DI ELODIE VUILLERMIN
Un capolavoro dell’animazione italiana e una pietra miliare della mia infanzia: ecco come descrivere questo film del 1998. Non si tratta soltanto dell’adattamento di uno dei migliori libri di Sepúlveda e del più grande successo di Enzo D’Alò. È molto di più, e ve lo dimostrerò.
DIFFERENZE CON IL LIBRO
Come in ogni adattamento, la narrazione del film non rispecchia quella del libro originale al 100%. Molte scene hanno un ordine invertito rispetto alla versione cartacea, altre sono state aggiunte di sana pianta (tra cui l’assalto alla base dei topi con il “formaggio di Troia” e la battaglia di inizio film al porto). Ma gli eventi più importanti, dall’incidente con la petroliera all’incontro tra Kengah e Zorba, dalla nascita della gabbianella al momento in cui vola, ci sono tutti. E anche il character design dei protagonisti è stato mantenuto, senza grandi variazioni.
Personaggi che nel libro avevano ruoli marginali sono stati ampliati nella loro caratterizzazione: Bubulina diventa l’interesse amoroso di Zorba e dona il suo aiuto nella costruzione del “formaggio di Troia”; allo stesso modo i topi, minaccia alquanto marginale nella storia cartacea, acquisiscono più importanza, diventando una figura antagonistica che bracca la giovane Fortunata in più di un’occasione e che rende la vita difficile ai gatti del porto da tempo immemore. Scelte che, a parer mio, sono state giuste e che non snaturano l’opera originale.
Rimossi completamente alcuni personaggi, tra cui l’ex marinaio Harry, i due gatti rissosi che deridono Zorba per aver adottato una gabbianella, il padroncino del gatto nero e la scimmia Mattia. Presenti inoltre nuove aggiunte fatte ad hoc solo per il film: Nina la figlia del poeta, un gabbiano di nome Igor e infine Pallino, nipote di Colonnello, protagonista di un arco narrativo tutto suo. Altri personaggi hanno addirittura cambiato nome o il loro ruolo è stato affidato a un altro: Sopravento diventa Rosa dei Venti; al posto del bambino padrone di Zorba c’è una signora di mezza età; a svelare a Fortunata la sua vera natura non è più Mattia, ma un geloso Pallino; il poeta (a cui lo stesso Sepúlveda presta la voce nel doppiaggio italiano), che avrebbe dovuto portare i gatti sul campanile della città per aiutare Fortunata a volare, perde questa responsabilità, di cui si fa carico Nina.
I messaggi che il film vuole trasmetterci rimangono gli stessi: rispetto per la natura, critica all’uomo irresponsabile e all’inquinamento ambientale, rispetto per il diverso, solidarietà reciproca, accettazione di sé e difficoltà della crescita.
GRANDI EMOZIONI PER IL GRANDE SCHERMO
La storia è già di per sé ricca di emozioni e messaggi importanti nella sua versione cartacea. La trasposizione cinematografica riesce a trasmetterli con un’intensità maggiore: merito di una regia eccelsa e una colonna sonora più che perfetta. Basti pensare alla scena in cui Fortunata scopre la sua vera natura e scappa via sconvolta: mentre è sotto la pioggia a riflettere, possiamo immedesimarci nella sua delusione e nel suo sconforto. O all’iconico momento in cui la gabbianella si lancia dal campanile della città e spicca il volo, che il canto di Ivana Spagna contribuisce a rendere ancora più mozzafiato.
Ma quella che più mi è rimasta impressa, a distanza di anni, resta la scena in cui Kengah rimane intrappolata nel petrolio. Le sue grida disperate e i suoi vani tentativi di liberarsi, mentre viene abbandonata al suo destino, mi inquietano ancora oggi (siamo ai livelli della morte di Mufasa, per intenderci). Una rappresentazione cruda e realistica dei danni che l’umanità arreca alla natura, spesso senza nemmeno accorgersene.
UN LAVORO ECCELSO
L’impegno che D’Alò ha messo in questo film è sbalorditivo, a cominciare dalla regia. Le transizioni da una scena a un’altra sono studiate con attenzione. Da un semplice disegno del mare che Nina fa con i pastelli ci si ritrova all’improvviso in mare aperto, tra le onde alte e la pioggia scrosciante; subito dopo, un’inquadratura dall’alto ci fa vedere una nave mentre sperona per sbaglio una petroliera e una macchia di petrolio che si espande nel mare, fino a che l’intero schermo non diventa nero. Oppure da Zorba che cova l’uovo nel suo cortile vediamo lo stesso gatto e la sua casa in forma di disegno infantile, mentre in sottofondo possiamo già sentire le prime note di Canto di Kengah.
Il tratto dei disegni è molto delicato e fluido, gli sfondi presentano colori gradevoli, c’è stata una grande cura nella costruzione degli effetti di luce e delle ombre. Alcune sequenze ti tolgono il fiato per la loro natura fantasiosa, quasi onirica: ne è un esempio l’inizio del film, quando i disegni di Nina prendono vita e si mescolano alla realtà; oppure la canzone Canto di Kengah in cui vediamo la gabbiana venire assorbita dal petrolio e diventare una goccia nera che, cadendo, assume la forma di un uovo che cambia colore più volte, prima di schiudersi e rivelare il pulcino al suo interno.
Capolavoro anche per quanto riguarda la colonna sonora, frutto del lavoro di David Rhodes. Ogni traccia musicale si adatta perfettamente alla scena che accompagna: musica incalzante per scene di paura o pericolo, cori quasi angelici per sottolineare la solennità dei gabbiani in volo e così via. I testi delle canzoni risultano molto orecchiabili e pregni di forti emozioni: si passa dall’allegra e scanzonata Siamo gatti (Samuele Bersani) all’inquietante Noi siamo i topi (Gaetano Currieri e Antonio Albanese), fino alla malinconica Non sono un gatto (Leda Battisti).
Ben due brani sono cantati dalla splendida Ivana Spagna, che non è nuova a prestare la voce nei soundtrack dei film d’animazione; basti pensare al celeberrimo Il cerchio della vita ne Il re leone. Il primo è Canto di Kengah, che la gabbiana dedica alla figlia non ancora nata per augurarle ogni bene, pur con una nota di rammarico per non poter essere con lei a guardarla crescere; il secondo, So volare, è un canto di liberazione con cui Fortunata esprime la sua gioia per aver raggiunto il suo vero mondo e la gratitudine verso i gatti che l’hanno aiutata nell’impresa. Ancora oggi, ascoltandole, mi si stringe il cuore per la tristezza e la commozione. Soprattutto se penso che anche Sepúlveda, al pari di Fortunata, è volato via. Il viaggio della gabbianella è anche il suo e ovunque andrà noi lo ricorderemo con affetto.
Guardatemi.
Sembra un gioco volar così.
Ora lo so chi sono io
ed il cielo è il posto mio.