DI EDOARDO VALENTE
Il 15 novembre è una data importante. Non solo perché è il giorno in cui è nato Mercuzio and Friends, ma anche per un altro evento, avvenuto una novantina di anni prima, sempre a Torino.
Mi riferisco alla fondazione della casa editrice Einaudi!
Come è nata? Per merito di un focolare.
Nel 1933 in Italia la situazione non è delle migliori. È già trascorso il primo decennio del ventennio fascista, la libertà di stampa ce l’hanno in pochi (e quei pochi devono essere fascisti), la cultura non è esattamente la cosa che sta più a cuore a chi governa il Paese.
E questo, ovviamente, non sta bene a tutti.
Tra quelli a cui non stava bene c’era un giovane Giulio Einaudi (figlio del futuro Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi), che, poco più che ventenne, darà il via ad una operazione culturale che sfocerà nella casa editrice che porta il suo nome.
Come ogni focolare, però, c’è bisogno di qualcuno che faccia da scintilla per accendere il fuoco. Costui è stato Augusto Monti.
Egli era professore al liceo classico D’Azeglio, che era stato frequentato da personalità quali Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio e Massimo Mila.
Tutti questi, insieme a Einaudi, hanno formato il primo nucleo attorno al quale è nata la casa editrice.
Ma all’inizio degli anni Trenta, chi erano?
Nessuno.
Dei ragazzetti appassionati di cultura, letteratura, uniti dalla figura del professor Monti e dalla sua precisa posizione politica: l’antifascismo.
Il sentimento con cui nasce l’Einaudi è proprio l’antifascismo.
E il fascismo è intervenuto più volte a ostacolare la riuscita di questo progetto.
Il primo a venire colpito fu proprio Augusto Monti, che perse la cattedra e che per mantenersi divenne insegnante privato dei figli della famiglia Agnelli.
Nel 1935 fu il turno di Einaudi stesso, che venne arrestato e portato fuori dall’Italia. In seguito ad un suo rientro, una decina di anni dopo fu egli stesso ad autoesiliarsi in Svizzera.
In quegli stessi anni, anche Leone Ginzburg, che intanto aveva sposato Natalia Levi (meglio nota con il cognome del marito), venne arrestato, e morì in carcere a seguito delle ferite procurategli dalle torture, nel 1944.
Leone Ginzburg era stato di fatto il primo direttore editoriale, e in questo ruolo venne sostituito da Cesare Pavese, al cui fianco si aggiunse Elio Vittorini, con l’aumentare delle sedi della casa editrice sparse per l’Italia.
Terminata la guerra, superata la minaccia del fascismo, una delle opere a cui si sono dedicati è stata la pubblicazione degli scritti di Antonio Gramsci (che fu anche amico proprio di Augusto Monti).
Pavese nella seconda metà degli anni Quaranta occupa un ruolo centrale, e si dedica all’ampliamento delle tipologie di testi trattati dalla Einaudi.
L’espansione va sia nella direzione della saggistica, che in quella della narrativa. In questi anni nascono alcune delle collane che ancora fanno da colonne portanti, e ormai l’inconfondibile bianchezza dei loro libri è divenuta un marchio riconoscibile.
Purtroppo, Pavese si suicidò nel 1950, e dopo di lui una figura centrale per la Einaudi, oltre a Vittorini che è rimasto tale, è diventato Luciano Foà. Grazie a lui, nuovi autori italiani sono entrati a far parte delle fila degli “einaudiani”, tra cui: Beppe Fenoglio, Mario Rigoni Stern, Lalla Romano e Leonardo Sciascia.
Anche Italo Calvino, che considerava Pavese un mentore, oltre che un amico, aveva iniziato a lavorare per Einaudi, accrescendo dunque il numero di scrittori significativi per la letteratura italiana della seconda metà del Novecento che sono passati per questa casa editrice.
Torna il tema del focolare: attorno al fuoco einaudiano si sono raccolti tutti coloro che un tempo non erano nessuno, e oggi si studiano nelle antologie scolastiche, oggi hanno migliaia di appassionati lettori, ammiratori a distanza nel tempo.
Ma da questo fuoco sono stati prodotti anche dei lapilli che hanno creato ulteriori focolari, distaccandosi dalla matrice originaria.
Gli anni Sessanta furono un periodo di cambiamento per la Einaudi, che stava iniziando ad agire maggiormente in una logica di mercato.
In questi anni il già citato Luciano Foà, a causa del rifiuto di Giulio Einaudi di pubblicare l’opera di Nietzsche, decise di fondare una casa editrice per conto proprio.
Insieme a Bobi Bazlen e finanziati da Roberto Olivetti, fondano a Milano la Adelphi.
Questo non è l’unico esempio: a fine anni Cinquanta la Einaudi fu costretta a cedere parte dei diritti a un direttore interno, Paolo Boringhieri, che ha fondato la casa editrice omonima, specializzata in saggistica, sia scientifica che umanistica. Ma una trentina di anni dopo, un altro membro interno alla Einaudi, Giulio Bollati, si sarebbe unito a lui, fondando quella che è oggi nota come la Bollati Boringhieri.
Spendere tempo ad elencare tutte le grandi personalità che hanno attraversato non solo la Einaudi, ma anche le altre case editrici nate, direttamente o indirettamente, grazie ad essa sarebbe inutile. Sappiate che sono tantissime.
Ora a me non interessa particolarmente raccontare il destino di queste realtà culturali ed economiche, per questo voglio fermarmi fissando questa immagine.
Perché ciò che è stato centrale è il nostro immancabile focolare.
Il fuoco della passione non solo per la cultura, ma anche per la libertà, che ha guidato e ispirato coloro il cui lavoro ancora oggi possiamo vedere in maniera tangibile.
Ogni volta che, da appassionati lettori, ci avviciniamo, tra gli scaffali delle librerie, all’opera di un autore che ci piace particolarmente, tendiamo a dimenticare che, se possiamo leggere quelle parole, in fin dei conti, è soprattutto per merito di questi grandi organismi che sono le case editrici.
Mi viene da paragonarle a degli agricoltori, che curano il terreno su cui può crescere la pianta (l’autore) in grado di donare i suoi frutti (le opere), e se noi possiamo assaporare quei frutti è solo per merito di un intermediario, l’agricoltore-editore che li porta fino a noi.
Significa porre la propria libertà al servizio della cultura, come ricordano le parole di Giulio Einaudi:
“È a questo principio della ‘religione della libertà’ che ancor oggi la casa editrice si richiama, ben sapendo che i vari libri che essa pubblica sono al servizio di un sapere unitario e molteplice, ben sapendo che ogni libro si integra agli altri suoi libri, ben sapendo che senza questa integrazione, questa compenetrazione dialettica si rompe un filo invisibile che lega ogni libro all’altro, si interrompe un circuito, anch’esso invisibile, che solo dà significato a una casa editrice di cultura: il circuito della libertà.”
Se questo pezzo ti è piaciuto, leggi gli altri che fanno parte della nostra rubrica “Focolare“!!!
Se ami la Scrittura in ogni sua forma, allora non potrai che cliccare qua!!!