DI EDOARDO VALENTE
Il focolare è quella situazione in cui la Storia fa sì che grandi personalità, spesso ancora prima di essere “grandi”, si possano incontrare, per alimentare a vicenda il proprio essere, per creare, grazie al loro incontro, qualcosa di irripetibile per l’umanità.
In questo senso, la Germania a cavallo tra fine Settecento e inizio Ottocento era un incendio senza fine: brulicava di focolari.
Un esempio è già stato citato nel focolare dedicato a Schopenhauer.
Questa volta, però, torniamo indietro di qualche anno.
Nel 1770 nascono, a distanza di pochi mesi, quelle che saranno le più grandi menti del Romanticismo tedesco: Johann Christian Friedrich Hölderlin e Georg Wilhelm Friedrich Hegel.
Per capire qual era il contesto culturale del loro Paese in quegli anni, basti pensare che quando loro ancora si battevano il cucchiaio sulla fronte, il venticinquenne Goethe, nel 1774, pubblicava I dolori del giovane Werther.
Da ragazzo, Hölderlin studia latino e greco, dialettica e retorica, che gli vengono insegnati da un diacono pietista, zio di Friedrich Schelling (che incontreremo a breve).
Impara anche a suonare il pianoforte, strumento che lo accompagnerà per tutta la vita.
Dopo aver frequentato diversi seminari, poiché la madre desiderava che fosse un pastore protestante, intorno ai vent’anni va a Tubinga, per iscriversi al celebre Tübinger Stift, dove avrebbe studiato, oltre alla teologia (per lui poco piacevole), anche la filosofia.
È proprio lì, negli anni a ridosso delle Rivoluzione francese, che fa la conoscenza di Hegel e di un giovane Schelling che, viste le sue precoci capacità, viene ammesso allo Stift a soli quindici anni.

Quello è stato un periodo fondamentale per il futuro dei filosofi romantici e del nostro poeta. Compagni di stanza e di studi, sentono tutti e tre che il metodo d’insegnamento dello Stift era poco funzionale, e a loro poco utile; così leggevano per conto loro le opere di quelli che avevano la fortuna di chiamare contemporanei: da Kant a Goethe, da Schiller a Fichte.
Anche i classici antichi hanno fortemente influenzato i giovani, tanto che Hölderlin ai fasti perduti della Grecia antica si sentirà per sempre legato.
È grazie alla condivisione di idee ed al confronto con i grandi del presente e del passato che il loro spirito si è così formato, e, al di là di tutta la produzione delle loro vite, c’è un testo molto particolare a cui si può fare riferimento.
Il testo in questione risulta essere un mistero della storia della filosofia.
Risale al 1797, e a noi è arrivato solo un frammento, che all’inizio del XX secolo è stato intitolato: Il più antico programma sistematico dell’idealismo tedesco.
Il mistero è il seguente: chi è l’autore?
La risposta sembra essere facile, poiché i test calligrafici fatti sull’originale manoscritto lo attribuiscono a Hegel.
Mistero risolto? Sarebbe troppo facile.

Maggiori studi hanno infatti complicato la situazione che, se la si vuole invece semplificare, risulta essere questa: sia Hegel, che Hölderlin che Schelling possono essere considerati gli autori.
Ed è così che oggi il frammento viene considerato: con l’incertezza di chi dei tre sia stato la mente dietro quelle parole.
La risposta più bella che possiamo darci, però, è anche quella che per forza di cose è l’unica, ovvero che gli autori, direttamente e indirettamente, sono tutti e tre.
Anche se l’ha scritto uno solo, le idee che contiene, il modo in cui sono state sviluppate, sono figli dell’unione di tre menti, affini per ideali, ugualmente ostili ad una stessa università e simpatizzanti per una rivoluzione nella vicina Francia.
Desiderosi di rivoluzionare anche loro lo Stato, portando nel mondo un’educazione etica che non poteva prescindere dall’estetica.
Ma anche gli anni felici dello Stift giungono al termine e, prima di congedarsi, in occasione della ricorrenza della presa della Bastiglia del 14 luglio, in un campo fuori Tubinga, i tre hanno eretto un “albero della libertà”, attorno al quale hanno danzato, celebrando quell’ideale, che è anche un sentimento, che avrebbe guidato le loro vite.
Si separano, ma solo apparentemente: i luoghi che frequentavano gli intellettuali dell’epoca erano, in fin dei conti, sempre gli stessi, e tutte le vite di queste grandi personalità risultano sempre, in qualche modo, collegate tra loro.
Mentre Hölderlin e Hegel per i primi sostentamenti fanno i precettori ai figli di ricchi, spesso trovandosi il lavoro a vicenda (e spesso dovendo abbandonare di corsa le case in cui erano ospitati, causa la gravidanza indesiderata di una donna di servizio o una dama di compagnia), quello che inizialmente sembra avere più successo è Schelling.
Frequenta il circolo di Jena, dove incontra Goethe, Schiller, Novalis, i fratelli Schlegel e Fichte. Alle lezioni di quest’ultimo assisteranno tutti e tre, ma sarà Schelling a prenderne il posto. Nei primi anni dell’Ottocento, ospiterà in casa sua Hegel, anch’egli a Jena per tentare la fortuna nel mondo accademico.
Hölderlin, nel mentre, non potrebbe desiderare altro che fare il precettore.
Negli ultimi anni del Settecento aveva instaurato un rapporto epistolare con Schiller, che ammirava profondamente, al quale aveva fatto leggere la prima stesura del suo romanzo Hyperion. Sia Schiller che Goethe trovano che le poesie di Hölderlin siano meritevoli, ma evidentemente il distacco generazionale si fa sentire, e vedono nei suoi versi una ventata di novità che non apprezzano più di tanto.
Nel 1796 qualcosa di meraviglioso accade.
Hölderlin diventa precettore a Francoforte, a casa del banchiere Gontard. Lì fa conoscenza della moglie, Susette, della quale si innamora e da cui viene ricambiato.
In lei Hölderlin rivede le caratteristiche perfette e idealizzate di Diotima, la donna amata dal suo Iperione, protagonista dell’omonimo romanzo.

Nei due anni che trascorre in quella casa, il rapporto tra il poeta e la moglie del banchiere si intensifica, e ne nasce una relazione segreta che, ben presto, farà parlare di sé.
Hölderlin si troverà costretto ad allontanarsi dall’amata e dalla sua famiglia, lasciando l’incarico di precettore.
Il seguito del rapporto tra i due è testimoniato da alcune lettere di Susette, le uniche che si sono salvate, in cui traspare un grande sentimento, unito al dolore per la loro lontananza.
Hölderlin in quegli anni gira in molte città, accompagnato dal suo caro amico Isaac von Sinclair, trovando occasionali occupazioni come precettore, pubblicando su qualche rivista, tentando di ottenere una cattedra di letteratura greca, tramite l’intercessione di Schiller, che però decide di non aiutarlo.
Alla pubblicazione della seconda parte del suo Hyperion ne invia una copia a Susette, scrivendole: “A chi, se non a te?”.
In quella parte dell’opera, Diotima, l’amata di Iperione, muore, lasciando nello sconforto più totale il protagonista.
E, come se le parole di Hölderlin fossero state profetiche, nel 1802 la sua amata Susette muore, mentre lui stava tornando a piedi dalla Francia, dopo aver lasciato l’ennesimo incarico da precettore.
Il suo amico Sinclair, informandolo della morte di lei, gli scrive:
“Quando lei ancora era in vita, tu credevi nell’immortalità, ora che la vita del tuo amore si è separata dall’effimero, ci crederai più di prima.”
Seguono anni difficili per il poeta, con i suoi continui spostamenti, ma almeno riesce a incontrare ancora una volta i suoi vecchi compagni di università.
Nel 1805 gli viene offerto un posto da bibliotecario a Homburg, ruolo che ha ricoperto per pochissimo tempo, poiché l’anno successivo è stato condotto a Tubinga, per essere ricoverato in una clinica. La sua psiche, in quegli anni, ha subito gli ultimi colpi devastanti, e si è acuita la malattia che lo affliggeva, che oggi sappiamo essere un tipo di schizofrenia.
A trentasette anni Hölderlin non può più vivere autonomamente la sua vita, ha costante bisogno di un aiuto, e questo gli verrà fornito da Ernst Zimmer, un colto falegname che lo ospiterà nella sua casa sulla riva del fiume Neckar, a Tubinga, luogo che oggi è noto come la Hölderlinturm, la Torre di Hölderlin.

E mentre quello che ancora doveva essere riconosciuto come uno dei più grandi poeti di lingua tedesca giaceva in questo stato, isolato da tutti, in quello stesso 1807 la carriera di Hegel decolla definitivamente.
Viene pubblicata la sua opera Fenomenologia dello spirito, che resta tutt’ora una delle pietre miliari della storia della filosofia.
Nei decenni successivi, Hegel ha scritto le grandi opere in cui si sviluppa il suo pensiero, la summa dell’idealismo tedesco, ha frequentato i più celebri intellettuali suoi contemporanei, e ha insegnato nelle più prestigiose università della Germania, riscuotendo grandissimo successo.
In particolare, le seguitissime lezioni all’università di Berlino erano quelle contro le quali si è scagliato Schopenhauer, che aveva tentato di avere un seguito pur tenendo lezione nelle stesse ore dell’altro già apprezzatissimo filosofo.
A differenza sua, Schelling, nonostante sembrasse avere una carriera promettente, a causa sia di avvenimenti personali, sia degli attacchi alla sua filosofia (soprattutto da parte di Hegel) si isola per moltissimi anni.
Nel 1841, a dieci anni dalla morte di Hegel, viene chiamato per prendere la cattedra che era stata sua (tra gli uditori c’è stato anche Kierkegaard), ma senza raggiungere l’impareggiabile successo di quello che era stato suo compagno di studi e amico.
E così, Hegel muore amato da tutti, Schelling rimane nell’ombra, e Hölderlin?
Il poeta è chiuso nella torre, e ci rimane per più di trent’anni.
In quegli anni riceve sporadiche visite da amici e ammiratori, e uno di questi è il giovane aspirante poeta Wilhelm Waiblinger, che frequenta Hölderlin per diversi mesi, ed è stato il primo a fornire un resoconto della sua condizione.
Ma il destino di Hölderlin doveva essere la grandezza, e a distanza di anni questa gli è stata riconosciuta.
Il primo a lodarlo particolarmente fu Nietzsche, ma anch’egli in vita non fu così noto e apprezzato.
Il grande filosofo a cui si deve una profonda riscoperta della poesia e della poetica di Hölderlin è Martin Heidegger.
Ed è come se così si fosse chiuso quel percorso della gloriosa filosofia e poesia tedesca, che da Goethe e Schiller è passata per i nostri tre romantici, e da Hölderlin e Hegel è passata per Schopenhauer e Nietzsche, fino a giungere a Heidegger.
Il compito della cultura tedesca sembrava quello di far rivivere la grandezza dell’antica Grecia, molto amata da tutti coloro che ho sopra citato.
E per un po’ ci erano riusciti, ma già Hölderlin, in una poesia intitolata Germanien, ancora una volta ci aveva consegnato una sentenza profetica:
“Dèi dileguati, e anche voi presenti,
più veri allora, non è più il tempo.”
Non era più il tempo degli dèi.
Eppure, ci avevano creduto tutti e, purtroppo, i nazisti ci hanno creduto un po’ troppo, travisando definitivamente quell’ideale di grandezza.
Così è morta l’impareggiabile e secolare stagione di splendore della cultura tedesca.
Gli dèi si sono dileguati, poiché non è più il tempo.
Quello che Hölderlin ci insegna, però, è che il tempo della poesia, finché sapremo riconoscere la bellezza presente nel mondo, non potrà mai tramontare.


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