appunto, “da tizio qualunque”. Pertanto gli attori, che già si ritrovano nella non facile missione di imparare a memoria mozziconi frammentari di battute piuttosto che battute intere, sono costretti a pensare quando recitano un testo di Fosse. Sì, pensare! E non dico pensare a come è fatto il personaggio che si sta interpretando. Ma a come sei fatto tu nella vita di tutti i giorni, tu che quel personaggio lo interpreti. I sentimenti raccontati da Fosse sono emozioni che ti spaccano da dentro e il solo modo possibile che ha l’attore per farle passare è essere trasparenti, offrirsi al pubblico con trasparenza, così che fuoriescano le sue proprie spaccature e il suo io più intimo e profondo. Dire quello che c’è da dire con la sola presenza scenica, riconnettendosi al proprio vissuto. E così quel poco che l’attore ha da dire, quel poco che l’autore ha scritto nel suo copione, diventa meraviglioso proprio perché l’interprete ci mette tutta la forza necessaria, una forza che definisce le piccole cose, come stesse interpretando un personaggio shakespeariano alla “Riccardo III”, ma invece che monologhi interi ha solo poche battute a sua disposizione. Battute che poi non sono manco battute, ma piuttosto pensieri. E non si tratta solamente ed unicamente dei pensieri di quel determinato personaggio, ma sono in gioco anche i pensieri dell’attore che si occupa di quel personaggio, un attore che ha fatto anche dell’altro nella vita e che si è occupato pure di altri personaggi, e dunque pensate a quanti pensieri vengono pensati in scena e a quante cose, oltre alle azioni propriamente dette, vengono rappresentate su quel palco! 

(Insieme a MICHELE DI MAURO, che il Comitato di Redazione ringrazia)

Attraverso poche sillabe bisogna esprimere il vissuto del personaggio e i suoi pensieri, ma quanto valgono i pensieri di un personaggio in scena? Quello che davvero conta non è quindi che un personaggio debba pensare, ma che il pubblico lo possa sentire: ecco perché quello di Fosse è un teatro di grandi attori! Perché i grandi attori non devono pensare al personaggio che interpretano in scena, ma alla vita che vivono al di là di quel palco. I grandi attori devono pensare a cosa quella specifica parola del copione fa venire in mente a loro, a loro nella vita di tutti i giorni. Devono sentire le frasi che dicono, far sì che esse appartengano profondamente alla loro vita, perché è con la propria vita che si recita. Onde per cui i grandi attori sono molto più nudi di quanto si possa pensare, perché non devono aggrapparsi al loro personaggio quando recitano, ma piuttosto alla loro stessa vita.

E per nostra grandissima fortuna gli attori adoperati da Binasco (anche lui nel cast!) nella sua personale rappresentazione dell’opera fossiana sono tra i più grandi possibili. A cominciare da quella fantasmagorica interprete di impareggiabile grandezza che è PAMELA VILLORESI, qui nei panni della protagonista. Il suo personaggio è l’archetipo di tutto quello che abbiamo detto sull’umanità di Fosse: un’umanità che, pur nella sua totale trasparenza, non è in grado di comunicare in modo diretto, che per una sorta di malinconica timidezza nei confronti delle relazioni umane non riesce a manifestare quasi mai i sentimenti che vorrebbe tirare fuori, anche se noi del pubblico vediamo chiaramente quello che vorrebbe dire e fare. La protagonista ad esempio tira fuori una rabbia e una violenza estreme ed assolute, ma poi cosa fa nel concreto? Parla da sola tutto il tempo, sfoga il suo odio contro sé stessa. Rari sono gli interpreti straordinari come la Villoresi capaci di una performance di questo tipo. Lei ci ha raccontato, nel corso del Retroscena, di come avrebbe sempre voluto lavorare con Binasco: appena le propose di lavorare insieme, lei accettò senza nemmeno sapere quale fosse il testo. Un’attrice dotata di un talento e una passione encomiabili, tra le più grandi eroine della scena teatrale nostrana: la sesta donna nella Storia della Repubblica Italiana a dirigere un TEATRO STABILE, e cioè il TEATRO BIONDO DI PALERMO, che ha coprodotto lo spettacolo insieme al TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE.

(Insieme alla splendida PAMELA VILLORESI, che il Comitato di Redazione ringrazia: trattasi della sesta donna nella Storia della Repubblica Italiana a dirigere un TEATRO STABILE)

E questo per non parlare degli altri interpreti, tutti quei grandi attori di cui Fosse ha necessità per poter essere rappresentato. Da una sfavillante GIULIA CHIARAMONTE capace di infondere una rabbiosa sensualità dalla fortissima carica fino ad arrivare ad una magistrale GIORDANA FAGGIANO in grado di incarnare quella tristezza che ti stronca in tutte le sue sfumature più devastanti passando per un’ISABELLA FERRARI semplicemente sovrumana ad ogni sua singola sillaba e gesto, un FABRIZIO CONTRI d’una potenza impressionante e infine un brillante e simpaticissimo MICHELE DI MAURO che riusciva a far scompisciare dalle risate anche con una semplice alzata di sopracciglio.

Segnalo con profonda felicità come la traduzione del testo fossiano, a cura di GRAZIELLA PERIN, sia stata pubblicata il 27 Febbraio 2024 da EINAUDI all’interno della collana “GLI STRUZZI”. Prova evidente di come il nostro caro Jon Fosse, una volta misconosciuto e quasi temuto, ora sia sulla bocca di tutti dopo questo Nobel, che quando lo vinse disse “Me lo aspettavo” (giustamente, sottolineiamo noi) ma aggiunse anche “Ma non ora”. Forse perché appunto era così poco rappresentato. Tranne che da Valerio Binasco, il quale rimane in ogni caso uno dei pochi veramente capaci di rappresentarlo. Se da una parte abbiamo infatti un autore avaro di parole, dall’altra abbiamo un Maestro capace di conferirgli una forza, uno spessore e un’intensità uniche. 

(Il magnifico interprete FABRIZIO CONTRI)

In scena i personaggi di Fosse sono tutti soli, anche quando sono insieme: loro non stanno insieme per lo stare insieme, ma per non essere soli, unicamente per unire le loro solitudini, e ciononostante rimangono comunque soli. È uno spettacolo fatto di sentimenti chiari, ma che non emergono. Sbriciolati, li definisce Binasco. E il fatto è che vien voglia di abbracciarli quei personaggi che alla fine sono più persone che personaggi, aggiunge il Maestro che afferma come ogni tanto lui senta di dover testimoniare un po’ di tenerezza. Ed è per questo che sceglie Fosse: perché gli possa dare una mano in tal senso. 

(Insieme a GIORDANA FAGGIANO, che il Comitato di Redazione ringrazia)

Dopo aver assistito ad una rappresentazione di questo tipo, così interiore e introspettiva, ti vien da chiederti se non hai perso qualcosa lungo la strada. Se hai capito tutto quello che c’era da capire. Ma non vi è niente che deve essere capito. Semplicemente è la Vita: vi è un tempo in cui si è sofferto e quella sofferenza che non potrai mai comprendere del tutto t’accompagnerà per sempre. Che fare allora? La protagonista sceglie di non scegliere. 

Ma la non-scelta è comunque una scelta. Quindi, a prescindere dal dolore che ti colpisce e ti investe, è la tua capacità di reagire a quella sofferenza a determinare chi sei. E se scegli di non scegliere, scegli di essere niente. Quindi piuttosto alzati da quel divano e prova a fare qualcosa.

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