DI ELODIE VUILLERMIN
Il viaggio verso pianeti lontani comincia dentro di noi.
Questa antologia di racconti è la primissima a tema fantascientifico della casa editrice Land edizioni, che finora si era incentrata sul romance e sulla narrativa generale. Ho avuto il piacere di poter assistere alla sua presentazione in anteprima a Libri in Piazza, fiera letteraria di Rivoli curata dal Collettivo Scrittori Uniti, e di portarmi a casa una copia del libro autografata. Di questo ringrazio Claudio Secci e gli autori che erano presenti all’evento.
Our Last Land è stato, sostanzialmente, un esperimento, una sfida coraggiosa. E il coraggio ha ripagato eccome i dodici scrittori che hanno preso parte al progetto: è una lettura molto piacevole e affascinante, capace di dare vita a profonde riflessioni e di scuotere l’animo dei lettori.
Ogni racconto affronta il tema dell’abitabilità su pianeti diversi dal nostro, la ricerca della sopravvivenza in ambienti sconosciuti e tendenzialmente ostili, un argomento che suscita sempre un certo fascino. Parla della fantascienza in un’ottica non scontata, originale e molto coinvolgente.
Non sappiamo come siano i pianeti all’infuori della Terra, in che misura siano effettivamente abitabili e che condizioni ambientali abbiano. Molte informazioni, nonostante i progressi della scienza, sono tutt’oggi un’incognita. Ma possiamo provare a immaginarle, come appunto hanno fatto gli autori di questo libro. È stato un esperimento, uno sforzo di immaginazione. E quello che l’umano fa, alla ricerca di una nuova casa nello spazio, è lo stesso. In tutti i racconti ci vengono presentati esseri umani che sperimentano, si sottopongono a dei test, a volte fallendo pure, ma almeno ci provano.
L’antologia ti fa viaggiare con la mente e lo spirito. Ti sembra davvero di essere lì su quei pianeti, conosciuti e non, a vivere le sfide e i dilemmi morali che ogni protagonista affronta. Non solo. Ti dimostra che la vita su altri pianeti non è solo una meraviglia. È una sfida continua, che ti obbliga a fare i conti con te stesso. Stando così lontano dal tuo pianeta natale, con l’immensità del cosmo sopra di te, ti rendi conto della tua piccolezza. Impari a ridimensionare te stesso. Capisci che non sei così importante, né superiore ad altri.

Tra i racconti che più mi sono piaciuti non posso non citare quelli di Lorenzo Foschi e Giuliano Olivotto, con quell’atmosfera inizialmente idilliaca e speranzosa che viene infranta da un plot twist inquietante alla Orwell o alla Huxley, tale da lasciarti il dolceamaro in bocca e un senso di vuoto crescente nel tuo animo, paragonabile a un buco nero di inquietudine che ti inghiotte e non ti molla più, anche una volta conclusa la lettura.
Poi ho adorato la storia di Ilario Giannini, con quello scenario in stile “è troppo bello per essere vero, e infatti non lo è”, che riesce a dare profondità caratteriale a una IA, a rendere compassionevole qualcosa di meccanico e artificiale. Voglio fare i complimenti anche al mio collega mercuziano Marco Ferreri, che con il suo Reversibilità ha saputo porre l’accento sulla possibilità, per noi umani, di spogliarci dei nostri difetti e di smetterla di essere tanto caotici e distruttivi nei confronti delle altre forme di vita.
A livello di sospensione dell’incredulità è stato svolto un ottimo lavoro. Ogni autore si è impegnato nella descrizione della vita sugli altri pianeti, restituendo al lettore immagini spettacolari e molto evocative, tra balene che nuotano nei cieli, laghi di metano, ammassi di nubi cosmiche e tramonti con tonalità diverse da quelle dei comuni tramonti terrestri (rosso e rosa con gli anelli di Saturno all’orizzonte, oppure viola e arancione insieme). Alcuni elementi sono frutto di fantasia, altri sono qualcosa di realistico e plausibile, che forse potremo vedere tra qualche anno.
Vengono narrati scenari molto simili tra loro, tutti mozzafiato, che rappresentano la tenacia e la capacità di adattamento dell’essere umano, la sua forza nonostante il suo essere minuscolo rispetto all’immensità del cosmo in cui naviga e in cui cerca di sopravvivere. È proprio questo l’aspetto che mi ha sempre affascinato del genere fantascientifico: l’ingegno umano in lotta contro qualcosa di più grande di lui (l’infinito e grandioso universo).
Altrettanto affascinante è la grandiosità delle innovazioni tecnologiche che ogni autore si è immaginato nei diversi futuri narrati. I macchinari si evolvono al pari della mente umana. La nostra perseveranza si riflette nelle nostre creazioni futuristiche. Peccato che le macchine, nostri più grandi alleati, possano essere anche il nostro peggior nemico: nel momento in cui acquisiscono una consapevolezza e si accorgono della loro intelligenza superiore, non ci vuole molto per sottomettere gli umani ai loro ordini, per renderli schiavi di un algoritmo che a poco a poco potrebbe disumanizzarli. È una possibilità che questo libro ci invita a prendere in considerazione, un rischio che non possiamo correre.
Sono state utilizzate figure retoriche molto azzeccate, come quella in cui la Terra è paragonata a una clessidra dove i suoi abitanti sono granelli di sabbia, per dare l’idea del conto alla rovescia che pende sulle nostre teste e ci invita a prendere le cose con serietà. E le situazioni di tensione sono una costante, così come i colpi di scena.

Il principale punto di forza di questo libro, a mio modesto parere, sta però nei diversi stili narrativi. Alcuni racconti sono cupi, grotteschi e pessimisti. Altri si concludono con una nota più positiva e in certi paragrafi hanno persino un tono ironico. Poi ci sono quelli che si concludono con un enigma, lasciando a te il compito di trarre le conclusioni e interpretare il destino dei personaggi.
Ogni storia parla di equilibri precari, di sconvolgimento. Viene più volte evidenziato come l’umanità sia una specie tossica e irresponsabile. Un branco di esseri superbi, con la pretesa di controllare tutto, che fa ogni cosa per aggrapparsi a una minima possibilità di salvezza, anche la più discutibile. Come, ad esempio, cacciare dalle loro case le specie native di un certo pianeta, anche se non sarebbe necessario. Perché noi umani abbiamo la tendenza a pensare solo ai nostri interessi. A quel punto diventiamo noi gli invasori, i corpi estranei, che il pianeta cerca di rigettare creando condizioni a noi sfavorevoli.
Se siamo veri umani, dobbiamo impegnarci per preservare l’equilibrio degli ambienti in cui viviamo, non distruggerlo. Se non riusciamo a farlo sulla nostra Terra, non saremo capaci di farlo neanche su altri pianeti. Questo sembra volerci insegnare il libro: l’importanza di vivere in armonia con ciò che ci circonda, di rispettare certi limiti. Altrimenti, se l’equilibrio tra uomo e pianeta è sbilanciato, può capitare una di queste due cose: o noi veniamo sopraffatti dal pianeta e ridotti a meri strumenti nelle mani della natura, oppure saremo noi a condannare a morte la nostra casa e, di conseguenza, anche il nostro futuro.
Piuttosto che alterare un equilibrio preesistente e adattarlo ai nostri standard, dovremmo provare ad assecondarlo e ad adattarci noi alla “normalità” di quel pianeta. E per arrivare a ciò, dobbiamo trovare il giusto equilibrio interiore, prenderci le nostre responsabilità.
Spesso l’umano non ha il coraggio di prendere l’iniziativa, di guidare lui stesso il cambiamento. Teme il peso delle responsabilità, quindi lo scarica su qualcun altro. “Tanto io conto poco, perché mai dovrei fare qualcosa quando ci sono miliardi di altre persone oltre me che possono occuparsene?”, si chiede. Ma è proprio il menefreghismo, l’indifferenza, il non prendere posizione il problema più grande.
È necessario aprirsi alla via della sostenibilità ambientale, sia sul nostro pianeta che su altri. Dobbiamo agire fin da subito, prendere l’iniziativa, e farlo in questo presente. Solo così potremo lasciare in eredità alle nuove generazioni un futuro sereno, anziché i problemi e gli sbagli del passato.
Abbiate cura del vostro pianeta, perché non esiste un piano B.
(da Solar System Error, di Gualtiero Ferrari)
Abbiate cura della vostra Terra, perché potrebbe essere l’ultima adatta a voi. Abbiate, al plurale. Perché tutti devono dare il loro contributo. Il comportamento del singolo influisce sul destino della collettività. Anche una sola persona che sfrutta le risorse a disposizione senza alcun senso di responsabilità può causare la fine dell’umanità. Viceversa, l’aiuto di una persona in più, anche una soltanto, può fare la differenza e salvare il mondo: una goccia d’acqua da sola sembra insignificante, ma insieme a tante altre piccole gocce come lei, un giorno, potrà arrivare a creare un oceano o a erodere la roccia.
Sai, siamo sempre in tempo per cambiare le cose. Siamo sempre in tempo per essere persone migliori.
(da Non è mai troppo tardi, di Chiara Rametta)


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