Dalla bibliofilia alla bibliofobia

DI EDOARDO VALENTE

Che cosa sia la bibliofilia lo sanno in molti, ma per essere sicuri possiamo consultare l’enciclopedia:

BIBLIOFILIA (dal gr. βιβλίον “libro” e ϕιλία “amore” fr. bibliophilie; sp. bibliofilía; ted. Bibliophilie; ingl. bibliophily)

La bibliofilia, come indica l’etimologia, è l’amore per i libri; questa definizione ha però bisogno di essere completata: nell’uso attuale e in tutte le lingue europee la bibliofilia è l’amore per i libri considerati come oggetti di collezione.

Dunque, amore per i libri, specialmente amore per “l’oggetto libro”, amore per osservare, sfogliare, odorare, possedere libri. 

È una condizione particolare: i bibliofili non sono per forza accaniti lettori, non hanno necessariamente una grande passione per ciò che i libri contengono, per le combinazioni di parole che generano significati e storie. 

Ci si può dilettare nell’attenta ricerca dell’edizione perfetta, di quella antica e irreperibile, a volte anche costosa; si può organizzare la libreria secondo pattern di colori, in base alla casa editrice, all’altezza, ecc.

Descritta così, la bibliofilia si avvicina al collezionismo.

Ma, in determinate condizioni, può avere molti più rischi del collezionismo. Non è solo un’infilata di variopinte statuette, francobolli, carte, lattine, bottiglie, tappi di sughero, e qualsiasi altra cosa si decida di collezionare. Il problema di queste collezioni è la duplice natura dell’oggetto. Il suo contenuto.

Se la bibliofilia si innesta nella vita di un lettore, il disastro è compiuto.

Quando si pensa al “lettore” e alla “lettrice” tipo, si immaginano case con immense librerie piene di libri, che vengono stipati e ammassati in qualunque luogo possibile. Esistono però anche persone che si affidano principalmente alle biblioteche, che leggono tanto ma comprano poco; c’è chi legge in digitale, chi condivide i libri e se li fa prestare.

E poi c’è la casa di chi legge tanto e compra ancora di più, che è ossessionato dai libri, ma non solo dalla loro componente esteriore, anche dal contenuto. 

Si tratta, appunto, del bibliofilo-lettore. 

Questo individuo chimerico porta su di sé un enorme fardello. L’interesse alla lettura si somma al piacere per i libri in quanto tali, che vengono acquistati in maniera indiscriminata, ma che esigono per loro stessa natura di venire letti. Non è sufficiente contemplarli all’interno di una bella collezione: prima o poi quel libro andrà preso, aperto, e letto.

Questo fatto apparentemente scontato ed evidente, scompare dalla mente di chi acquista libri in maniera compulsiva, spinto da un interesse assoluto e incontrollabile verso qualsiasi forma di sapere, che difficilmente, nel concreto, si traduce in una vera lettura dei libri acquistati.

L’interesse è direttamente proporzionale all’acquisto; l’acquisto è inversamente proporzionale alla lettura.

Un bibliofilo-lettore si ritrova così circondato da libri che sa che una versione passata di sé ha acquistato per uno specifico motivo, ma quel motivo svanisce nel tempo, lasciando una grande domanda: perché ho tutti questi libri?

(Umberto Eco, noto bibliofilo)

Una collezione di quadri può conferire una grande gioia allo spirito, possono venire ammirati incessantemente, instancabilmente, e non hanno ulteriori pretese nei confronti del collezionista. Immaginiamo, invece, che tale collezionista, per poter fruire appieno del quadro, debba lui stesso riprodurlo. Questa è la richiesta – metafore a parte – che i libri hanno su chi li compra.

Io posso eccome ammirare una bella collezione di libri di un autore amato, tutti della stessa casa editrice, ordinati nel miglior modo possibile: ma quei libri non stanno lì in silenzio e si lasciano solamente contemplare; essi interpellano costantemente il collezionista, il bibliofilo-lettore, che si sente preso in causa, che sa di dover anche leggere quei libri poiché possederli non è sufficiente. 

Ma se li ha comprati significa che vuole leggerli, no?” può chiedersi un ingenuo osservatore esterno di questa vicenda.

Eppure, non si può. Non si possono leggere tutti i libri che si comprano. E non si può neppure, allo stesso tempo, smettere di acquistarne di nuovi.

Il procedimento è il seguente:

Non so nulla, e non mi interesso ai libri, non mi serve comprarli;

Inizio a interessarmi ai libri, e ne compro qualcuno che mi sembra interessante;

Leggendone alcuni allargo il campo, approfondisco generi letterari, argomenti di saggistica, autrici e autori, correnti letterarie, periodi storici, ecc;

Più leggo, più conosco cose, più mi rendo conto che le cose da conoscere sono sconfinate, maggiore è il numero di libri che dovrei leggere.

Il processo di allargamento è potenzialmente infinito.

Quindi, il numero di libri da acquistare non diminuisce mai, aumenta sempre. Ciò che, invece, diminuisce ad ogni secondo che passa è il tempo che si ha per leggere.

Il tempo passa, diminuiscono le occasioni, aumenta la consapevolezza di ignoranza.

L’unica certezza che si ha rimane una: non potrò leggere tutto ciò che vorrei.

E così bisogna operare molte scelte definitive: bisogna capire cosa salvare.

A un certo punto non se ne può più, le librerie si sovraccaricano, gli scaffali strabordano, i libri si ammassano gli uni sopra gli altri, alcuni fanno doppie file, cumuli insensati, mucchi ridondanti, pile precarie. 

Il bibliofilo, circondato da innumerevoli oggetti del proprio amore, inizia a non poterne più. Tutta quella carta diventa insopportabile, l’aria irrespirabile, gli occhi non hanno mai pace, ovunque si posano su cataste di libri non letti, oppure letti e dimenticati, letti e non finiti. Non ce la fa più. I libri devono sparire.

In questo singolo passaggio si nascondono numerosi atteggiamenti umani.

Primo fra tutti: il tempo da dedicare a ciò che si ama.

Come mai si può essere più amici di alcune persone e meno di altre? Perché con le prime si è trascorso più tempo insieme, si sono condivise più situazioni, più momenti e memorie. L’amore si misura in tempo, e il tempo da dedicare alle cose che si amano è limitato, perciò si possono amare poche cose. 

E poi, l’ossessione opprime sempre l’ossessionato.

Si amano i libri, li si compra in maniera incondizionata, ci si sommerge di libri, e alla fine in quel mare di carta si rischia di annegare.

In quel momento l’ossessione divora l’ossessionato, l’amore diventa odio.

La bibliofilia diventa bibliofobia. Entrare in una libreria diventa opprimente, vedersi circondati da libri è angosciante, sentirne parlare diventa insensato, insopportabile.

Cosa fare?

Liberarsene. Farli sparire, distruggerli anche, se possibile (ma di solito non conviene).

Emendare, fare pulizia, riportare ordine, alleggerirsi. Lanciare via i libri letti e dimenticati e che non si leggeranno mai più; lanciare via anche quelli che non si è letto ma che si sa non verranno mai letti.

Riorganizzare, sfoltire, buttare, regalare, vendere. 

Dare fuoco, lasciare sotto l’acqua, lanciare, strappare, prendere a calci, a pugni, stritolare, spezzare, frantumare – distruggere libri.

(Va bene anche semplicemente regalarli o venderli).

Immaginate che il bibliofilo possa identificarsi con la propria libreria: la arricchisce e la cura perché cura sé stesso. Poi, però, arriva a sovraccaricarla – a sovraccaricarsi.

Allora deve rimettere ordine in sé, e nella libreria. Se arriva a distruggerla non lo fa con dolore, rispecchia la distruzione che era già avvenuta in sé.

A tutti coloro che esortano a fare di più, ad andare sempre avanti, a costruire ancora e ancora, io rispondo questo: fate di meno, tornate indietro, e distruggete.

E poi? 

Poi si continua, si va di nuovo avanti, ma la strada è cambiata, il percorso riprende da un punto nuovo, pronto a dirigersi verso un nuovo sovraccarico, una nuova distruzione.

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