DI GIOSUE’ TEDESCHI
Storia semplice. Quasi nessuno si muove. Il protagonista è letteralmente bloccato in un letto. Eppure è emozionante, rapidissima, ad altissima tensione dall’inizio alla fine.
Poi in chiusura, con due frasi, tutta la magia del racconto prende vita e ne invade la piccola stanza. Il serpente che era nascosto dall’inizio del racconto finalmente sbuca fuori dal suo nascondiglio, fissa gli occhi sul collo della sua vittima e in un attimo le si avventa contro. Il morso è profondo, la presa salda. Il poverino sa di essere spacciato e non prova neanche a difendersi. Il veleno entra nel suo sistema e lui non ha con che difendersi. O l’avrebbe, è un dottore dopotutto, ma sceglie di non farlo. Perché?
In due frasi passiamo da una piccola stanza al confine della foresta fino agli abissi dell’essere umano. In sole due frasi, dette in una piccola stanza tra tre personaggi, ci sembra improvvisamente di cogliere qualcosa. Qualcosa di profondo, un veleno che si annida nel cuore degli uomini in quanto tali. Che come ogni veleno può uccidere molto velocemente in mancanza di un antidoto, e per la natura umana non c’è cura. Dall’inizio dei tempi siamo destinati ad essere vittime di noi stessi.
In due sole frasi Roald Dahl ci mostra tutto un mondo. Il villaggio, gli abitanti, le macchine, la guerra, il passato ed il futuro di ogni personaggio è scritto in quelle due frasi. Vediamo le case, le difficoltà di rifornimento, la convivenza, l’emigrazione, il colonialismo, le differenze economiche, i pregiudizi, le paure, le speranze, le ragioni della rabbia, le ragioni del sollievo, le sfumature del presente ed i colori del futuro.
L’inimitabile magia del racconto, quella sorpresa, quell’allusione, quell’intuizione che nessuna altra forma d’arte è in grado di rendere visibile all’uomo come sa fare questa. Ancora una volta Wes Anderson, con le sue inquadrature pulite, squadrate, immaginarie, riesce a portare sullo schermo qualcosa che era nato per stare dentro i cuori delle persone. Traspare un’idea, una concezione del cinema che non riesco a definire in altro modo se non visionaria. Sperimentale, direbbero i più affezionati. Non è una storia per immagini ma le immagini di una storia. Le immagini sono il supporto ma la storia è da un’altra parte. Anderson si ispira a Dahl e con profondissimo rispetto professionale lo porta sullo schermo senza lasciare una singola impronta sulle sue parole. Ha scelto le immagini della sua storia e, grazie a degli attori perfettamente calati nella parte, riesce a farci vedere, o magari a farci credere di vedere, quel qualcosa in più che il racconto ci indica.
Come quando sei in vacanza e ti viene indicata quella barca rossa, quella che non puoi non vederla, proprio quella lì, così particolare, sta proprio laggiù, non vedi? Al molo dall’altro lato della baia. Sotto al palo, di fronte al ristorante con i tavoli fuori. E tu vuoi dire che l’hai vista, perché ti sembra di vederla, hai capito dov’è in realtà. Se potessi avvicinarti di certo la metteresti a fuoco e la indicheresti senza problemi. Hai capito dov’è, non c’è dubbio. Ma se qualcuno ti chiedesse di indicarla anche tu da lì dove sei adesso non sapresti bene dove puntare il dito. Cercheresti di imitare la direzione in cui punta il dito di chi te l’ha chiesto. Magari riusciresti anche a far credere di aver capito esattamente di che barca si sta parlando. È proprio quella! Non c’è possibilità d’errore! No? Eppure ce n’è una arancione di fianco. Forse era invece quella? Forse quel rosso è un po’ sbiadito? Se invece fosse un gioco della luce? Comunque non c’è dubbio che sia quella. Di certo, se solo potessi avvicinarti un po’, solo un po’, sapresti riconoscerla senza problemi.
Ti interessa il Maestro Wes Anderson? Allora clicca qua!!!
Ti intriga il Maestro Roald Dahl? Allora pigia qui!!!
Qualora invece volessi leggere di altri prodotti Netflix, ti suggeriamo di premere qua sopra!!!
