Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (Luis Sepùlveda)

DI ELODIE VUILLERMIN

Un incontro tra mondi opposti. Una storia basata su tre promesse. Una scommessa azzardata e vinta con successo. Così si potrebbe riassumere questo libro, una lettura a cui sono particolarmente affezionata perché è il ricordo più positivo che mi è rimasto di un periodo difficile.

ANIMALI MOLTO UMANI

Sepúlveda inquadra molto chiaramente i personaggi. Da una parte abbiamo Kengah, una giovane gabbiana dalle piume argentate, in procinto di concludere la migrazione e mettere su famiglia. Ha molti sogni da realizzare e tanto da perdere: una realtà che, purtroppo, si concretizza quando una macchia di petrolio la sorprende e la condanna a una morte lenta e dolorosa. Dall’altro lato c’è Zorba, un gatto nero, grande e grosso. È da solo a casa ed è stato cresciuto da un bambino che gli ha salvato la vita quando era cucciolo. Queste semplici informazioni bastano a farci capire che, quando qualcuno in difficoltà entrerà nella sua vita, lui farà di tutto per dargli una zampa. Ed è quel che succede quando una morente Kengah si schianta sul balcone di casa sua, affidandogli il proprio uovo.

Ad ogni animale Sepúlveda dona una personalità, un’intelligenza, la facoltà di parlare un proprio linguaggio, come suo solito in questo tipo di storie. Nella banda dei gatti del porto ognuno ha il suo ruolo o caratteristica peculiare che suscita simpatia (o antipatia) agli occhi del lettore: Zorba è uno spirito generoso e battagliero al tempo stesso, pronto a tirare fuori gli artigli per difendere gli amici e disposto a tutto pur di mantenere le promesse che fa; c’è Colonnello, un gatto vecchio e a detta di tutti molto saggio, anche se la sua sapienza deriva dal prendere i suggerimenti di Segretario e fingerli suoi; c’è Segretario, spesso trattato come l’ultima ruota del carro e accusato di “rubare i miagolii di bocca” a Colonnello; c’è Diderot, l’intellettuale con il muso sempre sui libri dell’enciclopedia; e Sopravento, gatto di mare abituato a viaggiare per nave. Poi c’è Mattia, lo scimpanzé bigliettaio, rozzo, disonesto e incapace di scendere a patti con i felini. Per ultimi, i gabbiani: la già citata Kengah, una viaggiatrice, una sognatrice, una madre con grande spirito di sacrificio; e Fortunata, una pulcina combattuta tra il desiderio di volare e la voglia di essere un gatto, che stringe un affettuoso legame con Zorba.

MONDI DISTINTI

Come già visto in altre opere, Sepúlveda ci mette un certo impegno nel farci immedesimare negli animali e illustrarci i loro pensieri. Il mondo a cui appartengono è diverso da quello umano. I gabbiani hanno una loro legge, quella del mare e dei venti; perfino i gatti hanno le loro regole e dei tabù da non infrangere, primo fra tutti il divieto assoluto di parlare con gli uomini. C’è una vera e propria distanza tra umano e animale. Il primo è visto dal secondo perlopiù come una figura distruttrice, inetta, irresponsabile, che crea disastri dalle conseguenze imprevedibili, tant’è vero che le onde di petrolio vengono chiamate “maledizione dei mari” o “peste nera”; a detta dei gatti, “gli umani sono incapaci di accettare che un essere diverso da loro li capisca e cerchi di farsi capire”. Questa distanza si colma in due occasioni: nel rapporto che Zorba ha con il suo padroncino e sul finale, quando il gattone nero rompe la barriera tra i due mondi parlando la lingua degli umani con un poeta.

Il ragazzino padrone di Zorba è mostrato una sola volta, poi non si vedrà più. Eppure viene data molta cura al suo rapporto con il gatto nero, simile per certi versi a quello tra Max e Mix in Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico. C’è poi la figura del poeta, fondamentale per la storia, l’unico in grado di volare con le parole. Entrambi sono quel genere di umano che Sepúlveda esalta e ci invita a prendere come modello, rispettando la natura e impegnandoci a non distruggerla. L’autore non addolcisce la pillola nel dimostrare le nefaste conseguenze dell’inquinamento dei mari, rende molto bene l’agonia di Kengah e la sua lotta per la sopravvivenza e lascia intendere che, se abbiamo a cuore gli animali e il nostro pianeta, dobbiamo proteggerli.

Mondi altrettanto diversi sono quelli dei gatti e dei gabbiani. Gli uni volano liberi nel cielo, gli altri vivono sulla terra. Eppure Kengah sceglie di affidare le sue ultime speranze proprio ad un gatto. C’è qualcosa in Zorba che non lo rende il classico predatore di uccelli: ha un cuore grande, uno spirito generoso, ha il suo codice d’onore, non mostra indifferenza di fronte alla sventura altrui; ed è per questo che lei capisce di potersi fidare.

LUOGO, TEMI E STILE

Il porto, covo di sogni e speranze, luogo da cui partire verso mondi lontani, è l’ambientazione perfetta per quello che simboleggia. Sorge sul mare, punto di contatto tra Kengah e Zorba: lei trae forza e nutrimento dai pesci che vi nuotano, lui sogna di solcarne le acque. Entrambi hanno il proprio viaggio nel cuore, un viaggio legato al mare, con la differenza che quello di Zorba è ancora lontano dal realizzarsi e quello di Kengah finisce in modo tragico. Ma quella fine è solo la partenza di una nuova avventura, quella di sua figlia Fortunata. Toccherà a Zorba condurre la gabbianella fino alla meta del suo viaggio, aiutato dagli altri gatti e dal poeta. E quella meta coincide con il campanile di San Michele, da cui Fortunata spicca il volo nella pioggia, in una scena memorabile.

Viene data molta importanza alla solidarietà tra i diversi, alla difficoltà nell’accettare la propria vera natura, alla grande sfida della crescita, alle promesse da mantenere, alla famiglia e al rispetto per Madre Natura. Sepúlveda ce lo trasmette con la sua solita scrittura semplice, pulita e scorrevole. Ci porta alla fine del libro in pochi capitoli, brevi ma ricchi di insegnamenti che ti rimangono nel cuore per sempre.

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