La Grande Magia (Eduardo De Filippo): Vivere l’illusione illusa della Vita

DI ALBERTO GROMETTO

Questo articolo non è un articolo. Cosa ne si deduce, quindi? Che sono parole messe una dopo l’altra che non vogliono significare nulla se non quello che significano veramente. E cos’è uno spettacolo teatrale, del resto? Inscenare qualcosa che non è, fingendo così tanto e così bene da far dimenticare a chi vede di star assistendo ad una finzione. E quella diventa la Verità

Non saprei nemmeno dire, una volta ultimata la visione, a cosa abbiamo assistito veramente. Ad uno spettacolo teatrale, sulla carta. Presso il TEATRO CARIGNANO DI TORINO. Un capolavoro, ma di quelli immortali ed eterni che ti rimangono impressi per sempre. Che, dopo averli visti, ti rimestano dentro per giorni e giorni, che diventano mesi ed anni. Un capolavoro però talmente grande, talmente bello, talmente “vero” nel suo essere finzione… che ci è riuscito per davvero, ci ha convinti. Ma convinti di cosa? Che nessuno di Noi può davvero essere capace di capire cosa sia reale e cosa no.

Spesso tendiamo (vergognosamente!) a dimenticare a quanti e quali meravigliosi talenti geniali e rivoluzionari, in quasi ogni campo artistico e creativo dello scibile umano, abbiamo avuto l’onore e il privilegio di applaudire qui in Italia, nell’arco della nostra lunghissima, coloratissima, ricchissima Storia. Parlando di quell’Arte per la quale “MERCUZIO AND FRIENDS” nutre un amore sconfinato a tal punto da averle voluto dedicare il suo stesso nome, e cioè la sacra arte teatrale, uno di questi talenti è senza la minima ombra di dubbio il Maestro EDUARDO DE FILIPPO.

(Il Maestro Eduardo De Filippo)

Quando si pensa a quella leggenda che fu De Filippo, subito nell’immaginario collettivo vengono in mente le sue commedie, le risate incontrollate che ci ha suscitato, lo spasso, il divertimento. Ma lui è stato infinitamente più grande di così. E questo ce lo dimostra l’opera teatrale di cui scriviamo a questo giro: “LA GRANDE MAGIA”. 

Risalente al 1948, trattasi di una storia che fa ridere così tanto da farci venire male alla mascella! Ma dietro quell’oceano di risate, si cela un fondo di inquietante, preoccupante, angosciante tensione sottocutanea che accompagna ogni passo dei suoi protagonisti. Un marito geloso, che non vorrebbe esserlo, sospetta (A RAGIONE!) della moglie fedifraga, con la quale si trova in villeggiatura. Dal canto suo, la moglie vorrebbe trovare il modo di scapparsene con l’amante. E un modo effettivamente lo trova: quella sera sarebbe passato dal loro albergo un grandioso prestigiatore dei più potenti possibili, un formidabile illusionista capace di magie incredibili fuori dall’ordinario, un mago talmente magico da essere onorato del titolo di “Professore”. Ma… ma chi ce lo dice che sia effettivamente così quest’individuo che sembra essere a metà tra il menzognero cialtrone e il pagliaccio buffonesco? 

(Il Professore)

Questo insigne ed illustre Professore, in cambio di qualche spicciolo versatogli dall’amante della moglie del “cornuto”, durante il suo spettacolare show di magia “fa sparire” la donna (leggi alla voce “distrarre i presenti, e in special modo il cornuto, così da permetterle di fuggire con l’amante”). E, strano ma vero!, il marito ci terrebbe a sapere dove caspita sia finita la sua consorte. Fino a qui può sembrare davvero la più classica delle “commedie all’italiana”: abbiamo il marito cornuto, la sposa traditrice, l’amante focoso e voglioso, il lestofante buffonesco e manipolatore. Ma fin dalle prime scene, ad osservare quei personaggi, avvolti da una luce verde sul palcoscenico e accompagnati da strane melodie di sottofondo, sentiamo che qualcosa non va. Prima che quel mirabile e mirabolante esempio di cialtroneria, pardon!, d’arte magica giungesse sulla scena, alcuni avventori hanno raccontato al cornuto come e quanto questo prestigiatore fosse veramente (VERAMENTE?) straordinario, al punto da aver manipolato le loro menti, da avergli fatto credere di essere persone o animali che non erano, da avergli fatto vivere anni interi in giro per il Mondo in poche manciate di secondi.

(Spettacolo eccezionale caratterizzato da una regia straordinaria e da interpreti meravigliosi; da sinistra a destra: Manuel Severino, Alice Spisa, Anna Rita Vitolo, Alessio Piazza, il regista Gabriele Russo, Natalino Balasso, Sabrina Scuccimarra, Veronica D’Elia, Maria Laila Fernandez, Christian Di Domenico, Gennaro Di Biase e Michele Di Mauro)

La sensazionale messinscena che il regista GABRIELE RUSSO allestisce per noi, in questa straordinaria produzione targata FONDAZIONE TEATRO DI NAPOLI – TEATRO BELLINI, TEATRO BIONDO PALERMO, EMILIA ROMAGNA TEATRO ERT / TEATRO NAZIONALE, coglie appieno il senso di una narrazione che è proprio come un’illusione, che da una parte ti distrae, ti fa ridere, ti intrattiene. Ma intanto, nel frattempo, ti imbastisce un inganno atroce, malefico, nerissimo. Che ti fa davvero dubitare di te, di cosa tu stia vedendo, di cosa tu abbia sempre visto. Come quando un illusionista, citando lo stesso Professore, fa sparire un canarino dentro una gabbia: il pubblico applaude festoso, e non sa che quel canarino è morto e il cadaverino nascosto dentro un doppio fondo segreto di quella stessa gabbietta. Perché una volta che la moglie sarà scomparsa, quel clown dell’illustre Professore farà il possibile per convincere il cornuto che ella sia effettivamente sparita, tramite bei discorsi teatrali e una presenza scenica invidiabile che non l’abbandona mai, nemmeno quando è fuori scena. Trascorreranno gli anni, e il mago continuerà a far credere al cornuto che sono ancora in quell’albergo, quella sera, che il Tempo non è mai davvero trascorso, ma che semplicemente sono dentro un’illusione, “un giuoco”, una grande magia. E che in realtà è lo stesso cornuto ad avere in mano le redini del giuoco, che è stato lui ad aver fatto sparire la moglie, e che solo lui potrà mettere fine all’inganno, nel momento in cui deciderà di avere fede. Qualsiasi cosa significhi, lo sventurato ci crederà. Crederà talmente in quella falsa menzogna che la finzione diverrà Verità.

Dal momento in cui iniziamo ad esistere in avanti, possiamo dire di sapere davvero di sapere qualcosa? Oppure non conosciamo mai nulla veramente, nemmeno il momento stesso in cui abbiamo iniziato ad esistere? Noi piuttosto accettiamo la realtà delle cose così come ci si presenta. Quando di un dato fatto diciamo “Ah, quella cosa non può essere, non è vera!”, lo diciamo perché lo sappiamo per davvero o solamente perché quel dato fatto non rientra in tutto quello che abbiamo visto nella nostra Vita fino a quel momento, in tutto quello che ci è stato insegnato, mostrato? Ma il fatto di non aver mai visto qualcosa, rende quel qualcosa automaticamente inesistente? 

Il fatto stesso, ad esempio, che tutti noi sappiamo cosa sia un “drago”, come sia fatto, che abbia ali e artigli e squame, che sputi fuoco, pur però non avendolo mai visto dal vivo ovviamente… non rende forse quel drago reale? 

(Che poi qui si potrebbe aprire una parentesi che non finisce più sul fatto che, a questo punto, dubitando di tutto, per quanto ne sappiamo, ci potrebbe pur essere stato un tempo in cui magari i draghi esistevano per davvero e poi ci hanno convinti del contrario, che fossero solo creature di fantasia… ma questa parentesi risulta già troppo lunga così, chiudiamola qua, e per amor del ragionamento diamo per scontato che i draghi non siano mai realmente esistiti, anche se nulla può esser davvero dato per scontato).

O, ancora, avete mai sentito parlare del cosiddetto “problema del cigno nero”? 

Fino al 1697 nessuno aveva mai visto un cigno nero. Attenzione!, non è che la gente se ne andava in giro pensando che l’esistenza di un cigno nero fosse impossibile, ma proprio non si pensava ad un cigno nero! Non se n’era mai visto uno del resto, perché si sarebbe dovuto pensare? È lo stesso che credere nell’esistenza degli ippopotami verde fluo. Nessuno ne ha mai visti in natura, ergo non sono mai stati neanche pensati. Ritengo abbastanza probabile che prima della pubblicazione di questo articolo non si era nemmeno mai immaginato un ippopotamo verde fluo! (Anche se non si può mai sapere). Poi però nel 1697 ci si imbatté per la prima volta in una creatura la cui esistenza non era mai stata minimamente contemplata dalla zoologia, geneticamente compatibile al cigno, in tutto e per tutto simile nell’aspetto fisico ma di colore nero: un concetto ritenuto fino a quel momento incrollabile e del quale non si era mai nemmeno pensato di dubitare, il fatto che il cigno sia bianco, improvvisamente, senza preavviso, nel giro di un istante viene mandato gambe all’aria, e per arrivare a questo è stata sufficiente l’esperienza di un esploratore.

(Se digiti nella barra di ricerca di Google “ippopotamo verde fluo”, questo è il risultato più pertinente che esce fuori)

  

Ci avete capito qualcosa? Io niente! So solo che fa paura. Fa paura pensare che una cosa che neanche esiste (i draghi) la conosciamo tutti benissimo e tutti sappiamo cos’è, mentre una cosa che esiste (i cigni neri) non l’abbiamo neanche mai immaginata fino a quando non ce la siamo trovata davanti! Ma come caspita possiamo conoscere la Vita, se la Vita è un tale casino? Come diavolo possiamo arrivare anche solo a capire se una cosa è giusta oppure sbagliata? Come possiamo prendere delle scelte sensate se tutto quanto intorno a Noi è insensato? Esiste forse un metodo, un trucco, una regola? No, purtroppo no. Perché? È così, e basta. Stanare modelli conoscitivi o etici universali e sempre validi è impossibile, perché forse manco esistono. “Voglio capire!” scalpita il piccolo uomo, che invece deve accettare che nulla può essere veramente capito. 

(Insieme all’attrice Sabrina Scuccimarra, che ha saputo incantarci attraverso la sua splendida interpretazione della moglie del prestigiatore, personaggio che ci rimarrà impresso nel cuore)

Perché non esiste nemmeno una realtà che vada capita. O se esiste, è fuori dalla nostra portata. Una vera, autentica conoscenza delle cose non c’è. Noi in continuazione utilizziamo dei “finti” modelli con cui manipoliamo la realtà “vera” che abbiamo attorno, ma trattasi di manipolazione, non di conoscenza. È che dobbiamo trovare un modo, per quanto disperato e folle, di rapportarci con questa cosiddetta realtà. Ma questi “finti” modelli sono molto più fragili della realtà stessa e l’essere umano si convince ripetutamente in più sedi, senza soluzioni di continuità, come i suoi modelli rappresentino qualcosa di affidabile e sicuro e certissimo. Ma, piccolo spoiler: modelli del genere non esistono! È impossibile individuare un metodo che ci permetta di essere sicuri di aver capito come stanno le cose. 

Una rappresentazione così bella come quella a cui abbiamo avuto il privilegio di assistere, è tale anche per merito dei suoi interpreti. Un applauso dei più fragorosi possibili, a titolo personale e a nome dell’intero Comitato di Redazione, spetta ai due strabilianti attori giganteschi e monumentali al centro della grandissima magia che è stato questo spettacolo: NATALINO BALASSO e MICHELE DI MAURO.

Balasso è stato ineguagliabile nel restituirci il ritratto d’un uomo comune, banale, che neanche crede agli incantesimi, che vorrebbe alla fin fine cose semplici, come l’amore della moglie, cosa che poi in fondo così semplice non è. Poi gli capita qualcosa di inspiegabile e inspiegato, che non è in grado di spiegarsi, che non può spiegarsi, che lo travolge completamente. E lui non vuole abbandonarsi a quello che crede essere un inganno, un trucco, un illusione. Ma l’illusione alla fine ha la meglio. Al punto che forse, inizia a chiedersi, se tutto il resto non fosse stato illusione, la Vita lo era magari, mentre l’illusione era la Verità. E lui invecchia, e cammina chino chino, non assomiglia più nemmeno all’uomo che era, piuttosto diventa l’ombra di quello che è stato, folle, pazzo, impazzito, ma tanto lui pensa che gli anni non trascorrono, che è tutto un giuoco, e se ne va in giro parlando di tutte quelle cose di cui gli parlava il mago, credendoci così tanto che nemmeno quando il mago stesso rivelerà il trucco, lui ci crederà. Perché ci ha creduto così tanto che il suo credere è divenuto vero.

(Insieme a Natalino Balasso, che il Comitato di Redazione ringrazia)

Di Mauro invece ha saputo essere memorabile e magistrale nell’incarnare un personaggio che è insieme Croce e Delizia, Squallore e Umanità, Fetidume e Allegria. Il suo esimio ed illustre Professore è tutto tranne che esimio ed illustre (e nemmeno Professore!), bensì un clown alquanto incapace che però ha un dono, uno solo, quello della manipolazione. Non quella magica, ma quella delle menti. Sa convincerti, sa entrarti dentro come nessun altro, soprattutto sa farti credere. Non è veramente cattivo, e del resto nemmeno posso contare le risate che ci ha fatto fare, nel mentre che si barcamenava tra un insulto della moglie, una comica goffaggine maldestra e un inganno ben orchestrato! Però alla fine è lui, nel Bene e nel Male, a distruggere tutte le convinzioni, le certezze e la vita stessa d’un uomo mostrandogli che tutto quello in cui una volta credeva è illusione. Che credere in qualcosa significa credere in niente. Che nulla è vero e niente è finto, ma è tutto tutto insieme. La verità è figlia della convinzione con cui la esprimi. Che significa? Che qualsiasi balla, cavolata, può essere detta credendoci. O fingendo di crederci. Che poi è lo stesso. 

(Insieme a Michele Di Mauro, che il Comitato di Redazione ringrazia)

E quella diventa la Verità. Inscenare qualcosa che non è, fingendo così tanto e così bene da far dimenticare a chi vede di star assistendo ad una finzione. E cos’è uno spettacolo teatrale, del resto? Sono parole messe una dopo l’altra che non vogliono significare nulla se non quello che significano veramente. Cosa ne si deduce, quindi? Che questo articolo non è un articolo.

E questo perché qualsiasi cosa, che sia un articolo oppure uno spettacolo, può diventare qualsiasi altra cosa. In mezzo a tutti questi dubbi, e a questo non sapere e a queste cose che non sono cose… come faccio ad essere sicuro di cosa sia reale? Di sicuro, concludo io, i ricordi indelebili di un’emozione natami nel cuore. Come la risata sgorgatami in viso quando quel buffone di un prestigiatore parlava, oppure il fiato trattenuto in gola nel corso dello spettacolo. Ecco, se c’è qualcosa di reale e vero è proprio il senso di meraviglia che ho provato dinanzi ad una rappresentazione straordinaria come questa, al punto che non me ne scorderò mai. Vi ringrazio di questo regalo.

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