DI ELODIE VUILLERMIN
Tuffiamoci in un classico della letteratura: Oliver Twist. Altrimenti detto “l’escalation di sfighe e ingiustizie più lunga della storia”. Almeno il lieto fine c’è.
LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL
Il piccolo Oliver affronta sfortune di ogni tipo: maltrattato, costretto a patire la fame, rinchiuso in stanze buie, accusato ingiustamente di essere quello che non è, sfruttato e ingannato dai suoi presunti amici. A una certa è stancante leggere che quel povero bambino subisce le peggiori angherie e che gli apparenti attimi di gioia svaniscono poco dopo, tanto da farti venire il sospetto che Oliver sia imparentato con Candy Candy, Georgie e tutta la combriccola degli orfanelli iellati di cui si parla negli anime.
Altro punto a sfavore sono le descrizioni sovrabbondanti, precise in ogni minimo dettaglio, e il linguaggio ricercato. Questi elementi, tipici dello stile vittoriano, finiscono con l’appesantire la scrittura per chi non ci è abituato.
Viene da chiedersi: ma vale la pena proseguire la lettura? La mia risposta è, sorprendentemente, sì. Io cerco sempre di vedere il positivo in tutto ciò che leggo o guardo, sono dell’idea che la frase “è tutto da buttare” non vale.
La storia di Oliver non è solo una sfortuna dietro l’altra. C’è anche un alone di mistero riguardo la sua nascita: una madre (Agnes) morta poco dopo il parto, un padre scomparso nel nulla, un medaglione e un anello rubati. Finché si scopre che il padre di Oliver, sposato con una donna crudele, ebbe una relazione clandestina con Agnes, e nel suo testamento stabilì che il figlio nato da lei avrebbe ereditato tutta la sua fortuna se fosse rimasto sulla retta via. Perciò il suo ingresso nella banda di Fagin va letto come parte di un subdolo complotto e a idearlo è il misterioso Monks, fratellastro di Oliver e complice della banda di ladruncoli, che non solo cerca di riprendersi i gioielli di Agnes per farli sparire, ma vuole affidare Oliver a Fagin con la speranza di trasformarlo in un pessimo soggetto e di avere tutti i soldi per sé.
Ma anche in mezzo a tanta ingiustizia, Dickens fa trionfare il “principio del Bene”, attraverso le figure di Rose, la signora Maylie, Brownlow, la signora Bedwin, Harry e il dottor Losberne. È grazie a loro se Oliver riesce ad avere un lieto fine, riunendosi a una parente che nemmeno sapeva di avere e venendo adottato dal signor Brownlow. Non solo, il karma va a colpire quelli che sono stati più meschini con lui.

UNA STORIA DI DENUNCE
Oliver Twist è un grido contro l’era vittoriana e il suo sistema educativo nei confronti dei bambini, evidente soprattutto nella scena in cui Oliver chiede la minestra per la seconda volta. Denuncia gli orfanotrofi che sfruttano i bambini per i lavori più duri e pericolosi, privi di qualsivoglia compenso. Va contro le ricche famiglie inglesi che offrivano aiuto e beneficenza ai poveri solo per convenienza e per guadagnare ammirazione nella società, il genere di famiglia da cui quella di Rose e il signor Brownlow si discostano fortemente.
Ci dimostra la crudeltà dell’alta società e delle istituzioni vittoriane, un mondo autoritario che si impone sugli altri con violenza. Con il piccolo Oliver non dimostra gentilezza: lo educa a bastonate e pedate, gli fa mangiare cibo scadente, lo sfrutta per i suoi comodi e tenta di sbarazzarsene in ogni modo quando ormai non serve più a nulla. Tutto questo ci viene raccontato con una certa pietà, invitandoci a immedesimarci nei panni della vittima: nel quarto capitolo, ad esempio, Dickens descrive Oliver mentre mangia di gusto una ciotola di cibo destinato al cane (poiché erano giorni che non mangiava) e invita quei filosofi con “sangue di ghiaccio e cuore di ferro” a mangiare lo stesso tipo di cibo con la stessa gioia del ragazzino.
Non solo, le parole di Dickens hanno il pregio di essere autentiche. La banda di Fagin, composta da ragazzini senzatetto a cui non è stata concessa un’educazione, per quanto disonesta nel suo modo di agire è il ritratto più profondo, vero e significativo della povertà negli ambienti urbani; lo specchio di un mondo spesso ingiusto, difficile, dove per sopravvivere devi abbassarti a fare le cose peggiori (ossia rubare).

IL BENE E IL MALE
Dickens fa subito distinzioni chiare tra chi sono i buoni e chi i cattivi: i primi hanno grandi virtù e un eccellente aspetto fisico, i secondi si identificano con i loro vizi e un pessimo aspetto.
Oliver è senza dubbio il più buono di tutti, il modello di un nuovo eroe per Dickens, un reietto sociale che riesce a trovare il suo lieto fine ma che mantiene sempre il suo buon cuore nonostante i trattamenti subiti. Altrettanto di buon cuore sono: il signor Brownlow, il vecchio libraio che fin dall’inizio intuisce le origini di Oliver; la giovane Rose, anche lei orfana e vittima delle macchinazioni di Monks; la signora Maylie, che ha cresciuto Rose come sua figlia per anni; e Harry, figlio della signora Maylie, innamorato di Rose. Possiamo trovare una scintilla di bontà perfino nella prostituta Nancy, figura tragica e complessa, che per salvare Oliver dalle macchinazioni di Monks va contro la sua stessa banda e rimane uccisa.
Di malvagi ce ne sono tanti, quasi troppi. Abbiamo Noah, geloso di Oliver e delle attenzioni che il suo capo gli riserva, che entra in affari con Fagin e contribuisce alla morte di Nancy. Abbiamo Fagin e la sua banda di ladruncoli. Abbiamo Sikes, crudele socio in affari di Fagin dai modi bruschi, che maltratta sempre tutti, incluso il suo cane.
Crudele più di chiunque altro è certamente il signor Bumble, il messo comunale che ha battezzato e cresciuto Oliver nei suoi primi anni di vita. Fa patire la fame a lui e agli altri bambini perché i poveri non si meritano più cibo del necessario. Lo manda a lavorare quando lui ha la “sfrontatezza” di chiedere un po’ di minestra in più. Lo fa passare per un selvaggio, incline alla violenza e ingrato nei confronti degli altri: a suo dire, è inutile essere generosi con i poveri, perché ti ricambieranno rubando o uccidendo alla prima occasione utile. Addirittura, quando Oliver impazzisce e si rivolta contro Noah perché ha insultato la memoria di sua madre, viene suggerito (in modo alquanto subdolo e fasullo) che ciò possa essere dovuto al fatto che viene nutrito con cibo da ricchi. Molto soddisfacente è la sua sorte sul finale del romanzo: dopo essersi macchiato del furto dei gioielli di Agnes, finirà i suoi giorni in povertà, in un ospizio.


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