Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa (Luis Sepúlveda)

DI ELODIE VUILLERMIN

Non credevo di potermi innamorare ancora di un libro di Sepúlveda, a quasi quattro anni dalla sua scomparsa. E non uno qualsiasi, l’ultimo da lui scritto. Pensavo che tra storie di gatti e gabbiani, di gatti ciechi e topi chiacchieroni, di lumache alla ricerca del senso della vita e della lentezza avessi ormai letto abbastanza di lui. Ma mi sbagliavo.

Un capodoglio spiaggiato. Un bambino in lacrime. Una conchiglia un po’ speciale, consegnata in mano a un uomo. Così comincia il lungo racconto di una balena, per la precisione di un capodoglio maschio bianco che ci parla del suo mondo e del suo rapporto con l’umanità. Una balena che ha lottato a lungo contro l’egoismo e la voglia degli uomini di avere sempre più di quello che necessitano. Sì, proprio quella balena: Mocha Dick. È la storia del mostro marino più temuto dagli esseri umani, ma dal punto di vista della balena stessa, che alla fine si rivela essere meno mostruosa dell’uomo.

Quelle che escono dalla conchiglia sono parole intrise di fierezza per la specie a cui Mocha Dick appartiene e malinconia per la solitudine in cui vive nuotando negli abissi, lontano dalla superficie e da ogni rumore. Ha una voce profonda e immensa come i mari in cui dimora.

Pagina dopo pagina, noi lettori nuotiamo accanto a Mocha Dick e veniamo in contatto con un mondo di suoni emessi per comunicare, di acqua sfiatata per respirare, di pasti a base di calamari e alghe, di canti funebri la cui eco si riverbera negli oceani. L’occhio di una balena è più potente di qualsiasi parola: basta guardarci dentro per vedere tutti i ricordi di ciò che la balena ha visto, per scorgere tutte le domande e i pensieri senza risposta.

Il capodoglio bianco è come un bambino ingordo di scoperte, si lascia guidare dalla curiosità e si pone domande sugli umani e le loro abitudini, così diverse da quelle delle balene. Per esempio, da dove vengono? Cosa li spinge a solcare i mari? Si crea delle aspettative, fa esperienze, sperimenta delusioni.

Un animale così grande osserva l’uomo nella sua piccolezza e ne riconosce l’ingegno per la capacità di creare imbarcazioni con cui solcare le onde. Ma ben presto quell’ammirazione si trasforma in paura. È atterrito nel realizzare che la specie umana è forse l’unica ad attaccare e uccidere i suoi stessi simili. Impara concetti come la guerra, la violenza, l’avidità. Apprende che esistono umani (i lafkenche) che rispettano la Natura e i suoi doni, mentre altri (i balenieri, o “forestieri”) prendono risorse senza ringraziare, si impongono con la forza, pretendono di ottenere ciò che vogliono senza mai chiedere.

Mocha Dick capisce che i “forestieri” vanno combattuti, se vuole proteggere i lafkenche e le altre balene. Quelle che vanno difese più degli altri sono quattro lafkenche dai capelli bianchi che una volta in acqua si trasformano in balene e hanno il compito di traghettare i corpi dei defunti fino all’Isola Mocha, dove i loro spiriti troveranno una degna sepoltura, lontani dai mali del mondo. Il capodoglio deve garantire che tutti i lafkenche vadano traghettati a destinazione: solo quando tutti avranno fatto il loro viaggio nell’aldilà, tutte le balene potranno navigare nel mare libero, quello senza balenieri.

Mocha Dick è tutt’altro che una bestia assetata di sangue. Sepúlveda ci permette di entrare nei suoi pensieri e ci restituisce il ritratto di un capodoglio tormentato, solo, amareggiato, ferito, spaventato. Le poche ore di sonno lo logorano. Percepisce il compito che gli è stato assegnato più come un peso che come un prestigio.

Si trova a fare i conti con il dolore e la frustrazione di non poter salvare sempre tutti, una ferita peggiore di quella inferta dagli arpioni che infilzano le sue carni. Il male dei balenieri diventa parte di lui e non lo abbandona più, poiché ogni arpione conficcato nel suo dorso si fonde con il suo corpo. Impara a convivere con il dolore e a sopportarlo. Sono le ferite a identificarlo, come una carta d’identità.

Poi, arriva il momento in cui tutto precipita e Mocha Dick diventa un concentrato di vendetta, una furia inarrestabile, un giustiziere feroce e solitario. E quel rancore, quella sofferenza, saranno il suo marchio fino alla morte. E qui, come il bambino che ha passato la conchiglia all’uomo, non potrete che piangere per quel povero animale.

E con nove arpioni conficcati nel dorso guadagnai il mare aperto, in cerca di altre baleniere, perché adesso ero io a inseguirle, io, il grande capodoglio del colore della luna che gli uomini tremando di paura chiamavano Mocha Dick.

Io, la maledizione che li avrebbe perseguitati senza tregua.

Io, la forza di chi non ha più nulla da perdere. 

Io. L’implacabile giustizia del mare.

Se vuoi leggere altro del Maestro Sepúlveda, clicca qua!!!

Se ami il mare, non puoi non leggere questo articolo!!!

Se ami leggere, allora pigia qui e inizia a leggere!!!

Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.

Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.

Scopri di più →

Carrello Close (×)

Il tuo carrello è vuoto
Sfoglia negozio
GO TO TOP