Zio Vanja e Il Potere Dell’Ininfluenza

DI ALBERTO GROMETTO

Una grossa, ingombrante, enorme tavola di legno troneggia sul palcoscenico dello splendido TEATRO CARIGNANO DI TORINO, tra i nostri luoghi preferiti al Mondo e del quale non saremo mai abbastanza sazi. Dinanzi a quella tavola gigantesca, verticale, immobile, sta una panchetta. Ferma anche lei. Basta, niente di più. Né sedie o poltrone o altro. E del resto non serve altro per la sceneggiatura teatrale che fa dell’immobilità opprimente e dello stantio scoraggiante il suo stendardo. Se i personaggi devono sedersi, siederanno su quella panchetta, costretti uno accanto all’altro, stretti e, naturalmente, immobili. 

ANTON PAVLOVIČ ČECHOV è tra i più grandi autori, e non solo di Teatro, che siano mai esistiti. La critica insiste a evidenziare come le sue opere siano state un feroce e severo e spietato ritratto delle classi sociali della Russia del suo tempo, quella stessa Russia in crisi che di lì a poco avrebbe fatto un grande grande “BOOM”. Ma invece Lui per me ha fatto molto più di questo. È stato molto più di questo. Raccontando dei suoi tristi Russi disperati e afflitti, dai nomi perlopiù complicati e impronunciabili, Egli ha invece raccontato dell’Umano e di come siamo fatti tutti Noi: disperati e afflitti. 

(Anton Pavlovič Čechov)

La vita è un gran casino, ci dice sostanzialmente quel capolavoro (di questo si tratta!) che è «LO ZIO VANJA». Uno ha delle ambizioni, delle speranze, dei sogni… e poi non realizza un tubo di tutto questo. Si soffre, ci si dispera, ci si rende conto di aver vissuto invano per tanti anni inseguendo cose che manco esistono, e poi… e poi si muore. Magari si potesse morire subito! A volte devi pure aspettare degli anni prima di potertene andare. La consapevolezza di essere totalmente e completamente ininfluenti, per sé stessi o per chiunque altro, semplicemente fa schifo. Di queste cose si rende conto Ivan Petrovič Vojnickij. Lo “Zio” del titolo. Di anni ne ha 47, e calcola che se vive fino a 60… oh, no! Gli restano 13 anni di vuoto e di nulla, fondati sul niente! 

Ma come si può riempire tutto quel dannato tempo? 

(Insieme al regista LEONARDO LIDI, che il Comitato di Redazione ringrazia)

Già, come si può riempire? È questo che sembrano fare continuamente i protagonisti dell’opera. Riempire il loro vacuo, inutile, stupido, vuoto, insensato tempo. E paradossalmente lo riempiono facendo nulla! Ricordando quello che era stata la loro vita o ciò che sarebbe potuto essere. Piangendosi addosso e parlando ossessivamente di quello che avevano e ora non hanno più, e di quel che avrebbero voluto. E lamentandosi e disperandosi, in continuazione, anche quando non vogliono darlo a vedere. 

Sembra un ritratto decisamente desolante. E lo è. Ma in realtà loro sanno essere maledettamente buffi nel loro essere assurdamente ridicoli e goffi. E non è un caso se le indicazioni di scena continuamente, ossessivamente, insistentemente, ora per questo personaggio e ora per quello, recano la dicitura: Ride e piange al tempo stesso. Ridono e insieme piangono. E pianto e riso si confondono. E per di più, nello spazio di una battuta, anche meno, fanno ridere e poi piangere, e viceversa, pure Noi che ne guardiamo le gesta. Che poi: quali gesta? Non fanno niente.

(L’attore TINO ROSSI, interprete dell’unica presenza silenziosa, il cui personaggio è stato inserito dal regista, e a proposito del quale niente sveleremo)

Fermi, immobili, bloccati nella loro asfissiante esistenza provinciale di campagna, abbiamo a che fare con una famiglia, oltre che i servitori e i medici e i vicini che gli ruotano attorno, di sconfitti dalla vita che hanno già perso in partenza. Che non sono capaci di cambiare loro o chiunque altro. Il che non significa necessariamente che non lo vogliano. In mezzo a questo far niente, ci provano dopotutto a fare qualcosa. Qualcosina. Chi con meno convinzione, chi con la speranza nel cuore. A far qualcosa per ottenere quello che vogliono. Ma poi non ce la fanno.  

(Da sinistra a destra, durante il Retroscena: GIORDANO AGRUSTA, MARIOPIRRELLO e la commovente ILARIA FALINI)

È come se giocassero una partita di calcio, impossibilitati però a fare goal. E se non puoi fare goal, se non puoi segnare alcun punto, se non puoi vincere… che cosa puoi fare? Se non esiste competizione, se non possiamo divorarci a vicenda, se non si può stringere alcuna coppa in mano… che cosa ci rimane? Il semplice giocare. E così loro giocano, giocano senza che possano vincere, però sono lì, sono insieme, e fanno quello che devono fare anche se non cambierà nulla. Anche se sono maledettamente, terribilmente, completamente ininfluenti. 

(Da sinistra a destra, durante il Retroscena: MAURIZIO CARDILLO e l’ottima ANGELA MALFITANO)

Vorrei poter dire che la metafora calcistica sia tutta mia, ma è invece del talentuoso e bravissimo attore GIORDANO AGRUSTA, interprete di TELEGIN (uno degli sconfitti), che abbiamo avuto il massimo onore e immenso privilegio di poter conoscere insieme a tutto il resto del cast in occasione del RETROSCENA organizzato presso il TEATRO GOBETTI.

(Insieme a GIORDANO AGRUSTA, che il Comitato di Redazione ringrazia)

Il regista LEONARDO LIDI, che ci ha riservato una gentilezza premurosa, dialogando insieme ai suoi attori con MATTEO TAMBORRINO dell’Università degli Studi di Torino, ha regalato a tutti i presenti una prospettiva profonda e inesorabilmente umana su tutto il lavoro straordinario che c’è stato dietro la rappresentazione dell’opera di Čechov, lo studio dei personaggi, le tematiche affrontate. Il loro spettacolo è stato prodotto dal FESTIVAL DEI DUE MONDI DI SPOLETO, dal TEATRO STABILE DELL’UMBRIA e naturalmente dall’immancabile TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE

(In occasione del Retroscena, da sinistra a destra: MASSIMILIANO SPEZIANI, MATTEO TAMBORRINO, LEONARDO LIDI e GIULIANA VIGOGNA)

Si è parlato lungamente del binomio risata-tristezza. Nel momento in cui non pensi ad interpretare il personaggio, a farlo, ma semplicemente lo sei e diventi un essere umano nell’esserlo, il goffo e insieme il drammatico arriveranno da sé. Questa una delle verità di cui ci hanno parlato. E in questo caso ci sentiamo obbligati a citare il personaggio dello spassosissimo DOTTOR ASTROV, medico ma soprattutto buffonesco pagliaccio, interpretato una meraviglia dal meraviglioso MARIO PIRRELLO. Parla, parla tantissimo, si riempie la bocca più di qualsiasi altro personaggio, e questo benché quasi tutti parlino tantissimo. Parla, ma non sa neanche quel che dice. Si rende conto di quello che vorrebbe ma che non può avere. E allora piuttosto che parlare del fatto che non sarà mai amato, tanto vale parlare di alberi! 

(Insieme a MARIO PIRRELLO, che il Comitato di Redazione ringrazia)

E che dire del grande ed esimio ed eminente PROFESSOR SEREBRIJAKOV , interpretato da un fenomenale MAURIZIO CARDILLO? Già come si presenta in scena, sappiatelo, è spettacolare! Il professore quantomeno è messo meglio di altri. Lui ha vissuto una vita di trionfi e successi, se l’è goduta la sua bell’esistenza. Certo, ora che è invecchiato la rimpiange, la vorrebbe riavere indietro, ma non può. Il tempo passa per tutti. È a quest’uomo, dolente e apatico, che lo Zio Vanja avrebbe consacrato la sua intera esistenza? Sì, Vanja era ben contento che la sua defunta sorella avesse sposato un tale insigne luminare per il quale lui ha lavorato, faticato, sudato dandogli tutto quello di cui aveva bisogno perché avesse successo, ogni suo singolo quattrino rinunciando alla sua vita.

(Insieme a MAURIZIO CARDILLO, che il Comitato di Redazione ringrazia)

Ma questa ininfluenza, questa impotenza, che vivete sulla scena, siete poi capaci di tenerla relegata al solo palcoscenico e di non portarvela nella vita?, chiesi io a loro. Due furono le risposte. Se pensassi di essere ininfluente non farei quello che faccio, mi disse sicura la splendida interprete di SONJA, e cioè la sfavillante GIULIANA VIGOGNA. È il suo personaggio, quello che più di tutti gli altri crede e spera ancora (chissà se la faranno ricredere o meno), a chiudere lo spettacolo. L’altra persona a prendere la parola è stato proprio lui, lo Zio di Sonja, l’attore che ci ha regalato una performance memorabile nel ruolo di VANJA: il magistrale MASSIMILIANO SPEZIANI. Non dimenticheremo mai la sua risposta, perché lui ha puntualizzato una cosa molto importante e che riguarda l’Essenza Stessa del Teatro.

Ininfluenza NON è Impotenza. Nell’Antica Grecia dominavano incontrastate carestie, guerre, epidemie. Eppure si andava a Teatro. Perché? A che scopo? Un semplice attore aveva forse una qualche influenza, di qualsiasi tipo, sui travolgenti sconvolgimenti epocali che s’abbattevano ogni giorno, tutti i giorni, suoi suoi sventurati simili? Eppure la gente andava a Teatro, ci passava le ore, stava lì dentro. Perché? Sarà pur vero che un attore non può cambiare il mondo, e nemmeno può farlo uno spettacolo teatrale. Ma invece può. Perché per lo spazio di quelle ore, tu non pensi alla crisi batteriologica o al cambiamento climatico o agli Spartani che s’avvicinano alle porte della città. Tu sei da un’altra parte, metti la tua esistenza in pausa, non senti il peso del vivere. E se finito tutto, qualcosa ti è rimasto… allora, dopotutto, l’Ininfluenza può essere Potere.

Questa fu, in sintesi, la sua risposta. E non gliene saremmo mai abbastanza grati.

(Insieme a MASSIMILIANO SPEZIANI e GIULIANA VIGOGNA, che il Comitato di Redazione ci tiene a ringraziare)

Un’opera monumentale proprio perché dipinge personaggi che monumentali non sono affatto, anche se immobili come statue. Però non hanno la loro grazia o eleganza o raffinatezza o ricercatezza. Hanno dolore, quello sì. E non è un caso se indossano tutti pacchiani vestiti coloratissimi anni ’60 e soprattutto queste enormi parrucche cotonate che sono come le loro esistenze: flaccide, pesanti, e che gli stanno strette.

(Insieme a FRANCESCA MAZZA, che il Comitato di Redazione ringrazia)

Bello che almeno, tra tutta questa umanità disperata, v’era anche l’amabile e dolce cagnolino dell’attrice FRANCESCA MAZZA, veramente grandiosa nell’interpretare l’irascibile e scorbutica vecchia balia MARINA, povera sventurata. Ti ringraziamo, piccolo e tenero FORREST, per la tua performance attoriale degna di applausi a scena aperta!

(Quanto sei tenero, FORREST!!!)

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