DI ALBERTO GROMETTO
Premessa doverosa. Non ho mai visto in vita mia una sola pellicola facente parte della celebre saga fantascientifica nota come «IL PIANETA DELLE SCIMMIE». Non per una ragione specifica, semplicemente non è mai capitato. Ho visto giusto questo qua, e solo perché è un film di TIM BURTON, ed esclusivamente perché mi sono imbarcato nella pazza pazza pazza impresa di scrivere una rubrica sull’intera filmografia burtoniana. Ogni suo singolo film, dal primo all’ultimo. Il che include i suoi capolavori, così come i suoi errori. Così come il film che è ritenuto il suo peggiore. E che è questo qua.
Sì, esatto. Per quanto si possa amare un Autore, è molto probabile che un filmaccio gli scappi. Scappano a molti film brutti, anche ai Grandi. E solitamente in quasi ogni classifica burtoniana, la versione di Tim del racconto di un pianeta in cui sono le scimmie a comandare e gli umani le bestie è all’ultimo posto. Il punto è capire perché.
Innanzitutto, la prima cosa: non pare esserci nulla di Burton qui dentro. Quella che è la sua poetica, il suo sguardo, la sua folle visionarietà autoriale… dov’è esattamente?

Già il binomio fantascienza-Burton risulta di per sé atipico, se non vogliamo definirlo “innaturale”. Solitamente Tim realizza pellicole fantasy, è il Cantore per eccellenza delle fiabe dark, cupo e al tempo stesso sognante. Sia chiaro: questo non implica che Burton non possa realizzare film fantascientifici, cosa che del resto ha già fatto prima di questo film, con «Mars Attacks!», che rimane comunque un’altra pellicola piuttosto criticabile, al netto di alcune genialità. E non significa nemmeno che un Autore non possa realizzare film diversi dai suoi canoni. Dico solo che chi si aspetta una pellicola burtoniana, non l’avrà.
Ma poi: a prescindere da Burton, cos’ha di speciale e unico e originale questo film qua targato anno 2001? Ricordo che è un remake, il remake di un film che mi dicono essere iconico, al contrario di una pellicola che risulta dimenticabile. Ma che risulta dimenticabile anche per chi NON ha mai visto neanche un solo secondo dell’omonimo del 1968 diretto da Franklin J. Schaffner.
Facciamo così: supponiamo che non sia un film di Tim Burton. E supponiamo che non sia un remake. Cosa allora esattamente non funziona? Beh, è difficile a dirsi. Non è che c’è qualcosa di preciso che non vada. Se ci fosse, almeno ci sarebbe qualcosa di memorabile. Invece qua non c’è nessun elemento, caratteristica, qualità, pregio e di contro nemmeno difetto che risalti. Appunto: dimenticabile, che passa e se ne va senza lasciare traccia, nulla di che.
Ma qual è la storia?
Un astronauta che lavora con le scimmie incappa in un pianeta alieno in cui le cose funzionano alla rovescia: in questo caso sono i primati a primeggiare mentre gli esseri umani sono schiavi trattati alla stregua di animali, oggetti, maggiordomi. Financo messi in gabbia.

Su questo pianeta le scimmie sono generali e senatori e mercanti, hanno costruito loro città (se per questo i più facoltosi tra i primati possiedono persino delle case di campagna nella foresta pluviale!), hanno un loro governo scimmiesco che emana e promulga Leggi, una loro religione (pregano prima di cena), un loro esercito, un loro vestiario, indossano armature o abiti ricercati, sanno cavalcare. Ma soprattutto sono come noi umani: fortemente convinti di essere la specie superiore, tanto da trattare “chi non è uno di loro” come una bestia priva di diritti che non merita di essere trattata “con umanità”! Sì, esatto: vige l’odio, la diseguaglianza, l’incomprensione, lo schiavismo, il razzismo.
Quando le scimmie discutono sugli umani, sul fatto che si riproducono in fretta, che forse andrebbero sterilizzati piuttosto che eliminati, che sono esseri selvaggi privi di cultura, che dovrebbero starsene “tra di loro” nel proprio habitat naturale, che sono tutti uguali e indistinguibili agli occhi dei primati-umanoidi, che si starebbe “meglio senza”, che il pianeta andrebbe ripulito dalla loro presenza… non ci ricorda qualcosa? Non ci ricorda la Shoah? Non ci ricorda lo schiavismo della popolazione afroamericana negli Stati Uniti? Non ci ricorda, in altre parole… Noi Umani?

Il fatto è che questo sentimento di distanza e divisione tra razze non vale solo per le scimmie nei riguardi degli umani ma anche da parte degli umani nei confronti delle scimmie: non si fidano gli uni degli altri. Quand’anche una scimmia si interessasse a loro, li volesse aiutare, fosse sostenitrice dei “diritti umani”… e qualche scimmia che in effetti li vuole difendere esiste… la stragrande maggioranza degli umani continuerebbe a nutrire sfiducia, ad alimentare le differenze tra specie, a sottolineare quanto siano diversi!
Ma sapete che ora che ci scrivo sopra, mi rendo conto come tutto questo sia molto interessante? Certo, non è un’idea nuova e originale. E di sicuro non è espressa nel migliore dei modi, annegata da numerose scene d’azione che… per carità, non spezzano il ritmo più di tanto, è anzi un film che scorre piuttosto veloce… però ti lasciano poco o nulla, sia in termini visivi sia in termini narrativi. Ma comunque, alla fin fine, ecco che se da qualche parte deve spuntare, è proprio qui che sbuca Tim Burton!

È da tutta una vita che lui parla dei diversi, degli strambi, dei freak che vengono emarginati e tenuti a distanza. D’accordo, solitamente lui racconta di individui solitari senza nessuno attorno che finiscono per essere isolati. In questo caso invece si tratta di due specie intere: da una parte l’Umano, dall’altra lo Scimmiesco. Ma alla fine il meccanismo di base è lo stesso: le scimmie ritengono strani e diversi da loro gli umani, e pertanto ridicoli e pericolosi e inferiori… e viceversa!
È dall’alba dei tempi che viene a mancare nel Mondo lo sforzo di provare a guardare al diverso e dire: Chissà, magari poi tanto diverso da me non è! E se anche fosse diverso, proviamo a capire che cosa sia e come funzioni. Perché, chi può dirlo?, magari lì, proprio lì dove vi è quanto di più diverso possa esserci da Noi, forse si nasconde qualcosa di talmente prezioso e unico che nemmeno potevamo immaginarlo.
Eccolo che allora alla fine, tutto sommato, dietro il remake, dietro un filmetto che resta dimenticabile e non credo riguarderò mai più nella vita, dopotutto un po’ di Burton che ci racconta della solitudine umana (e scimmiesca, a quanto pare) e dell’incomprensione verso il diverso… c’è!
Alla fine, almeno nel caso di questa pellicola, Tim è perfettamente coerente con sé stesso, fedele a quanto ha sempre raccontato da tutta la Vita: perché con questo film lui si ritrova ad abbracciare il diverso, a realizzare un’opera cinematografica differente da quelli che sono i suoi canoni abituali, a fare qualcosa che non aveva mai fatto prima. E sì, il risultato lascia molto a desiderare, ma c’è il tentativo bellissimo e meraviglioso da parte sua di non ignorare la diversità, nemmeno nell’Arte! Ma di provare talvolta a gettarcisi dentro.

Ed è per questo che per me non stiamo parlando del peggior film di Burton. Vi saranno altre occasioni nell’arco della sua carriera in cui, prigioniero di sé stesso e della sua visione, finirà per snaturarsi e ad auto-imitarsi sfornando pallide copie, per nulla fedeli al vero spirito burtoniano, dei suoi autentici capolavori sovversivi di un tempo. Ma non è questo il caso! Perché qui traspare il coraggio di un Burton affermato come non mai che però, all’apice del successo e della gloria e del trionfo, fa la scelta meno scontata possibile: tenta la strada del nuovo e dell’inesplorato e del diverso, mettendoci tutto l’amore possibile.
Perché, poi, è una questione di amore. Tutto il gran casino raccontato da questo film nasce dall’odio, un odio che si trasmette e si propaga dai padri ai figli attraversando le generazioni. Una frase del film mi è rimasta particolarmente cara:
«È disgustoso il modo in cui trattiamo gli umani. Degrada noi tanto quanto loro.»
Nel momento in cui tratti come uno schifo un essere vivente, anche tu diventi parte di quello schifo. E, così, siamo TUTTI maledetti. Uomini e scimmie, tutti quelli che vivono quell’odio, che fan parte dello schifo. Pronti a scannarci tra di noi e a farci a pezzi solo perché non si accetta il diverso.
Ancora una parola sul cast. Tra gli attori, che siano umani oppure ricoperti da masse di peli di un make-up scimmiesco, oltre ad un MARK WAHLBERG protagonista, oltre ad un cattivissimo pelosissimo TIM ROTH, oltre ad un PAUL GIAMATTI scimmione veramente monumentale, una menzione specialissima spetta ad uno degli incontri più importanti che Burton farà mai nella vita, sia professionale che personale: stiamo parlando naturalmente della divina e impareggiabile HELENA BONHAM CARTER, che conosciuta su quello stesso set (lei interpretava la primate che credeva nei diritti umani), diverrà la sua compagna, la sua attrice preferita, la madre dei suoi figli. E insieme realizzeranno capolavori immortali.


In conclusione, ricordiamoci che la diversità fa parte della nostra vita e che se c’è una cosa nella quale dobbiamo essere tutti quanti simili, uomini e scimmie, è proprio nell’essere diversi. Non a caso, ad un certo punto del film, verrà deciso di seppellire i primati e gli umani morti nel corso del film nello stesso luogo e senza alcun segno distintivo sulle tombe: così che si possa piangere per gli uni e per gli altri, insieme.


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