DI ALBERTO GROMETTO
“Sei una persona speciale!”.
“Che bimbo speciale!”.
“Tu sei speciale!”.
Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa parola? SPECIALE.
Ma che caspita significa, “speciale”?
TIM BURTON: il Maestro, il Regista, il Cantore del Dark.
Ecco, lui sì che è un cineasta speciale che ama parlare di persone speciali.
Se si guarda il dizionario alla voce “speciale”, si riscontreranno tra i sinonimi “peculiare”, oppure “particolare”. Io credo che dire di una cosa o una persona o una situazione che è “speciale”, significhi dire che “tu te ne ricorderai”. Magari non deve essere a tutti i costi positiva, o bellissima, oppure luminosa. Ma certamente non la scorderai mai.
Ecco allora che si capisce come mai il Maestro Burton sia un autore speciale: perché di norma le sue opere, che piacciano o meno, sono però creazioni destinate a rimanere nella memoria, a durare nel tempo, ad essere ricordate. Tim ha segnato l’immaginario collettivo al punto che chiunque, anche il più negato, anche se non appassionato di cinema, dinanzi ad un suo film non può non riconoscerne lo stile, la mano, lo sguardo.

Ecco dunque che allora è subito evidente come «Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali», che si propone l’obbiettivo di parlarti di certe persone speciali, sia un film a cui possono essere appioppati numerosi aggettivi, ma certamente “SPECIALE” non è uno di questi!
Ecco infine che sorge spontanea la domanda: siamo in presenza di un film che parla di cosa significhi essere speciali e quindi “memorabili”… ma che non è per nulla speciale o memorabile? Sì, direi proprio di sì. Come la vedi, questa pellicola passa… senza lasciare troppe tracce del suo passaggio.
Ma cosa c’è che non va, esattamente? Il glorioso cineasta californiano, che tanto ha fatto sognare e al quale così tanto dobbiamo, non ha adottato il suo solito stile caratteristico? Burton ha dimenticato di essere Burton? No no, se l’è ricordato chi è stato: il fatto è che se l’è ricordato fin troppo!
Perché sì, Care Amiche e Cari Amici: il Maestro si ricordava talmente bene chi sia stato Burton da scordarsi chi sia adesso. E adesso è un autore che, dopo aver cambiato la Storia, deve necessariamente rimanere al passo con i tempi, innovarsi, trovare nuova energia e vigore. E invece, in questo caso, se ne esce con un film stanco, dimenticabile, infarcito fino all’orlo di tutti quelli che sono i suoi vecchi cavalli di battaglia, i suoi preconfezionati, i cosiddetti stilemi “burtoniani”… al punto da far sembrare quasi il film fatto da uno che imita Burton piuttosto che da Burton stesso. Una parodia involuta di sé stesso.

Tratto da un romanzo fantasy, questo film targato 2016 è l’occasione per Tim di fare una delle cose che ama fare di più: raccontarti una favola cupa e sospesa tra il malinconico e il sognante che vede come protagonisti quei suoi personaggi strani e stramboidi, quei freak emarginati dalla società in virtù della loro particolare stramberia e che invece hanno qualcosa di unico, irripetibile, “speciale”. Va bene, d’accordo: questa cosa però Burton la fa da oltre trent’anni… e qui ci viene riproposta in una maniera talmente uguale a sé stessa, talmente priva di verve, talmente piatta e standarizzata che… che davvero, non hai qualcosa di particolarmente brutto da dire. Ma nemmeno di particolarmente bello.
Qui sta l’inghippo! Abbiamo detto che “speciale” non necessariamente sia qualcosa di fantastico. Ma può essere anche qualcosa di orribile. Quello che conta è che sia “memorabile”. Questo film invece è talmente monocorde, talmente banale, talmente mediocre… che non merita di essere ricordato, né in un senso né nell’altro.
C’è questo ragazzo strano, solitario, senza amici. Vuole molto bene al nonno che gli raccontava favole meravigliose su mostri ed esseri “speciali”. Da bambino gli credeva, crescendo ha smesso. Poi però il nonno viene ammazzato da quella che sembrerebbe essere una creatura mostruosa che solo il ragazzo però vede. E allora ritorna a credere a quei racconti. Una serie di indizi lasciatigli dal nonno porterà il ragazzino a cercare quei posti che gli venivano narrati. E poi… sorpresona! Quei racconti erano veri, e lui troverà una casa piena zeppa di ragazzini come lui, che hanno poteri speciali, che sono tizi particolari e bizzarri e freak che hanno un che di magico, con cui lui fa amicizia, e che gli spiegano che però ci sono dei cattivoni che li stanno tormentando e che sono da battere!
Okay, mi fermo qui. A voi non sembra di aver sentito storie simili millequattrocentocinquanta volte almeno? Certo che vi sembra, perché è così! È una narrazione standarizzata piena di banalissimi cliché tipici di tutto questo genere di film: le pellicole fiabesche “per ragazzi” che raccontano di avventure incredibili, di come ci sia il Male che deve essere battuto ma che può essere sconfitto grazie alla forza dell’amicizia!
«Harry Potter», «Spiderwick», «Le Cronache di Narnia», «Hunger Games», «La Bussola D’Oro», «Percy Jackson», «Eragon»: abbiamo già tutte queste “storie fiabesche per ragazzi” che parlano di un gruppo di ragazzi che entra in contatto col fantastico, col magico, col sovrannaturale o comunque con qualcosa di “diverso dal solito” e che deve combattere le Forze del Male… sentivamo davvero il bisogno di questo film che nulla aggiunge a questo discorso e che anzi sembra una pallida copia scopiazzata di queste pellicole qua? Lo scheletro della storia, il prototipo, è lo stesso: le sono state incollate sopra le caratteristiche burtoniane (dallo stile visivo ai protagonisti freak e via dicendo) e il gioco è fatto!

Da questa mia recensione sembra che abbia stroncato di netto il film. E un po’ mi dispiace. Io amo Tim Burton. E il finale di questo film è anche bellino. E certe trovate visive e narrative brillanti. Si tratta sempre di un Burton, del resto! Ma il fatto è che io questo film l’ho visto al cinema, uno dei luoghi più belli del mondo per me. E io ho una memoria di ferro, specie se si tratta di pellicole viste in sala. Ma di quest’opera qua, e probabilmente già un mese dopo averla visionata, non mi ricordavo che pallide memorie offuscate. E quando l’ho rivisto per potervi offrire un giudizio imparziale e scevro da condizionamenti… mi sono annoiato!
Questo ci deve essere però di insegnamento: puoi aver fatto la Storia e puoi essere un autore dei più grandi possibili, ma ogni volta che ti ritrovi davanti ad una pagina bianca pronto a scrivere un nuovo racconto, oppure dietro la cinepresa per poter dirigere un nuovo film… devi sempre “ricominciare da capo”. Fare come se non avessi fatto nulla. Ripartire da zero. Il che non significa rinunciare a quello che è il tuo stile, il tuo modo di raccontare, il tuo sguardo. Quello fa parte di te, e non lo potrai mai estirpare del tutto da te stesso fortunatamente. Ma devi anche evitare di diventarne dipendente: non correre il rischio di rimanere imprigionato in te stesso.
Altrimenti tutto quello che ti ha reso grande e indimenticabile rischia di diventare qualcosa di ripetitivo e dimenticabile. Qualcosa di già visto. Rischi di sprecare grandi star del calibro di EVA GREEN, RUPERT EVERETT, JUDI DENCH, TERENCE STAMP, ALLISON JANNEY. Tutti nomi grandiosi, interpreti sublimi, ma della cui interpretazione manco ti ricordi. La Green, che è sempre maestosa in fatto di recitazione, interpreta qui la Miss Peregrine del titolo, comparendo sì e no venti minuti scarsi e con un apporto costruttivo alla trama pari a zero. Pure il protagonista ASA BUTTERFIELD, attore talentuoso che deve reggere sulle sue spalle il peso dell’intero film, sembra sprecato. E che dire di quel gigante che è… il divino SAMUEL L. JACKSON? È ben triste pensare che questo sia il solo film che Burton e lui hanno fatto insieme. Il nostro Samuel si ritrova a interpretare il più scontato, banale e piatto dei cattivoni: lui è semplicemente perfido e malvagio perché gli va, stereotipato all’ennesima potenza, sembra proprio una macchietta il cui unico scopo è ridacchiare e ghignare come ogni cattivone farebbe!


Non perdiamoci in inutili giri di parole: Burton è invecchiato e invecchiando spesso gli autori perdono la loro grinta, le idee si esauriscono e la loro vena impallidisce. Del resto nell’ultima parte della sua carriera, dopo averci donato tutta una serie di film memorabili, ha realizzato pellicole discutibili, trascurabili, dimenticabili. Che cosa dovrebbe fare? Smettere forse di fare film?
Sapete, Jackson ha detto una cosa su Tim durante un’intervista che ha rilasciato a seguito delle riprese del film. Ha detto che ha accettato ad occhi chiusi la parte, senza nemmeno sapere di che pellicola si trattava. Perché? Perché Burton, che piaccia o meno, dice Samuel, crea mondi che non si limita a farti sentire ma te li fa vivere. È un regista che ti fa davvero credere, tramite la sua Arte, che il mondo magico esista.
Ha forse perso il tocco, mi chiedo io? Non è più capace di fare magie? Beh, però c’è un tempo in cui le ha fatte. E la verità è che quelle magie durano ancora adesso, perché i suoi film li guardano ancora tutti, e pure io ogni volta che me li vedo non posso fare a meno di credere a tutto quello che mi sta raccontando, per quanto folle e assurdo e fantastico possa essere. Un po’ come il ragazzino con suo nonno.
E allora speriamo che Burton non smetta mai di fare film!
E allora andiamo al cinema pensando che Tim possa uscirsene con qualcosa di nuovo ma comunque suo, che sappia scuoterci come faceva un tempo!
E allora facciamo come Samuel L. Jackson e accettiamo ad occhi chiusi di vedere ogni film burtoniano per il solo fatto di essere un film burtoniano. Al massimo dopo lo criticheremo e lo stroncheremo. Ma intanto andiamo a vederlo sperando di credergli ancora, di credere ancora a quella magia. E ancora. E ancora.


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