DI MARCO FERRERI
Lasciata alle spalle la Spooky Season, Storie in Rete è pronta a condividere una nuova piccola perla narrativa! Il romanzo di oggi è Ultimo Approdo, sequel de Il Supervisore dei Suicidi, già trattato sulle nostre pagine, nonché titolo conclusivo dell’omonima dilogia fantascientifica.
La penna e l’energia creativa sono sempre di Claudio Secci, mentre il marchio di qualità editoriale è garantito dalla casa Delos Digital, una delle più affermate realtà indipendenti in Italia per quanto riguarda la science fiction (e non solo). Al pari del primo capitolo, anche in questa produzione Il Pennivendolo Ubriacone ci ha messo il suo zampino, contribuendo come beta reader.

In tutta sincerità, sono rimasto abbagliato dal vertiginoso aumento di qualità tra la versione a cui ho potuto accedere in anticipo e il prodotto finale che mi sono ritrovato tra le mani. Infatti, ogni elemento interiore, relazionale, tecnologico e pratico presentato o abbozzato nel prequel viene qui tirato a lucido ed espresso con ulteriore abilità e precisione, e concorre a potenziare la già incredibilmente vivida atmosfera di lotta, sofferenza, speranza e coraggio presente ne Il Supervisore dei Suicidi.
Questo è il momento in cui solitamente propongo l’abbinamento libro-vino, ma Ultimo Approdo merita un accompagnamento differente: se avete a disposizione un paio di cuffie, abbandonatevi alle profonde suggestioni di The End dei The Doors sorseggiando un bel Rye Whiskey, un Sazerac d’annata, e sarete pronti a decollare, alla volta di un universo di azione e forti emozioni. Del resto, il viaggio interstellare che sta per cominciare non è roba per deboli di stomaco.
La narrazione riprende da dove si era interrotta al termine del primo capitolo: l’ultima decina di umani superstiti, sconfitti da Magnus0 e dal suo esercito di replicanti, abbandona KB-34 in fretta e furia e punta a tornare sulla Terra attraverso il varco spazio-temporale che aveva imboccato all’inizio della spedizione. Lo scienziato Ferdinand, tuttavia, terrorizzato dall’idea di atterrare su un pianeta che con tutta probabilità risulterebbe ancora inabitabile per via di radiazioni e inverno nucleare, approfitta dell’incoscienza del resto dell’equipaggio per dirottare l’astronave verso una destinazione sconosciuta.
Il violento viaggio attraverso il canale interstellare miete altre vittime, mentre Lewis Harper e compagni si ritrovano con l’energia dell’arca ridotta al minimo, a viaggiare a motori spenti nel bel mezzo di un sistema solare sul quale non possiedono alcuna informazione. Incredibilmente, incrociano un’altra astronave terrestre che batte bandiera coreana, ma scoprono che essa è completamente inerte e danneggiata dall’impatto con dei piccoli corpi celesti. Non avendo energia sufficiente per abbordare e ispezionare la nave, ne deducono che molto difficilmente ospiti esseri umani ancora in vita e decidono di passare oltre.
In seguito, si imbattono nel medesimo pulviscolo spaziale di cui era caduta preda la nave coreana. Il bombardamento dei piccoli asteroidi costringe Jersey, il pilota, ad accendere il motore e ad usare l’energia residua per atterrare su un pianeta vicino che, almeno all’apparenza, possiede decenti condizioni di abitabilità. La manovra sbalza il protagonista e lo trascina in uno stato di incoscienza, al termine del quale egli scopre che altri membri dell’equipaggio sono rimasti uccisi.
“I tredici mesi trascorsi lontano dall’umanità, i saponi in dotazione con l’unica odiosa fragranza di borotalco, la prossimità praticamente vietata, la sedentarietà che limitava ogni sudorazione… ora avverto il profumo di Uma, ed è una sensazione che mi risveglia alla vita”.
Lewis Harper – Ultimo approdo
Anche Ferdinand, sopravvissuto all’impatto, trova la morte poco dopo, perché si getta in preda al panico fuori dalla nave senza proteggersi dalle radiazioni ultraviolette, che si rivelano insopportabili per la pelle umana, e dall’aria che è soltanto parzialmente respirabile, in quanto carica di zolfo e di metalli pesanti.
L’errore fatale del traditore consente ai tre sopravvissuti – Lewis, Jersey e la biologa Uma – di attrezzarsi per cavarsela nel brevissimo termine grazie a protezioni e risorse d’emergenza ancora presenti sulla nave, ma rimane il problema di come reperire nutrimento e aiuti su un pianeta che, almeno in superficie, è desertico e tossico per gli esseri umani. Al termine di una rapida esplorazione, i tre scoprono con terrore un replicante Magnus disattivato in cima a una duna. Ciò significa che la loro nemesi, Magnus0, ha colonizzato anche quel pianeta, e che a breve stormi di esploratori e ricognitori robotici al suo servizio giungeranno presso la nave per ucciderli.

L’androide inerte, tuttavia, può costituire anche la loro unica chance di salvezza. Infatti, Lewis possiede ancora la scheda cognitiva dell’androide sperimentale Stan, all’interno della quale è stata impressa la coscienza del suo migliore amico deceduto. L’ormai ex Supervisore riesce in qualche modo ad attivare l’androide e a renderlo un alleato, ma nel frattempo sopraggiungono le forze di Magnus0 e i quattro sono costretti a una precipitosa fuga nel sottosuolo, possibile soltanto grazie alle abilità e alle dotazioni cibernetiche di Stan.
Nonostante il pericolo scampato, è ormai fuori da ogni dubbio che Magnus0 e il suo esercito controllano in tutto e per tutto il pianeta, e che intendono ucciderli a vista. Ai protagonisti non resta altro che provare a infiltrarsi nella città sotterranea in mano agli androidi, per reperire le risorse necessarie a riparare la nave e ripartire verso la Terra. La pericolosissima missione di infiltrazione li trascinerà in un’ultima, definitiva battaglia contro la nemesi sintetica dell’umanità.
A livello stilistico, Secci si conferma incredibilmente tagliato per la scrittura fantascientifica, e in questo sequel riesce a intensificare ulteriormente ritmo, precisione e impatto della sua narrazione. Il romanzo riesce a tenere perennemente il lettore in tensione, grazie all’incalzante successione di eventi e alla perfetta alternanza tra colpi di scena e considerazioni para-scientifiche, se non scientifiche in senso stretto. Il risultato è semplicemente adrenalinico, misurabile grazie all’aumento dei battiti cardiaci del lettore, che vanno a tempo con quelli dei personaggi.
“È finita, Lewis. Almeno, sapere di morire insieme a te, avendoti conosciuto, un po’ mi rincuora”.
Uma – Ultimo Approdo
Personaggi che riflettono in tutto e per tutto il cambio di atmosfera rispetto a Il Supervisore dei Suicidi. Nel primo libro, infatti, la narrazione e le interazioni erano permeate da timore, ansia e oppressione, e il tutto donava un senso di grigiore intorno all’aura degli umani. Non si trattava di mancanza di caratterizzazione, bensì della caratterizzazione stessa: il tema principale nella colonia era lo sconforto e lo svuotamento emozionale. In Ultimo Approdo le caratteristiche psicologiche dei sopravvissuti emergono in maniera molto più chiara, diretta e determinata, dando davvero, in ogni riga, l’impressione di trovarsi di fronte al tutto per tutto.
Inoltre, la figura di Stan raggiunge un nuovo livello di complessità e profondità, passando nel corso del narrato da un semplice amico che risolve problemi a un personaggio a tutto tondo, e funge da vero e proprio ponte tra le istanze umane e le inarrestabili evoluzioni della tecnologia.
“Il passaggio è aperto. Ora mi toglierai la scheda madre, Lewis, poi la distruggerai. Così potrò farla finita per sempre. Questo è il frutto della mia evoluzione: una decisione”.
Stan Lawson – Ultimo Approdo
Oltre al finale di questa bellissima storia, ci sarebbero innumerevoli altri dettagli da evidenziare, sviscerare e approfondire, che rendono ancor più ricca e appagante l’esperienza di lettura. Tuttavia, chi sono io per togliervi il piacere di farlo autonomamente?


Dal vostro Pennivendolo Ubriacone è tutto. Buon viaggio verso il nostro Ultimo Approdo, e viva l’umanità!


amici)
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