La Grande Sfida NON adatta ai cinefili deboli di cuore: Michael Bay Vs Alfonso Cuarón

DI ALBERTO GROMETTO

Sì, sì, sì: non serve dire altro! 

So già che fin dal titolo, financo dal semplice accostamento di questi due nomi, orde impazzite urlanti di amanti cinefili stanno gridando allo scandalo, affilando i coltelli, brandendo torce e forconi e organizzandosi in squadre di ricerca per venirmi a prendere!!!

Ma davvero, come hai potuto Tu, oh Augusto Direttore di “MERCUZIO AND FRIENDS”, tradire la Settima Arte in questo modo e osare spingerti a tanto? Addirittura accostare un Genio del Mezzo Cinematografico, Trionfatore ai Premi Oscar, Maestoso Maestro Magistrale… a quello che a tutti gli effetti è considerato come il Buffone della Cinepresa, il Giullare del Cinema, la Fanghiglia che sporca le scarpe dei veri cinefili???

Sì, è così che vengono considerati agli occhi del mondo cinefilo i due protagonisti di questa Grande Sfida.

Da una parte abbiamo quello che è considerato tra i migliori registi in circolazione, il primo messicano in assoluto a vincere l’Oscar come Miglior Regista, detentore di ben quattro statuette dorate (due alla Miglior Regia, una alla Miglior Fotografia e una al Miglior Montaggio) e del nostrano Leone D’Oro veneziano, facente parte del noto trio dei “Tre Amigos Del Cinema” (insieme ai suoi due connazionali e colleghi registi, il fantastico GUILLERMO DEL TORO e quel geniaccio sovrumano e sublime di ALEJANDRO GONZÁLEZ IÑARRITU), capace di arrivare a fare soggettista, sceneggiatore, produttore, regista, direttore della fotografia e montatore dei suoi film, osannato e idolatrato e amato fino all’estremo: ALFONSO CUARÓN.

Dall’altra invece abbiamo il regista più tamarro che esista, ritenuto una sorta di bifolco cinefilo, realizzatore di successi commerciali mondiali considerati tali in virtù della loro volgare rozzezza appariscente e ignorante grossolanità esagerata ed estrema, odiato dalla critica, deriso dal pubblico, vilipeso dal resto del settore, stroncato da qualsiasi rivista cinematografica possibile ed immaginabile, essere paragonati a lui è per qualsiasi giovane cineasta alle prime armi un’onta vergognosa e una macchia indelebile che non possono essere lavate via, fischiato a dispetto dei miliardi che ha tirato su e continua a tirare su nell’arco di una carriera piena zeppa di produzioni ad altissimo budget: il regista e produttore statunitense MICHAEL BAY!!! 

Cos’hanno in comune questi due tizi? ASSOLUTAMENTE NIENTE! 

E, a dire il vero, credo non vi sia un solo articolo sul web che abbia mai parlato di questi due insieme. Ritengo che questo mio pezzo possa essere il solo. Ma perché ho deciso di metterli insieme? Solo per far scalpore, sensazione, clamore? Spesso, dicono, che queste mie “Grandi Sfide” (che vi esorto a leggere, almeno per farvi qualche risata!) siano solamente delle provocazioni fini a sé stesse. Ma così non è. Sì, sono provocatorie. Sì, talvolta decisamente scandalose. Ma dentro c’è sempre un cuore che batte. Anche se così può non sembrare, anche se così si rischia di apparire ridicoli.

Ma sapete che vi dico? Chissenefrega della ridicolaggine! Ridicolo è adeguarsi ad un mondo che ti dice “Quella cosa sta così e quest’altra sta cosà!” e annuire “Sì, sì, è vero!” per non fare la figura del ridicolo che la pensa diversamente. Ben venga il pensare diverso, il pensare diverso è quel che ci salverà da un mondo grigio grigio in cui tutti sono uguali a tutti, i pensieri son gli stessi beceri triti e ritriti, e il modo di essere non è libero ma condizionato da come gli altri vogliono che tu sia. La libertà di essere liberamente noi stessi è quanto di più prezioso abbiamo, e va difesa ad ogni costo, anche se questo ti farà sembrare ridicolo. Ma almeno sarai Tu, almeno sarà la tua ridicolaggine. 

E dunque non me ne frega niente se, uscito questo articolo, mi verranno a prendere per mettermi una camicia di forza e mi faranno internare nel manicomio dei matti cinefili additandomi come un pazzo scriteriato o un folle che non capisce niente! Il vero insulto al Cinema, a mio modo di vedere, sarebbe non dire come stanno le cose solo perché gli snob cinefili intellettualoidi hanno stabilito la loro verità e uno deve adeguarsi. Beh, io non mi adeguo. Non mi adeguo perché sono un cinefilo, uno vero. Chiamatemi buffone, pazzo, cretino. Forse sono tutte queste cose. Ma sono anche un cinefilo, innanzitutto un cinefilo. E in quanto tale la prima cosa che so fare, quella che so fare meglio, è GUARDARE. 

Il vero cinefilo è colui che guarda, e poi sente. Il commentare viene dopo, o comunque non è necessario. Chi ama il Cinema, ama vedere. E ognuno sente le cose a modo suo, quando le vede. Non nel modo che dicono gli altri. Ma a modo suo.

La verità è che dovessi scegliere tra il signor Bay e il signor Cuarón, io sceglierei tutta la vita il signor Bay. 

(Ah, ah, ah: non avrò mai preso un Oscar, ma ho vinto la Grande Sfida dell’Augusto Direttore… BECCATEVI QUESTA!!!)

COME??? COSA??? PERCHÉ???

Sì, m’avete capito benissimo!

Alfonso ha diretto magistralmente e impeccabilmente sostanzialmente poche pellicole nell’arco della sua carriera. Meno di una decina in quasi 35 anni di carriera. Film impressionanti di una notevolissima e indubbia qualità estetica e potenza visiva e innegabile fascino magnetico. Ma io credo in una cosetta chiamata: LA STORIA.

LA REGIA DEI GRANDI MAESTRI DEVE ESSERE SEMPRE AL SERVIZIO DELLA STORIA CHE RACCONTANO.

Prima viene la Storia, poi la Regia. E MAI il contrario. E, attenzione: questo non significa che una sceneggiatura debba essere “migliore” della regia che la esprime. Se ci pensate bene, non esiste storia più semplice rispetto a «LO SQUALO» di quel formidabile e meraviglioso Maestro ineguagliabile quale è STEVEN SPIELBERG. La trama? Uno squalo enorme terrorizza una cittadina balneare e allora gli si dà la caccia. Sai che roba! Eppure è una perla immortale di puro, altissimo, Cinema. Come mai? Perché attraverso quelle inquadrature, quel montaggio, quel commento sonoro… in una sola parola, attraverso quella regia… quello squalo c’è senza esserci, non ci viene mostrato, la sua presenza terrorizzante permea lo schermo anche quando assente, perché lo sentiamo, lo percepiamo, lo viviamo come fosse sempre in agguato. Quella tensione è tale non grazie alla storia semplice che più semplice non si può, ma per merito della sapientissima regia brillante e rivoluzionaria e innovativa e nuova di quel Sommo Eroe Cinematografico. Okay, va bene, però… però quella regia spielberghiana così straordinaria è tale proprio perché si mette al servizio della storia che narra, perché serve ad ESPRIMERE la storia che racconta. Perché la storia dice che c’è uno squalo che terrorizza una cittadina balneare e allora tu, tu che sei il regista, devi far vivere quel terrore. Non realizzare inquadrature mozzafiato solamente per mostrare che sei bravo!

(Michael Bay & Steven Spielberg)

Okay, sto per dirlo, non m’importa se mi ammazzerete di botte. Sappiate che per me Alfonso Cuarón, indiscutibile maestro della cinepresa che sa usarla come pochi, su questo non v’è alcun dubbio, NON è veramente un regista. E questo perché lui NON si mette MAI al servizio della Storia che racconta. Le sue inquadrature incredibili, la sua fotografia meravigliosa e i suoi pianisequenza immortali che han segnato la Settima Arte… sono davvero necessari, se si pensa alle storie che narra? Servono davvero ad esprimere ciò di cui si racconta? Voglio essere chiaro: non sto dicendo che i film cuaróniani siano privi di sostanza e di narrazione. Sto dicendo qualcosa di peggio: che pur essendo storie vere e forti e potenti e ricche e grandi… sono come sprecate, buttate via, “messe da parte” in favore di una regia che vuole mostrarsi, che desidera mettersi in mostra e farsi vedere, che vuole essere ammirata e applaudita. Ma che non vuole raccontare. Che si dimentica di raccontare. La Regia diventa più importante della Storia, e questa è una cosa che non deve capitare. MAI.

Basti pensare alle sue ultime pellicole. Quel «GRAVITY» che racconta una storia di pura tensione e brividi freddi nello spazio… per cosa se lo ricordano tutti? Solitamente per il mega-pianosequenza iniziale. E per le inquadrature favolose. E per la fotografia grandiosa. Cuaròn ci vinse sia la Miglior Regia sia il Miglior Montaggio. E poi? E poi basta. Non una parola sui temi della vicenda, sul valore della narrazione, persino le interpretazioni dei due attori protagonisti (una SANDRA BULLOCK sublime e un ottimo GEORGE CLOONEY) non sono mai troppo menzionate.

(La magistrale Marina De Tavira in «Roma»)

E che dire di «ROMA»? Io ho amato quel film, col quale Cuarón ha vinto il suo secondo Oscar come Miglior Regista, oltre che per la Miglior Fotografia. Stiamo parlando del vincitore nella categoria Miglior Film Straniero/Internazionale, che dir si voglia. Una storia potentissima, che colpisce al cuore, incredibile e con al centro due interpretazioni che m’hanno spiazzato: quella della protagonista YALITZA APARICIO e soprattutto quella di MARINA DE TAVIRA, la quale ci fa dono di pura e sensazionale meraviglia attoriale della quale non le sarò mai abbastanza grato e riconoscente. Sì, ma entusiasmo a parte, riflettendoci bene: il come sono state narrate le cose in quel film non ha preso il sopravvento sul cosa è stato narrato? Quelle riprese eccezionali erano davvero le migliori possibili per raccontare le vicende raccontate? No, io non credo. Pure il tanto citato pianosequenza finale: era davvero il modo migliore di raccontare quello che ci è stato mostrato? O era il modo migliore per apparire come “il primo della classe”? Credo davvero che questo modo di raccontare non racconti. Quando “far regia” sarebbe proprio questo, cioè trovare il modo di raccontare.

Mi verrebbe ancora da menzionare «I FIGLI DEGLI UOMINI». Che film, quello! Lì Cuarón era ancora agli inizi, e forse più puro in qualche modo. Ma già da quella pellicola si nota come si cerchi di stupire e far sensazione e apparire grandi, mentre la Storia passa in secondo piano. Ne si conclude che il suo miglior film sia… e sembra follia… «HARRY POTTER E IL PRIGIONIERO DI AZKABAN». Ma davvero? 

E sì, perché il terzo capitolo sul maghetto più famoso di sempre fa parte di un franchise che ha messo la storia narrata prima di qualsiasi altra cosa, e qualsiasi regista ingaggiato si è dovuto adeguare. E così Alfonso, in quel caso, ha messo tutta la sua sapienza e tutto il suo strepitoso talento davvero al servizio di quella narrazione e ne è uscito uno dei migliori film fantasy, non solo potteriani, mai girati. In questo caso niente regia ingombrante, invadente ed egoriferita.

E invece l’altro, il caro Michael? Che ha fatto lui nella sua vita? 

Quindici produzioni in meno di 25 anni di carriera grazie alle quali ha incassato oltre sei miliardi in tutto quanto il globo, al punto da essere il quinto regista che ha incassato maggiormente in tutta la Storia del Cinema. Però la Storia del Cinema lo disprezza, come a dire che alla pagina del vocabolario cinefilo del “NON SI FA” c’è la sua faccia! Perché?

I suoi enormi, eccessivi, esagerati blockbuster hanno fatto il giro del Mondo. Stiamo parlando di ben cinque «TRANSFORMERS» (l’intera serie cinematografica principale), la saga dei megagalattici robot alieni in perenne lotta tra loro e che si trasformano in auto, aerei, navi, treni, motociclette e quant’altro. Oppure sono suoi i primi due «BAD BOYS» con protagonista quel duo fenomenale composto da WILL SMITH e MARTIN LAWRENCE nei panni di due divertentissimi detective della narcotici di Miami che si ritroveranno coinvolti in ben più di una sparatoria esagerata. E ancora, il suo recente «AMBULANCE», che in fatto di eccessi ed esagerazioni raggiunge l’apice. Ma, detto tra noi, è veramente bello e divertente vederlo superare il limite in questo modo! Eppure la creme della creme della critica cinematografica lo vede come un rozzo villico cinefilo. Come mai?

Il suo stile esageratissimo ed ultra-eccessivo, fatto di effetti speciali a tutta manetta e a tutta birra senza controllo, prodigo di colori sparatissimi e di esplosioni e catastrofi e iper-azione action tamarrissima ai limiti dell’umanamente possibile (diciamo che sfora nell’impossibile!), pompato da budget altissimi, che spinge al massimo sul pedale dell’acceleratore, caratterizzato da iperbolica spettacolarità smodata e da un freneticissimo ritmo indiavolato dovuto ad un montaggio assurdo e anomalo capace di donarci inquadrature che per la metà del film durano meno di un secondo, viene considerato “sbagliato”. Se non “orripilante”. Ma io invece mi domando: cosa c’è davvero di sbagliato? 

I suoi saranno sicuramente quelli che uno può definire “filmetti” o “filmucci”. E sì, la gente accorre in massa a vedere i suoi film per godere di tanta bella azione fuori di testa. L’introspezione psicologica e la profondità shakespeariana non sono la ragione del successo delle sue pellicole, questo è fuor dubbio. Ma le sue non sono storie prive di anima o di sostanza. Ma, molto semplicemente, sono “storie semplici”. Come nel caso de «Lo Squalo». E non voglio apparire come blasfemo nel dire questo, ma solo come qualcuno che si rende conto di una grandissima verità, e cioè che a Michael Bay non gliene frega niente di apparire come bravo, o virtuoso, o “il primo della classe”. Lui semplicemente racconta. Racconta mettendosi al servizio della narrazione. E sì, il suo sarà un modo di raccontare ritenuto grezzo, volgare, tamarro e veramente esagerato. Ma è suo. Ed esprime davvero le storie che narra, pur nella loro semplice semplicità. Al punto che quando vai a vedere un film di Michael Bay, lo capisci subito che è “di Michael Bay”. Come può questo essere sbagliato? 

Puoi raccontare di robottoni che si pestano tra loro dandosele di santa ragione, come di comici poliziotti che sparano come non ci fosse un domani, come di un’ambulanza dirottata da dei criminali nel centro di Los Angeles e che non si capisce come diavolo faccia a non essere esplosa nel giro di un secondo! Per quanto il tuo stile potrà essere discusso, per quanto la critica possa disprezzarti, per quanto tu possa essere messo in ridicolo… se racconti quello che racconti per amore del racconto e di nient’altro, allora non potrai mai davvero sbagliare.

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