Storie in rete – Il Supervisore dei Suicidi (Claudio Secci)

DI MARCO FERRERI

Ci siamo da poco lasciati alle spalle il Salone del Libro di Torino 2024: la solita scorpacciata di emozioni, testi e cultura, nonché il primo a vedere l’illustre partecipazione di Mercuzio and Friends! Quale migliore occasione, dunque, per ufficializzare la proficua collaborazione con una realtà unica nel suo genere nel panorama editoriale: il Collettivo Scrittori Uniti.

Si tratta di una mission di autori volontari che fin dal 2018 aiuta gli scrittori emergenti a farsi conoscere e a raggiungere direttamente nuovi potenziali lettori, sia nell’ambiente digitale grazie a contenuti multimediali autoprodotti e media partner – tra cui figura anche M&F – sia garantendo la presenza collettiva in un grande numero di fiere ed eventi letterari e non. Il CSU cura inoltre un suo periodico, chiamato Spazio Lettura, e promuove svariate iniziative educative e di beneficenza, dirette a diffondere la scrittura e a sostenere la piccola editoria.

A suggello dell’avvenuta partnership, quest’oggi Storie in Rete si occupa del romanzo di fantascienza Il Supervisore dei Suicidi, pubblicato da Delos Digital e scritto da Claudio Secci, membro del direttivo, inesauribile motore del Collettivo Scrittori Uniti e già ospite nel programma radio Frequenze Mercuziane. Si tratta di un libro a cui il vostro Pennivendolo Ubriacone è piuttosto affezionato, sia perché ne ho seguito la stesura prestandomi come beta reader, sia perché questo romanzo è il padre spirituale dell’antologia fantascientifica Our Last Land, la quale ospita l’ultimo racconto che ho avuto il piacere di pubblicare.

(Claudio Secci)

Venendo a Il Supervisore dei Suicidi, si tratta di un romanzo schietto, a tratti brutale, che trasmette le più selvagge suggestioni della fantascienza “pura“: lo sgomento di fronte a situazioni e atmosfere aliene, la scintilla della sopravvivenza a ogni costo che si infiamma di fronte al terrore dell’annichilimento per mano di una forza superiore, la disperazione che diventa coraggio quando le possibilità si esauriscono. Soprattutto, la continua lotta dell’umanità per preservare sé stessa malgrado ogni avversità. Per accompagnare al meglio la lettura de Il Supervisore dei Suicidi consiglio un bel bicchiere di riesling della Mosella giustamente invecchiato. Si tratta di un vino austero e tagliente grazie ai sentori minerali e alla spiccata acidità, ma allo stesso tempo misterioso e affascinante per via delle note eteree e agrumate. Caratteristiche che ricorrono appieno sia nella costruzione narrativa sia nello stile di scrittura del romanzo.

“Solo vorrei che mi levassero altri difetti. Come per esempio il non poter essere indifferente ai ricordi. Questo sì, dovrebbe essere estirpato”

Claudio Secci – Il Supervisore dei Suicidi

La vicenda prende le mosse nel 2109, quando la degenerazione ambientale del pianeta Terra operata dall’uomo raggiunge il suo apice e una catastrofe nucleare costringe qualche centinaio di umani, unici sopravvissuti, a lanciarsi nello spazio profondo in cerca di una nuova casa. I profughi si stanziano sull’esopianeta KB-34, sostanzialmente abitabile, sebbene povero di risorse e fortemente nocivo per la psiche dei coloni.

In attesa che le condizioni di abitabilità sulla Terra vengano ripristinate, il comandante Bosch riorganizza i sopravvissuti imponendo una rigorosa disciplina e fonda una società altamente gerarchizzata, dove i contatti sono ridotti al minimo e gli abitanti vengono quotidianamente spremuti fino all’ultima goccia di energia. Inoltre, gli umani sono minacciati da un pericolo esterno: l’androide cognitivo senziente Magnus0, fuggito da un laboratorio dieci anni prima, il quale proprio su KB-34 ha costruito il suo dominio e controlla un numero enorme di replicanti, che intende dispiegare per annientare i suoi creatori e antichi padroni.

L’unione di questi tre fattori oppressivi rende insostenibile la vita per un numero considerevole di coloni, i quali iniziano lentamente ma inesorabilmente a suicidarsi uno dopo l’altro. Preoccupato dalla situazione, il comandante Bosch convoca un uomo di poche pretese, Lewis Harper, e lo investe del ruolo di operatore, conferendogli particolari privilegi e un equipaggiamento speciale affinché fermi l’ondata di morti autoprovocate. Poco prima dell’investitura, Harper viene avvicinato in segreto da un uomo che riconosce come il suo vecchio amico Stan, sebbene quest’ultimo fosse morto durante il viaggio verso KB-34. Egli rivela di conoscere alcuni segreti su Bosch e sul reale andamento della missione, per poi sparire nel nulla prima che un drone in avvicinamento potesse sorprenderlo a parlare con Lewis.

Harper comincia il suo nuovo incarico, girovagando per la colonia e mettendo alla prova la salute mentale di alcuni compagni, ma non riesce a impedire altri suicidi, mentre gli viene rivelato dai superiori che lo Stan incontrato giorni prima era un semplice replicante sperimentale, un freddo androide programmato per scimmiottare i suoi tratti fisici e psicologici. Qualcosa però non convince Harper di questa spiegazione: le azioni e le intenzioni di Stan, quella notte, sembravano del tutto figlie di una volontà e di una coscienza proprie, analoghe a quelle teoricamente defunte del suo amico. Il mistero della sorte di Stan e della possibile compenetrazione tra cognizione umana e corpo cibernetico si accompagna a quello della reale causa del numero anomalo di suicidi, mentre Harper da fondo a tutte le sue energie mentali per venirne a capo. Tuttavia, quando il protagonista è a un passo dal risolvere almeno il secondo problema, Magnus0 scende in campo per l’offensiva finale contro i coloni e giunge il tempo dell’ultima, sanguinosa battaglia per la sopravvivenza su KB-34.

“Quando Owen mi ha informato del suo incontro di stamattina, mi è dispiaciuto. Dico sinceramente, dev’essere una delusione traumatica pensare di avere a che fare con una persona cara e rendersi conto che si tratta di un fottuto androide”.

Claudio Secci – Il Supervisore dei Suicidi

Leggendo Il Supervisore dei Suicidi, emerge prima di tutto la capacità da parte di Secci di condensare un grande numero di elementi, nozioni e scenari in un numero ridotto di pagine. Si tratta di una scrittura che rigetta il superfluo, senza tuttavia risultare povera, adatta a un romanzo che presenta una vicenda già di per sé intricata, incentrata su un protagonista-catalizzatore di tre grandi forze in conflitto: gli umani degenerati, gli androidi aggressivi e la via d’uscita rappresentata dal misterioso androide Stan. La competenza tecnica dell’autore in termini di fantascienza si evince dalla presenza di una lunga serie di apparecchi, accessori e gadget avveniristici, in linea con l’ambientazione temporale di circa un secolo successivo alla nostra, il cui funzionamento viene spiegato con dovizia di particolari. Vale lo stesso per le condizioni ambientali e fisiche di KB-34, così come per la routine degli esseri umani sull’esopianeta. Secci, durante la stesura, si è persino posto il problema di rendere conto al lettore dell’origine e delle proprietà organolettiche delle barrette energetiche di cui si cibano i coloni, grazie a un apposito prontuario situato nelle ultime pagine. Si tratta di una cura per il dettaglio che stupisce e affascina, oltre a spianare il terreno per l’altro grande punto forte del narrato: la caratterizzazione dei personaggi e la profondità delle loro interazioni.

Lewis Harper vive a prima vista una parabola di riscatto, scalando posizioni nella gerarchia umana e venendo così a contatto con le informazioni necessarie per agire secondo coscienza al mutare dello scenario, tuttavia trascina sempre con sé un senso di depressione, smarrimento e nostalgia per cos’era la vita prima di KB-34. A tali sensazioni fa da contraltare un forte desiderio di lasciarsi alle spalle il grigiore dell’inospitale esopianeta, di superare la crisi e di tornare a vivere provando emozioni forti e pure. È proprio sulle emozioni, sulla capacità di provarle e sul loro ruolo di ultima scintilla vitale per un’umanità spiritualmente e fisicamente moribonda che Lewis interroga continuamente se stesso e i replicanti di Magnus0 addomesticati dagli umani, senza trovare risposta.

“Mi tengo strettissima la speranza che questo purgatorio finisca presto, ora che ho ancora la forza di mettermi in gioco e provare a ridare un’opportunità al pianeta che mi ha visto nascere”.

Claudio Secci – Il Supervisore dei Suicidi

Ed è sul filo sottile che lega vita e morte, meccanico e sintetico, per mezzo delle emozioni che si sviluppa il legame tra Lewis e il replicante Stan, flebilmente attaccato all’ultimo soffio di esistenza proprio grazie al ricordo dell’amico. La ricchezza, a discapito della lunghezza, della costruzione narrativa di Il Supervisore dei Suicidi presenta altre vicende e interazioni tanto implacabili quanto toccanti, in perenne oscillazione tra la disperazione e la speranza, l’ego e la solidarietà, il vuoto esistenziale e la smania di esistenza, di cui non posso tuttavia entrare nei dettagli senza approdare sul pianeta spoiler.

(Da sinistra a destra: ALBERTO GROMETTO, CLAUDIO SECCI e MARCO FERRERI al SALONE DEL LIBRO DI TORINO 2024; rispettivamente l’Augusto Direttore di M&F, l’autore del libro di cui tratta questo articolo e il Pennivendolo Ubriacone che ha scritto questo pezzo)

Perché leggere Il Supervisore dei Suicidi, dunque? Per la capacità del romanzo di smuovere emozioni molto intime, senza tuttavia sacrificare azione, fluidità e coerenza della storia; per la quantità e la qualità di dettagli e spiegazioni, in grado di appagare anche il lettore di fantascienza più esigente; per lo stile unico, chirurgicamente evocativo, che caratterizza ogni sua scena.

Ma soprattutto perché è nello specchio di un luogo sperduto nel cosmo che brilla il riflesso del nostro mondo interiore.

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