Bruce Lee: l’uomo diventato leggenda (o quella volta che Chuck Norris venne sconfitto)

DI ORIANA FERRAGINA

Ebbene sì, nonostante i meme che girano su internet, anche Chuck Norris è stato sconfitto. È successo nel 1972, quando l’attore americano ha lavorato in uno dei film di Bruce Lee, ovvero “L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente” (titolo originale “Meng long guo jiang/The Way of the Dragon”).

Nel film l’amato attore di “Walker Texas Ranger” interpreta l’antagonista che nel duello finale le prende sonoramente dal suo collega attore Lee, finendo anche ucciso alla fine dello scontro, nella suggestiva location del Colosseo di Roma; o, almeno, il luogo del duello finale del film è ambientato dentro le mura di uno dei più famosi monumenti della capitale italiana, perché le riprese sono state fatte in realtà in uno studio di Hong Kong, dato che sarebbe costato troppo girarle all’interno del vero Colosseo.

Sono partita da questo piccolo aneddoto per rendere omaggio ad uno dei più grandi maestri delle arti marziali del secolo scorso, di cui ricorre il cinquantenario dalla morte proprio quest’anno, ovvero Bruce Lee.

Bruce Lee è nato nella Chinatown di San Francisco il 27 novembre 1940, durante una delle tournée di suo padre, Lee Hoi-chuen, famoso attore e cantante d’opera cantonese; era il penultimo di cinque figli. I genitori gli hanno dato svariati nomi oltre a quello di Bruce, tra cui Xia Long, che significa “piccolo drago” (Lee era nato, infatti, nell’ora e nell’anno del dragone), che ne sottolineava il carattere esuberante che lo portò, in gioventù, a scontrarsi con la piccola criminalità giovanile di Hong Kong. Fu per questo che decise di imparare le arti marziali, iscrivendosi alla prestigiosa scuola di Wing Chun, sotto gli insegnamenti di Yip Man (o Ip Man, dipende dalla traslazione dai caratteri cinesi all’alfabeto occidentale derivante dall’alfabeto greco), nella cui palestra rimase solo cinque anni, tre dei quali sotto la guida di Wong Shun-Ieung, allievo dello stesso Man e istruttore. Da qui partì la passione di Bruce per le arti marziali, che non abbandonò mai e continuò a praticare autonomamente anche quando emigrò negli Stati Uniti.

Il giovane Bruce non era portato per lo studio e questo, unito alla sua indole vivace, i continui battibecchi con i compagni e la paura che rovinasse la reputazione della famiglia medio-borghese, costrinsero il padre a spedirlo negli Stati Uniti a vivere con un suo vecchio amico. Qui Bruce, dopo una breve permanenza a San Francisco e dopo essersi trasferito a Seattle quasi subito, riuscì ad ottenere una licenza superiore all’Edison Technical Institute nel 1962, per poi iscriversi alla facoltà di filosofia, che abbandonò, però, al penultimo anno.

Nel 1964 conobbe la sua futura moglie, Linda Emery, di origini svedesi e inglesi, da cui ebbe due figli: Brandon, nato il 1° febbraio 1965, che seguì la sua carriera d’attore e che morì tragicamente durante le riprese del film che lo vedeva come protagonista, “Il corvo”; Shannon Emery, nata il 19 aprile 1969, anche lei attrice, ora produttrice televisiva.

La particolarità dello stile combattivo di Bruce Lee sta nel fatto che è un mix delle varie tecniche che Lee ha studiato durante il corso della sua vita e che lo hanno portato, nel 1966, a dargli un nome: il Jeet Kune Do, ovvero “via del pugno che intercetta”. Si tratta di uno stile che non ha stile, dato che l’approccio a 360° distinse la tecnica di Lee da quella di ogni altro praticante di arti marziali. Tra gli stili appresi da Bruce, oltre allo studio assiduo del Kung Fu nello stile Wing Chu, ci sono, derivanti dal mondo occidentale, tecniche apprese dal pugilato e alcuni rudimenti di scherma, che imparò dal fratello minore Peter, all’epoca campione di questa disciplina. Lee, comunque, era attratto da qualsiasi disciplina di combattimento, anche se non praticò mai il Tai Chi seriamente, nonostante lo credessero in molti, ma ne imparò solo i concetti fondamentali dal padre di questa antica arte; non si confaceva, infatti, alle sue caratteristiche peculiari, prima fra tutte la velocità.

Lee sottolineò sempre che la preparazione mentale e spirituale fossero fondamentali per gli allenamenti fisici e nella pratica delle arti marziali.

Per quanto riguarda la sua carriera cinematografica, il debutto avvenne all’età di tre mesi nel mondo cinematografico di Hong Kong, nel ruolo di neonato nel film “Golden Gate Girl” (1941).

Tra i suoi ruoli va ricordato quello di Kato nella serie televisiva “Il calabrone verde” (1966-1967), di cui hanno fatto un film remake nel 2011 con lo stesso titolo e con protagonisti Seth Rogen e Jay Chou nella parte che fu di Lee, una parte nella serie di Batman con Adam West (sempre nella stagione 1966-1967) e un ruolo nella serie televisiva de “L’ispettore Marlowe”; oltre, ovviamente, a tutta la serie di film con lui protagonista che lo portarono al successo: “Il furore della Cina colpisce ancora”, “Dalla Cina con furore”, il sopracitato “L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente” e “I 3 dell’operazione drago”, che sarà il suo ultimo film e che non vedrà neanche approdare nelle sale.

Lee, infatti, morì il 20 luglio del 1973 nella casa di Betty Ting Pei a Hong Kong dopo essere stato male e aver preso un’aspirina contro il mal di testa incessante. Quando la donna si accorse dello stato in cui si trovava Lee, era già troppo tardi e ulteriori ritardi nel chiamare un’ambulanza per portare l’attore al pronto soccorso fecero sì che Bruce Lee arrivò già morto in ospedale. Infatti, Betty chiamò prima il produttore e socio in affari di Lee, Raymond Chow, e poi il suo medico generale, causando uno spreco di tempo.

L’autopsia non fu molto d’aiuto: si disse che poteva essere stata una reazione allergica ad una delle sostanze contenute nell’aspirina e si fece notare come il cervello di Bruce fosse più pesante del normale, a causa di due edemi cerebrali che la moglie Linda sospettò fossero causati dall’eccessivo lavoro a cui Lee aveva sottoposto il corpo e la mente nei mesi precedenti per completare il suo ultimo film. Infatti, due mesi prima, il 10 maggio 1973, Lee era già stato male, avendo un primo edema cerebrale, che i medici erano riusciti a curare.

Comunque, tutt’oggi aleggia un velo di mistero sulla morte di Bruce Lee e molte sono le persone che furono sospettate, all’epoca della morte, del suo presunto omicidio, tra cui Betty Ting Pei e lo stesso Raymond Chow, da cui Lee era in procinto di separarsi per il fatto che il produttore non gli aveva mai dato la percentuale pattuita sull’incasso dei suoi film; un giornalista, Alex Ben Block, insinuò che Lee fosse morto a causa di un particolare colpo di Kung Fu della tecnica Dim Mak, di cui l’attore poteva essere stato vittima inconsapevole sul set del suo ultimo film. Voce che prese piede anche grazie all’affermazione di Chow che Lee avesse ricevuto molti colpi non previsti dal copione sul set; e questo nonostante il Dim Mak fosse ritenuto folklore dagli esperti di arti marziali.

Non è ancora chiara tutt’oggi la causa della morte di Bruce Lee, nonostante le speculazioni si siano protratte anche nel nuovo secolo e, tra queste, l’ultima ipotesi espressa sul caso risale al 2022 e si deve ad un gruppo di ricercatori spagnoli che identificarono il motivo del decesso in una disfunzione renale pregressa non curata: una delle tante ipotesi che, periodicamente, appaiono sul web come presunte verità.

Sta di fatto che grazie anche a questa morte misteriosa, Bruce Lee è diventato una leggenda e una figura pop, apparendo su magliette, anche photoshoppate (come quella in cui l’attore si ritrova a fare il DJ con occhiali da sole sul naso), e quadri di ogni genere.

La leggenda di Bruce Lee e la maledizione che si dice aleggi su tutti i maschi della famiglia e che ha colpito anche il figlio di Bruce, Brandon, è stata nutrita anche dal film ufficiale sulla vita di Bruce: “Dragon – La storia di Bruce Lee” (1993), dove appare un demone che tormenta i sogni del padre di Bruce, prima, e di Bruce stesso, dopo, sfidando quest’ultimo a combattere con lui nei suoi sogni attraverso tutto l’arco narrativo della pellicola. La peculiarità del film, oltre a raccontare liberamente la vita dell’attore, consiste nel fatto che non fa vedere la morte di Lee. Il film finisce con la rappresentazione dell’ascesa di Bruce Lee come attore e preparatore atletico della nuova disciplina marziale e la voce della moglie, Linda, fuori campo che racconta della morte del marito, invitando, però, gli spettatori a ricordarlo per quello che ha fatto in vita.

Focus sulla scelta del casting: Jason Scott Lee, attore di origini cinesi e con nessuna parentela con Bruce Lee, fu scelto per la sua preparazione atletica, essendo un discreto ballerino, cosa che lo ha aiutato nell’apprendere la disciplina del Jeet Kune Do da un vero allievo di Bruce Lee, Jerry Poteet. L’attore divenne, successivamente, un allenatore qualificato nell’arte marziale fondata da Lee. Inoltre inizialmente il ruolo di Bruce Lee fu offerto a Donnie Yen, perché in un primo momento Linda Lee Cadwell dubitò delle capacità di Jason Scott Lee di impersonare il marito deceduto, tuttavia, al termine del film, si complimentò con l’attore per la sua performance. Anni dopo, Donnie Yen interpreterà in una serie di film il maestro di Bruce Lee, Ip Man, e nell’ultimo della serie “Ip Man 4 – The Final” (2019) apparirà anche Bruce Lee.

Per quanto riguarda la mia persona, ho conosciuto Bruce Lee grazie a mia madre, da sempre appassionata dei suoi film che ha visto sin da piccola e che avevano la particolarità di tenerla sveglia durante la visione al cinema; cosa che non accadeva quando si trattava di film Disney, che invece la facevano addormentare sin dai titoli di testa.

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