DI ALBERTO GROMETTO
Mia: Non odi tutto questo?
Vincent: Odio cosa?
Mia: I silenzi che mettono a disagio. Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate per sentirci più a nostro agio?
Vincent: Non lo so. È un’ottima domanda.
Mia: È solo allora che sai di aver trovato qualcuno davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace.Dialogo tra Mia Wallace e Vincent Vega,
nel capolavoro cinematografico «Pulp Fiction»

A voi è mai successo? Dico, di dover parlare… anche quando non si aveva proprio nulla di cui parlare?
Non so se sia la nostra attuale società, col suo continuo stare alla televisione e sui social, oppure sia proprio connaturato alla natura dell’Essere Umano… però è innegabile che il Silenzio ci opprima. Che ci infastidisca e imbarazzi. Che sia chiassoso e rumoroso. Peggio di un ronzio. MOLTO peggio!
Ma perché è così che stanno le cose?
Perché quando ci ritroviamo davanti a qualcuno, specie se uno sconosciuto che stiamo conoscendo in quel momento, dobbiamo assolutamente parlargli per evitare di ritrovarsi lì, faccia a faccia, guardandosi negli occhi, senza un benamato su cui conversare e con quello stramaledettissimo silenzio in sottofondo che si fa sempre più forte e va riempito ad ogni costo, pena vivere qualcosa che sembra quasi essere peggiore della Morte?
Io, chiunque mi conosca lo può dire, sono un chiacchierone incallito della peggior specie. Diciamo pure un individuo estremamente prolisso, ma di una prolissità prolissa ecco! Da una parte è un bene: per quel che faccio nella Vita, sia esso scrivere oppure dialogare con qualcuno davanti alle telecamere o su di un palcoscenico o ancora “andare a ruota libera” per oltre due ore in radio, serve che io parli, parli e ancora parli senza che la smetta mai.
Ma d’altro canto, talvolta, mi domando cosa si provi ad essere brevi. Concisi. Più taciturni. Laconici. Che cosa si provi, soprattutto, a «chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace». Sia chiaro, a chi me lo domanda io dico di odiare la brevità e il silenzio. E in parte è vero. Ma in parte odio brevità e silenzio perché sono quello che non ho mai avuto, e credo mai avrò.
Si detesta e insieme si desidera sempre ciò che non si è, quel che non si ha, la cosa che non si può. Ma come sarebbe se io fossi così, se io l’avessi, se quella cosa si potesse? La domanda è destinata a rimanere senza risposta. E dunque forse, per non potersi rispondere, tanto vale non domandarsi neanche. Ma è più forte di Noi: anche se non esiste niente di più pericoloso di una domanda col “Se”, anche se bisogna evitarla come la Morte, alla fine ci si imbatterà sempre in quelle due lettere: SE… ? Non ci si può far nulla, è nella nostra natura.
E così la Sorte m’ha destinato a scritti chilometrici, dialoghi infiniti, sproloqui senza Tempo che non conoscono l’orologio. E posso farci qualcosa in merito? Da un lato mi dico che mi si può amare come odiare, ma se mi si ama allora inevitabilmente si amerà anche la mia prolissità. Oppure (forse meglio): NONOSTANTE la mia prolissità.

D’altro canto però, anche se il Cielo mi ha destinato questo Destino (che bella espressione: «destinato questo Destino»… quando si è chiacchieroni, sapete, spesso ci si imbatte in espressioni bellissime a cui non avevi nemmeno pensato, ma nelle quali finisci comunque per incappare miracolosamente!), devo riconoscere che degli sforzi dovrò sempre farli. Quantomeno tentare. Talvolta il provarci conta più del riuscirci, sapete?
E quindi posso passare ore, mesi, anni cercando di “tagliare” quello che scrivo (anche se questo significa avere degli incubi nei quali immaginerò di essere io stesso un taglio e vedermi arrivare una matita gigante a “sbattermi via” dalla mia stessa pagina… sì, mi è successo!).
Potrei mordermi la lingua più spesso di quanto non faccia, onde evitare di chiacchierare per così tanto tempo da vedere i miei interlocutori diventare anziani e rugosi.
E infine potrei anche riconoscere, quando non ho niente da dire, che allora è meglio stare zitti e non per forza riempire a tutti i costi quel silenzio, bensì accettarlo nella mia Vita, come dovrebbe fare chiunque tra Noi.
Ed è quello che farò in questo momento perché, ebbene sì!, a questo giro, quando ho iniziato a cimentarmi nella scrittura di questo pezzo, per una volta, strano ma vero!, non avevo proprio niente da dire né sapevo di cosa parlare!
E così ho parlato di questo, del parlare anche quando non si ha nulla di cui parlare.
Capita a tutti, ma oggi a me no: perché oggi, invece delle solite ventimila pagine, chiudo già qui il mio articolo e vado a godermi, almeno per oggi, un po’ di benedetto silenzio. Fatelo anche voi, da domani l’Augusto riprenderà a parlare e sproloquiare, ma per oggi stiamo in silenzio e siamone felici!


Le parole, che curiosa invenzione! Sei d’accordo? Nel mentre che ci pensi… pigia qua sopra!!!