La Chimera

DI GIACOMO CAMISASCA

Tutti noi siamo alla ricerca di qualcosa, un sogno vano che sembra impossibile da raggiungere e per questo motivo vaghiamo in questa vita senza sapere minimamente quale sarà la nostra destinazione ultima.

C’è la morte, ovviamente, ma dopo?

Alice Rohrwacher con il suo quarto lungometraggio presentato in concorso al 76° Festival di Cannes, racconta la storia di un gruppo di tombaroli nella Tuscia degli anni ‘80 capitanati dall’inglese Arthur (Josh O’Connor), un personaggio misterioso dal cuore infranto per la scomparsa della sua amata Beniamina che usa il suo potere da rabdomante per trovare antiche tombe etrusche da depredare.

(Alice Rohrwacher)

La regista toscana – nata a Fiesole – ci regala una storia pregna di dolcezza e nostalgia, un mondo che solo lei sa raccontare, un mondo magico che abbiamo dimenticato ma che continua a vivere ai margini della nostra realtà.

In questa pellicola la bellezza, nel suo significato più profondo e antico, si trova in ogni cosa, ma soprattutto si trova nel sacrilego, nella profanazione e nello stupore di trovarsi all’interno di una tomba etrusca.

Ma cos’è questa chimera?

Per i tombaroli, personaggi strambi, grotteschi che sembrano usciti da una pellicola di Federico Fellini, sono i soldi, sono il tentativo di diventare ricchi e uscire finalmente da quella vita fatta di sacrifici e povertà.

Dei tesori, delle tombe e del passato a loro non gliene frega assolutamente nulla.

Nemmeno di fronte ad una statua divina, trovata in quello che una volta era un tempio, hanno la minima esitazione nel mozzarle la testa, in modo da poter farla uscire da lì per venderla al miglior offerente.

Ma tutto quel tesoro, quel sogno di una vita piena di agi, per loro rimarrà soltanto un sogno, un percorso inevitabile. 

Al contrario il personaggio di Arthur è mosso da un unico desiderio, forse il più impossibile da raggiungere, una visione onirica che continua a sfuggirgli che vive nella sua mente e in quei luoghi mistici che sono il ponte tra la vita e la morte.

Beniamina si trova lì, dispersa in quel limbo che solo lui riesce a vedere, che solo lui riesce a percepire e che solo lui vorrebbe afferrare.

Accolto a braccia aperte dalla madre di lei, Flora (Isabella Rossellini), che è l’unica a sperare ancora in un ritorno della figlia, Arthur inizia a capire che quei tesori non sono lì per loro, non sono fatti per essere presi, venduti al mercato nero e dimenticati, no! Quei tesori non sono fatti per gli occhi degli uomini, ma appartengono alle anime che li custodiscono.

Il film ci fa capire una cosa fondamentale, anche noi diventeremo reperti, anche noi diventeremo polvere nelle tombe, diventeremo storia e memoria di questa terra.

E chi vivrà dopo di noi diventerà, che lo voglia oppure no, tombarolo.

Ovviamente non scaverà con pala e piccone, scaverà attraverso i ricordi, i pensieri sfuggenti che durano un attimo, ma fidatevi quell’attimo basterà.

È difficile dare un unico significato a La Chimera, è difficile collocarlo in un genere, è difficile spiegare le sensazioni che trasmette. 

Secondo me il tutto si trova nel titolo, in quella parola, impossibile da raggiungere che rimane sospesa, intangibile ma che è lì, che esiste in una sorta di realtà eterea.

Per me la visione de La Chimera è stata come un sogno ad occhi aperti, una sensazione che poche volte ho provato in vita mia, un sentimento che fatico a descrivere e ad esprimere con parole che abbiano un significato logico.

A fine visione mi ha pervaso un senso di malinconia ma anche di speranza, ho capito che devo continuare a cercare, che devo seguire quel filo invisibile che, inesorabilmente, continuerà a stare davanti a me, forse inafferrabile o forse no.

Un’ultima cosa, molto importante, andate a vedere questo gioiello, riempite le sale, purtroppo sono poche – solo 177 in tutta Italia – e sinceramente non capisco il perché di questa manovra che va ad ostacolare uno dei film più belli e visionari di questo 2023. 

Un film di una regista che non è alle prime armi, ma anzi è riconosciuta in tutto il mondo per il suo modo di fare cinema, un cinema che va salvaguardato e difeso.

Ho capito che oramai il fine ultimo delle case di distribuzione e delle sale è fare soldi, ma davanti a certe opere bisogna dimenticare la mera pecunia e cercare di condividere il più possibile quella che è a tutti gli effetti un’opera d’arte.

Svegliatevi da questa vita, andate al cinema e scavate nei vostri sogni.

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