DI ELODIE VUILLERMIN
Prima ancora di aprire il libro sapevo come sarebbe andato a finire. Perché Feltrinelli ha avuto la bella e inspiegabile pensata di spoilerare i punti salienti della trama nella quarta di copertina. Ma io, nonostante tutto, ho voluto andare fino in fondo. E non me ne sono pentita.
IL MONDO DEI PICCOLI
La protagonista è Scout, bimbetta precoce ed esatto opposto della signorina perbene: adora esprimersi con termini duri e parolacce (anche se ne ignora il significato), indossa tute al posto dei vestiti carini e se necessario fa a pugni con gli altri. Ha imparato a leggere prima dei suoi coetanei. I suoi maestri sono stati il padre, lo zio e la domestica. È molto schietta e brutalmente sincera, a volte insolente al punto da risultare offensiva, perché confinata nel suo punto di vista senza capire quello altrui.
Il libro ci trascina a Maycomb, nelle piccole avventure dell’infanzia: recite improvvisate, storie di case infestate e vicini pazzi, giornate di scuola, estati nella casa sull’albero, confronti con i vicini (alcuni odiosi e altri più amichevoli). Il tutto narrato con una nota nostalgica. Perché il tempo dei giochi finisce presto: Scout cresce, il mondo intorno a lei cambia, si scontra con la dura realtà dei grandi.
Alcuni aspetti della vita di Scout sono divertenti, come quando punzecchia il fratello perché ha paura della casa dei Radley, manifesta insofferenza verso la scuola oppure provoca gli adulti. L’unica pecca è che alcune descrizioni sono lunghe e tediose, a causa della composizione del testo (almeno per quanto riguarda quello che ho letto io, edito da Feltrinelli). Mi spiego meglio: i capitoli sono l’uno successivo all’altro, senza nemmeno cambiare pagina, e questa sovrabbondanza di parole, senza uno spazio bianco che riposi la vista, alla lunga affatica i lettori.

IL MONDO DEI GRANDI
Il padre di Scout, Atticus, è avvocato. Viene incaricato di difendere in tribunale Tom Robinson, un afroamericano accusato di violenza sessuale contro una ragazza bianca. La causa è persa in partenza, lui lo sente. Tutti sono contro di lui perché ha scelto di difendere un nero. Eppure per lui vale la pena combattere. Sente che se non ci prova, questo potrebbe avere ripercussioni sulla sua vita e su quella dei figli. Segue la sua coscienza, non i pregiudizi razziali. Il suo più grande timore è come la prenderanno Scout e Jem, spera che capiranno le sue ragioni piuttosto che dare retta alle voci dei compaesani.
Da qui in poi la trama si fa più interessante, mostrandoci non solo i turbamenti di Atticus, ma anche quelli di Scout e del fratello. La bambina è in pieno conflitto tra la sua natura irruenta e l’amore verso il padre: da ragazza maschiaccio quale è, vorrebbe mettere a tacere a suon di pugni tutti quelli che insultano Atticus, ma si trattiene perché ha promesso a quest’ultimo di usare la ragione e non la violenza. Non è abituata a rinunciare al combattimento ed è difficile per lei, soprattutto quando tutti etichettano Atticus come un “negrofilo” e un disonore. La cosa più triste è sentirsi incompresa ed essere vista come una indisciplinata a causa del suo carattere, anche quando proteggere il padre dovrebbe farla stare nel giusto. Anche Jem sente il peso di questa contraddizione, molto più di lei, poiché più vicino al mondo degli adulti per età e maturità mentale. Una domanda tormenta a lungo i due fratelli: e se il padre stesse facendo la scelta sbagliata?

UN PARALLELISMO TRA BAMBINI POCO BAMBINI
Per certi versi si può paragonare Scout a Pin de Il sentiero dei nidi di ragno: entrambi vivono storie importanti e violente (di razzismo lei, di guerra partigiana lui), ma raccontate dal punto di vista di un estraneo che non sa tutto della vicenda. Cercano di sembrare grandi nonostante la loro età, affrontano il mondo con un approccio a metà tra l’ingenuità fanciullesca e la maturità dovuta alle esperienze che la vita offre loro.
Ma se Pin è trascinato sul campo di battaglia controvoglia, Scout non esita a mettersi volontariamente in situazioni rischiose: affronta in prima persona un vecchio amico di Atticus, venuto alla prigione di Maycomb con l’intento di portare via Tom (e l’avrebbe fatto uccidendo, se necessario) e assiste al processo in tribunale insieme al fratello.
Pin non si interessa realmente alla guerra partigiana, vuole solo trovare un amico. Al contrario, Scout vuole saperne di più sul caso di suo padre, su quel che sta attraversando.
IL BUIO DELLE APPARENZE
Atticus riesce a provare l’innocenza di Tom, ma la giuria lo condanna ugualmente a morte solo perché è nero. Il poveretto viene ucciso a fucilate mentre prova a scappare di prigione, in preda alla disperazione più totale, come un uccellino indifeso (riferimento al titolo originale, To Kill a Mockingbird). Una sorte straziante, che fa riflettere su chi sia il vero mostro: Bob Ewell, che picchiava regolarmente la figlia e ha gettato infamia su un innocente; non contento, una volta che Atticus gli ha rovinato la reputazione, tormenta la moglie di Tom e prova addirittura a uccidere Scout e Jem.
Niente è davvero come sembra. Anche Boo Radley, il tanto temuto vicino di casa dei Finch, in realtà è un brav’uomo che salva Scout e Jem da un’aggressione fatale. Atticus lo ripete per tutto il libro: è un errore giudicare le persone troppo frettolosamente, perfino quando dicono cattiverie hanno il loro motivo e per capirlo occorre mettersi nei loro panni. L’intera storia si basa sul fatto che il pregiudizio è dovuto alla paura dell’ignoto, di ciò che non è certo: in parole povere, del buio. Il trucco per smettere di avere paura è trovare il coraggio di scavalcare la siepe, saper guardare oltre piuttosto che starsene chiusi nelle proprie convinzioni. Harper Lee riesce nell’impresa di insegnarci una lezione importante con grande sensibilità, senza mai risultare pesante. E tutto questo grazie a due bambini, meno influenzati dai preconcetti rispetto agli adulti.


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