Se Dio ti voleva avvocato, non ti faceva donna — La legge di Lidia Poët

DI GIOSUE’ TEDESCHI

Se cercate un’ottima serie dal punto di vista narrativo, che vada contro i pregiudizi e al contempo racconti in modo acceso e divertente la storia di una donna che è una parte della storia di Torino, ecco a voi: Lidia Poët.

Una ragazza agguerrita che affronta i privilegi maschilisti e gli ostacoli ingiustificati che la società del 1855 (anno di nascita di Lidia) poneva alle donne con un ardore e una passione rari. Entra a gamba tesa nel mondo dell’Avvocatura e nonostante venga più volte cacciata dalla porta rientra imperterrita dalla finestra. 

Ovviamente una donna per essere considerata allo stesso livello di un uomo deve fare molto di più di un uomo, questo ieri come oggi. E così Lidia si riscopre pure detective. Indaga su casi difficili per colpevoli ambigui che in tribunale difenderà suo fratello Edoardo giacché lei non può farlo. Con l’aiuto del giornalista Jacopo, un tipo sospetto sin dall’inizio, e il supporto di Andrea – un bravo ragazzo che vuole solo vederla finalmente diventare un avvocato.

Lidia Poët rappresenta una forte minaccia per il potere patriarcale: la paura diffusa tra i suoi colleghi è che la professione rischi uno svilimento con l’avvento delle donne. Ma con ogni nuovo episodio arriva un nuovo caso da risolvere, e Lidia sembra sempre un passo più vicina a farsi accettare.

Storicamente, è tratto da una storia vera, Lidia Poët è nata in un piccolo comune piemontese nel 1855, è stata la prima donna a entrare nell’Ordine degli Avvocati in Italia. 

Dopo la morte del padre, Lidia frequentò l’Università a Torino. Entrò alla facoltà di Legge anche grazie all’aiuto del fratello, Giovanni Enrico. E il resto è rappresentato, seppur romanzato, dalla serie su Netflix

Nella serie le dicono: “Se Dio ti voleva avvocato, non ti faceva donna“.

E come ha risposto qualcuno: Dio la fece Lidia Poët. Che è anche qualcosa di meglio di un’avvocatessa. 

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