DI GIOSUE’ TEDESCHI
Sostiene Tabucchi che il dottor Pereira venne a visitarlo per la prima volta una sera di Settembre. Era il 1992 e Pereira, quando entrò in casa sua, non aveva ancora i contorni definiti, i tratti caratteristici con cui lo conosciamo oggi. Era poco più che un personaggio in cerca d’autore, un’idea che voleva essere comunicata. Come ogni storia anche quella di Pereira è ispirata dalla realtà; in particolare, sostiene Tabucchi, Pereira aveva per modello uno scrittore vissuto in Portogallo sotto la dittatura di Salazar.
Il nome non è quello del giornalista, naturalmente. In portoghese Pereira significa albero del pero ma, sostiene Tabucchi, non è quello il vero motivo per cui scelse di chiamare quella figura scontornata Pereira. È un nome di origine ebraica, popolo a cui voleva rendere omaggio; ed è anche stato usato da Eliot in “What about Pereira?”, dove due amiche parlano di un misterioso portoghese mai meglio specificato.
Il nostro Pereira, invece, è chiaramente visibile. Attraverso i suoi tratti fisici, certo, ma soprattutto attraverso le sue azioni e le sue scelte possiamo entrare nella mente di un giornalista che quasi per caso si è trovato a dar rifugio a un rivoluzionario. Una piccola ribellione impregnata di umanità; il dottor Pereira segue la politica, questo è sicuro, ma non è quel tipo di uomo che scende in piazza a protestare, che partecipa ai cortei, che grida a gran voce il suo disappunto. Chi mai oserebbe tanto sotto una dittatura? Pereira traduce racconti di autori francesi e li pubblica sulla pagina culturale del Lisboa. Pereira manda soldi a un pessimo scrittore, Monteiro Rossi, che anche se scrive degli articoli impubblicabili è simile a lui. Chiamati a scrivere della morte ma amanti della vita. Tabucchi sostiene che fossero queste le sue idee all’inizio del romanzo.

Sostiene Tabucchi con una delle sue frasi più celebri “Io e te siamo un bel trio”, e lo sostiene con la faccia più seria che abbia mai visto. Ed è certo: in letteratura uno più uno non fa mai soltanto due. C’è lo scrittore, c’è il personaggio, e c’è quel qualcosa d’altro. Come ci fa notare Andrea Bajani, Pereira per tutto il libro “sostiene”. Non sa con certezza. Dentro una confederazione di anime lui è soltanto quello che prende la parola. E’ l’Io egemone, direbbe Cardoso, quello che stabilisce la versione della storia.
Chi è Cardoso? Un nome interessante per un altro altrettanto interessante medico della clinica dove Pereira va a farsi curare per un paio di settimane. Tabucchi sostiene che Pereira fosse piuttosto abitudinario con la sua alimentazione e questo, suo malgrado, gli causò qualche problema di salute. Suda facilmente e altrettanto facilmente ordina una soda con ghiaccio e un’omelette alle erbe. Il solito, sostiene il barista del suo solito bar, il Café Orquidea.
Sostiene Tabucchi, e se non lo sostiene lo sostengo io, che questo è un libro da leggere. Può piacere oppure no ma di certo lascia qualcosa; dirò di più: lascia un qualcosa che cresce. Un semino che si pianta da qualche parte nel lettore che gli permette, mesi dopo, di tornare sulla lettura e ritrovarci una parte di sé stesso che non si era accorto di averci lasciato. Parlare della vita vuol dire parlare della morte e parlare di Pereira, sostiene Tabucchi, è anche un po’ parlare di lui.
Qualora volessi leggere un pezzo che parli di Scrittura, leggiti questo scritto qua!!!