DI MARCO FERRERI
Storie in Rete è una rubrica che, a singhiozzo e su diverse piattaforme, curo ormai dal 2021. Ho iniziato perché mi dava modo di confrontare il mio percorso artistico con quello di altri scrittori emergenti, ma nel tempo questa attività – Lettura critica? Recensione peer to peer? Pubblicità? Non saprei nemmeno come definirla – ha assunto altri significati ben più soddisfacenti.
Prima di tutto, la cultura in generale e quella letteraria nello specifico muovono dal basso, sviluppandosi a partire dall’embrione di una suggestione, che si trasforma pian piano in un complesso organismo con l’ausilio della penna o della tastiera. Il sottobosco letterario va indagato, scandagliato e, quando lo merita, valorizzato. È un atto d’amore verso la scrittura.
Inoltre, per uno scrittore i classici e i grandi successi letterari contemporanei costituiscono un oggetto di studio, a prescindere dal diletto. I testi degli emergenti, invece, sono una ventata d’aria fresca, nonostante le loro imperfezioni, o forse proprio grazie a esse.
Ma soprattutto, come si può paragonare la soddisfazione che dà trovare una perla dopo aver aperto mille ostriche, rispetto a quella di ottenerne una comprandola da Svarowski?

Dopo questo inutile preambolo che interessa soltanto a me, ringrazio Mercuzio and Friends per aver concesso spazio alla rubrica e procedo a presentare il libro al centro di questo episodio: Corso d’inglese obbligatorio il giovedì, scritto da Cecilia Alfier e pubblicato nel 2022 da Protos Edizioni, piccola e giovane casa editrice di cui l’autrice è vicepresidente. Si tratta del quarto romanzo firmato Alfier, a cui si aggiunge la pubblicazione della sua tesi di laurea magistrale in Scienze Storiche, dedicata alla figura di Anna Politkovskaja.
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La vicenda ha luogo appena prima della pandemia da COVID-19 ed è narrata in prima persona dalla protagonista, facendo ricorso a un lunghissimo flashback. Quest’ultima è una ragazza che si è appena trasferita in una nebbiosa e cupa città senza nome del nord Italia, a cui ci si riferisce come XXX. La giovane lavora, con poco entusiasmo e ancor meno passione, come segretaria in un ospedale, ma la sua vita apparentemente piatta nasconde una serie di segreti e stramberie senza fine. Si è decisa a lasciare la sua famiglia e il paese natale in quanto si sentiva discriminata, perché tutti credevano che fosse un “elfo“, esseri ritenuti inferiori da gran parte della società. Frequenta pochissime persone, tra cui spicca lo zio Cristiano, che poi non è nemmeno suo zio, ma un parente acquisito grazie a un intreccio di matrimoni disastrosi e conseguenti divorzi.
L’uomo, emblema del boomer complottista che affolla le bacheche di chiunque abbia ancora l’ardire di frequentare assiduamente Facebook, ha perso la prima moglie in seguito a un incidente, e ha eretto un altare in suo nome nel retro del laboratorio di ceramica, che costituisce l’attività di famiglia. Quando mostra il santuario improvvisato alla protagonista, la zia defunta si manifesta sotto forma di fantasma che, fatto del tutto eccezionale, riesce a comunicare a parole con la nipote. A quanto pare, soltanto gli elfi possono sentire la voce degli spiriti, ma questa ulteriore conferma del suo status di anormale non sembra turbare particolarmente la protagonista. Non da quando vive a XXX, dove la gente è tendenzialmente più avvezza agli elfi e meno alle discriminazioni rispetto al suo luogo d’origine, ma soprattutto dove l’anormalità sembra essere di casa.
La zia fantasma rivela alla giovane cos’ha in serbo l’Oltretomba per noi poveri umani: nulla di ciò che il cristianesimo e il senso comune associano a esso, e allo stesso tempo un’accozzaglia di molte credenze religiose. A dare il benvenuto all’anima è Anubi, il dio egizio, il quale presenta la celeberrima prova della bilancia con la piuma e il cuore del defunto. Superare la prova non dà accesso a un regno ultraterreno, bensì alla possibilità di scegliere in quale forma reincarnarsi. Se, invece, il cuore risulta più pesante della piuma, la forma in cui si rinascerà verrà decisa dai “poteri forti” dell’aldilà. In tutto questo, il Dio cristiano si occupa di marketing e di raccomandare figli e figliastri per innocui lavori d’ufficio.
Il motivo per cui la zia è rimasta nel limbo tra la vita precedente e quella successiva sta nel fatto che non ricorda il suo nome, necessario per ultimare la procedura. Allo stesso tempo, una serie di pene anch’esse obliate rendono il suo cuore estremamente pesante, incapace di superare la prova. Perciò, Anubi le ha affidato la missione di recuperare tredici oggetti per lei significativi, ossia tredici bottoni legati al suo passato. Al termine di ciò, il nome riemergerà dagli abissi dell’oblio, ma sarà anche necessario che la sventurata riviva i ricordi rimossi e le dolorose esperienze associate.
La protagonista si offre di aiutare l’essere incorporeo a trovare la sua pace e parte alla ricerca dei bottoni mancanti (il primo si trova già nel laboratorio ed è legato all’incidente che ha causato la morte della zia). Il secondo è in possesso di un membro della setta satanica che lo zio Cristiano frequenta abitualmente, così la protagonista accetta di presenziare a una delle loro messe nere. Lì incontra Marco, che diventerà il suo fidanzato, e una serie di personaggi certamente stramboidi e disinibiti, ma molto meno “neri” di come li si dipinge dall’esterno. La giovane decide quindi di unirsi alla setta per corteggiare il suo amore a prima vista, nonostante le mille difficoltà, soprattutto burocratiche, che l’iniziazione comporta.

A questo punto le quest delle due donne, una in cerca di amore e di accettazione nonostante la sua diversità, l’altra dell’espiazione delle sue pene, si intrecciano in un turbine di eventi altrettanto surreali, ma lascio al lettore il lieto compito di esplorarli per intero.
Com’è facile dedurre dall’incipit della trama, il romanzo gioca continuamente con l’assurdo, il grottesco e il ribaltamento dei significati per condurre una costante opera di satira e di debunking nei confronti delle credenze comuni. È scritto in uno stile schietto e chiaro, ma si avvale di giochi concettuali per colpire il lettore. Un esempio emblematico in questo senso è il fatto che lo zio Cristiano adori Satana. Tuttavia, vi è spazio anche per riflessioni estremamente lucide e taglienti in ambito di rapporti umani e di spiritualità, nonché per una forte critica sociale. Sotto la facciata apparentemente innocente, Corso d’inglese obbligatorio il giovedì cela messaggi di una disarmante profondità, e riesce a trasmetterli con rara semplicità, a volte facendo leva sulla risata, altre colpendo il lettore con veri e propri cazzotti in faccia.
Impossibile non compatire la protagonista, la cui personalità ricalca l’archetipo dell’inetto di Svevo. Si tratta di una ragazza considerata diversa e non troppo sveglia, ma che in realtà vive un’esistenza normalissima e monotona. Il suo difetto, o forse la sua salvezza, è la tendenza a farsi trascinare dagli eventi, specialmente dopo un mental breakdown che l’ha colpita in passato, in seguito al quale è costretta ad assumere psicofarmaci per tenere a bada le sue tendenze psicotiche.
Tendenze che la portano ad avere visioni assurde, ma che, man mano che gli eventi si dipanano, si scoprono essere quasi del tutto aderenti alla realtà. Le sue motivazioni vengono presentate in maniera sfumata, tuttavia rimangono solide per tutta la storia, al pari di quelle degli altri personaggi. La stessa cosa vale per le sue convinzioni, che dispensa con arguzia e cinismo, e per le sue emozioni, che proprio grazie all’estremizzazione trasmettono messaggi limpidi e chiari al lettore.
Lo zio Cristiano, nonostante l’immensa ignoranza da boomer e le sue opinioni spesso fuori luogo, figlie di un’ossessione per la controinformazione e per il sentito dire, alla fine è un buono. Infatti è ancora legato alla memoria della vecchia moglie e, al pari della nipote, è in cerca di un gruppo sociale che lo accetti per quello che è, in tutta la miseria umana di cui non è pienamente consapevole, ma che appare chiara al lettore.
Trova questa appartenenza nella setta satanica, la quale è descritta in modo buffo, grottesco, sostanzialmente innocente: più che di adoratori del Male, si tratta di persone che rifiutano i dogmi su cui è costruita la società. Uno di essi è don Andrea, onanista, che officia i riti soltanto per rinunciare al voto di castità e potersi “passare” tutte le candidate (e forse pure i candidati) durante l’iniziazione. Abbiamo poi Oreste Onesto, il fondatore, che prova inutilmente a indurre i proseliti a supportare le sue iniziative benefiche a vantaggio degli elfi, metafora di tutti i discriminati, dai disabili ai minorati mentali, fino agli oppositori politici al tempo del fascismo. E ancora Marco, il futuro fidanzato, un vero e proprio “zerbino“, che farebbe di tutto per compiacere le persone che ama, cosa che viene costantemente rimarcata dalla stessa protagonista, per quanto sia chiaro che lei lo ami a sua volta.
Il prosieguo della vicenda introdurrà altri personaggi, la cui personalità appare a prima vista ridicola e grottesca, ma che nascondono emozioni spiccatamente umane nel profondo della loro anima. In generale, i personaggi di Corso d’inglese obbligatorio il giovedì si presentano come le multiformi immagini proiettate da un labirinto di specchi. Immagini deformate in maniera buffa, ma che, se ci addentra nel dedalo fino a rinvenire il riflesso originale, proiettano un’umanità pura e limpida, in grado di trasmettere un lato tragico latente, forte quanto quello comico che manifestano all’apparenza.
Come già detto, la sconclusionata avventura narrata in Corso d’inglese obbligatorio il giovedì trova un modo tutto suo per affrontare tematiche complesse come la discriminazione, i capisaldi della spiritualità occidentale, la natura dei rapporti umani e l’organizzazione della società, soprattutto quella italiana, con le sue beghe burocratiche e le sue ottusità alienanti. Compaiono inoltre una miriade di citazioni provenienti dalla cultura pop dell’ultimo decennio, per esempio la serie Boris, la colonna sonora del film La Vita è Bella, il lanciafiamme evocato dal governatore De Luca per estinguere le feste di laurea durante la pandemia e la morte di Fabrizio Frizzi. Oltre ad alleggerire la lettura, questi riferimenti denotano una grande conoscenza da parte dell’autrice dell’attuale panorama (sub)culturale italiano, mentre le sue capacità narrative e di scrittura emergono autonomamente dalla costruzione del romanzo: ricco ma non contorto, complesso ma privo di buchi di trama e incongruenze.
In definitiva, Corso d’inglese obbligatorio il giovedì è una lettura dalle molte possibili interpretazioni e sfaccettature, capace di allietare con la sua leggerezza espositiva, ma anche di portare a riflessioni tutt’altro che banali. Un degnissimo esordio mercuziano per la rubrica Storie in Rete!
«Ancora non so nulla dell’Inferno, so che esiste, ma non è un luogo metafisico. Lo creiamo noi quando ci arrabbiamo o non ci comportiamo da amici»
(Cecilia Alfier – Corso d’inglese obbligatorio il giovedì)
Ed è impossibile non scorgerne l’anticamera quando si è costretti ad avere a che fare con l’invio di una PEC.


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