Da quando l’Amore è stato inventato, è sempre stato come accompagnato da uno spettro. E cioè quello della sua Fine. Eh sì, l’immutabile Amore eterno e immortale a dire il vero è sempre stato caratterizzato in realtà – in qualche modo e misura – da una possibilità di mortalità. Perché poi questo immutabile Amore eterno non è poi veramente immutabile. Né tantomeno eterno. Viviamo in un Mondo in continuo mutamento, cambiamento, trasformazione. E pure quella roba là alla quale Noi Umani ci ostiniamo ad attaccare con le unghie e con i denti – i nostri Sentimenti! – non è per niente una certezza. Né può esserlo. Perché soggetta al cambiamento. E quindi alla possibilità di morire. Ebbene sì, l’Amore può anche non essere per sempre. E addirittura trasformarsi. E talvolta pure trasformarsi nel suo opposto: l’Odio.
Non ho mai avuto modo di leggere il romanzo «THE WAR OF THE ROSES» dello scrittore e poeta e drammaturgo statunitense WARREN ADLER. Ma è di questo che deve parlare. Certamente è di questo che parlano i due adattamenti cinematografici di cui ho avuto modo di godere, e che sono al centro della Grande Sfida di oggi.
Da una parte dobbiamo fare un salto indietro nel tempo agli anni ’80, approdando per essere precisi nel 1989. Dall’altro lato invece abbiamo a che fare col nostro presente recentissimo. Basta guardare giusto allo scorso fine Agosto. L’anno è il 2025.
Ambedue sono una trasposizione cinematografica del romanzo sopracitato, targato anno 1981. Entrambi vogliono essere una salace commedia pungente con un che di dramma e di satira. Tutti e due ti raccontano la storia dei coniugi Roses, di quando un tempo erano perdutamente innamorati l’uno dell’altra prima di… prima di odiarsi, dividersi e farsi la guerra vicendevolmente!
Ebbene, io sono qui per rivelarvi quello che chiunque abbia visionato entrambe le pellicole vi dirà: trattasi di due film assolutamente molto ma molto diversi fra loro! E lo sono fin dal loro titolo, del resto.
Il gioiellino dell’89 si chiama: «LA GUERRA DEI ROSES». Sottolineo: LA GUERRA. Il suo successore invece: «I ROSES». Due titoli assolutamente in linea con quello che è il film a cui sono associati. Decisamente coerenti con la storia narrata. E in quella – apparentemente piccola – differenza… ci passa in realtà tutto il divario del Mondo!
In entrambi i casi abbiamo a che fare con grandissimi nomi e un cast notevolmente impressionante. Il trio protagonista del primo film è formidabile e fenomenale! Abbiamo loro due – la coppia – i Roses: lui è quel MICHAEL DOUGLAS figlio d’Arte (il padre è quell’icona del leggendario Kirk) che a più di 80 anni suonati ancora recita come un dannato seguendo la sua voglia matta di Cinema, lei invece è la sensazionale KATHLEEN TURNER capace di far innamorare attraverso quel gelido sguardo severo e sprezzante. Il “terzo incomodo” (verrebbe da dire) è la voce narrante dell’intera vicenda, quel Maestro in fatto di Settima Arte che è sempre stato quel colosso di 1 metro e 47 che è DANNY DEVITO. E che qui non veste solamente i panni dell’attore, bensì pure quelli del regista: esatto, trattasi di uno di quei 6 film che Danny si è ritrovato a dirigere. E siamo profondamente grati per il fatto che ci fosse lui seduto sulla sedia da regista: la sua messinscena dallo stile stravagante ed eccentrico e volutamente folle e surreale ha saputo infondere al film uno humor nero nerissimo tutto tipicamente suo.
(Da una parte Oliver impersonato da Michael Douglas, dall’altra Barbara interpretata da Kathleen Turner e al centro Lui, il grande Danny DeVito!)
«LA GUERRA DEI ROSES» parla di un Amore, un Amore che però è cambiato, che comunque sembra non esserci più (?), ed è per questo che inizia la Guerra. Parla dell’avvocato Oliver e di sua moglie Barbara. Loro sono i Roses, ma non lo son sempre stati, sapete? Conosciutisi da giovani come in una delle più patinate commedie rosa possibili, hanno cresciuto due figli e cercato di rimanere a galla, tra le difficoltà della Vita. Sì, uno dei pregi pazzeschi di questo film è non rappresentare mai i Roses come la coppia perfetta e felice e immutabile. Loro sono una coppia come tante, che deve affrontare i propri ostacoli quotidiani. E gli inevitabili cambiamenti e mutamenti propri dell’esistere. Le discussioni non mancano di certo, e nemmeno i litigi. Ma alla fine della giornata, uno accanto all’altra nel letto, riescono ancora a riderne, tutto sommato. Perché sono felici di stare insieme. No? Beh, lo devono essere stati, almeno un po’. Sembra proprio lo siano stati, da quel che ci mostra il film. Ma la Felicità è come l’Amore: cambia.
Oliver è diventato un apprezzatissimo avvocato di successo, Barbara è la di lui moglie che non sapendo che fare ha investito tutte le sue energie, i suoi sforzi e la sua dedizione nella loro dimora. Nel costruire un nido familiare degno di questo nome: la casa dei sogni. Okay, ma una volta fatta… che altro c’è? C’è suo marito, no? Quell’uomo che mangia rumorosamente ogni sera, che sembra il Padre Eterno ogni volta che apre bocca, che le vive accanto ogni giorno e tutti i giorni senza soluzioni di continuità… ecco, capite? Il Maestro DeVito ci fa ridere mostrandoci tutte le incrinature, le crepe, le ferite dentro un rapporto e che talvolta sanno di ridicolo, assurdo, buffo. Perché siamo Noi Umani ad essere ridicoli, assurdi, buffi. E Danny è eccezionale a prendere qualcosa di così triste, traumatico, stressante, doloroso, sofferto, malinconico e nero come la fine d’un amore… e costruirci sopra una narrazione spassosa, brillante, spiritosa, sagace, al fulmicotone! Ne viene fuori un film che diverte ma al tempo stesso ti lascia un atroce senso d’amaro addosso molto cupo.
Non importa che abbiano cresciuto dei figli insieme. Non importa che vivano in una villa extralusso meravigliosa. Non importa che si siano costruiti una vita da sogno, che lui abbia sgobbato sodo per occupare una posizione di sempre più grande rilievo nello studio legale in cui lavora, che lei abbia trascorso anni interi dietro il loro nido. E sapete che c’è? Non importa nemmeno che si siano amati. Ora le cose son cambiate. E magari non ci si rende conto subito di una tale trasformazione. A volte basta un evento, anche piccolo, per “aprire gli occhi”. Per avere come una sorta di epifania. Oliver un giorno viene ricoverato in ospedale per un male fulminante che potrebbe sulla carta sembrare mortale ma che invece non lo è. Il fatto è che Barbara viene avvisata della cosa e decide di… di non presentarsi nemmeno in ospedale. Il perché è semplice, e verrà fuori quando Oliver farà ritorno a casa, tutto intero: nel momento in cui le han detto che il consorte stava sloggiando anzitempo… lei si è resa conto di esserne felice.
In una parola: WOW! Fa ridere, soprattutto quando lei fa questa confidenza al marito. Ma più ci pensi, più mette una certa inquietudine addosso. Davvero basta una manciata di minuti per rendersi conto che non si ama più? Davvero senza alcuna avvisaglia possibile un amore che è durato tutta la vita può spegnersi? E pur ammettendo che questo amore era in agonia già da tempo… perché è successo che stesse soffrendo? Come è possibile? Niente, Oliver non riesce proprio a capire come Barbara abbia smesso di amarlo. E nemmeno noi alla fin fine, forse, lo comprendiamo. Ma forse non c’è proprio niente da comprendere. È successo, e basta. La cosa più semplice è forse anche la sola vera. Ma è orrido. Oliver non l’ha mai tradita o picchiata o insultata. Ma non basta non tradire o picchiare o insultare per tenere in piedi un legame relazionale. Cos’altro serva non lo so, e del resto nemmeno Danny DeVito – che nel film interpreta l’amico e collega avvocato di Oliver nonché narratore – lo sa. Il film – come ogni grande film che si rispetti – non fornisce spiegazioni. Non dà risposte, ma solo domande.
Quello di Danny DeVito è un film lodevole, financo eccezionale, che merita di essere visto e applaudito. Sia per quanto concerne la regia, sia per quanto riguarda delle performances attoriali d’altissimo livello, sia ovviamente per il modo allegro e gaio col quale ti racconta una storia che desta invece amari interrogativi devastanti e lancinanti. L’Amore Vero esiste? È possibile amare per sempre?Cosa fare se si smette di amare? E poi quella che è forse la peggiore di tutte le domande. Se dopo tanto amore, questo finisce sì, ma solo da una parte… e dall’altra no? Barbara non lo ama più Oliver, non lo sopporta, e sa solo di non volerlo più nella sua vita. Ma lui no, è questo il fatto! Lei gli dice cose tremende, gli grida cose tremende, gli fa cosa tremende. Ma lui rimane lì, perché per lui non ha senso andarsene da qualsiasi altra parte, senza di lei. Ed è allora che parte lo scontro all’ultimo sangue. Perché è questo l’autentico casus belli alla base della loro guerra. Non tanto l’odio, ma l’amore.
Niente divide più… più dell’Amore! Quando si ama – e si ama per davvero – non c’è cosa che non si possa arrivare a dire o a fare, pur di rimanere fedeli a quell’Amore. E a chi ama può esser fatto davvero di tutto, quello continuerà ad amare. E se ne fregherà delle difficoltà, degli ostacoli, dei pericoli. Arriverà pure a fregarsene del fatto che non ci sia Amore dall’altra parte. L’Amore se ne sbatte di tutto, anche della sua stessa assenza. E questo non può che portare all’Odio.
Quasi quattro decadi dopo, ecco che ci ritroviamo di fronte a tutto un altro tipo di storia, di film, di coniugi Roses. Theo e Ivy si conoscono – è colpo di fulmine immediato – e passano anni ad amarsi, costruendosi anche loro una vita insieme. Due figli, una casa, e via dicendo. Lui è un architetto che punta al successo, lei una cuoca che è disposta a mettere davanti a sé stessa la famiglia e le ambizioni personali del consorte. Il quale però – che carino! – non vuole che lei rinunci alla sua grande passione per l’arte culinaria. E così le compra un ristorante. Certo, lei non ha troppi clienti, il ristorante è semisconosciuto, però quel che conta è che possa esser presente nella vita dei figli e supportare la sua dolce metà che ha sempre più successo, senza per questo rinunciare del tutto alla cucina. Tutto quanto bellissimo, no? Ma proprio come nel caso dell’altro film l’incidente è sempre in agguato, e a volte può trattarsi di una cosa piccola in apparenza. Talvolta può essere solamente questione di una notte. Perché fu una notte, per un’assurda tempesta anomala, che le vite di Ivy e Theo cambiarono per sempre. Perché se agli occhi del Mondo erano sempre stati “l’architetto e sua moglie”, d’ora in poi sarebbero stati “la chef e suo marito”.
Il tema in questo caso è tutt’altro. Certo: si parla sempre di una coppia, si parla sempre di Amore, si parla sempre di crepe e incrinature e ferite… ma qui è tutta un’altra faccenda! Qui non si parla di un Amore che finisce all’improvviso da una parte e continua ad esserci dall’altra. In questo caso si parla di cosa significhi stare “in una coppia” e al tempo stesso continuare però anche ad “essere sé stessi”. Racconta delle difficoltà proprie del condividere una vita insieme. Nel momento in cui ti sposi o ti fidanzi o comunque inizi ad “essere insieme a qualcun altro”, fino a che punto è giusto sacrificare sé stessi per il bene del vostro “stare insieme come coppia”?
Stare insieme a qualcuno significa anche rinunciare per l’altro ad un po’ di Te. Che non significa cancellare completamente quello che si è. Solamente modificarsi, almeno in parte. Arrivare ad una versione di te che possa collimare. Come un pezzo di puzzle, che magari va smussato un po’ perché combaci con un altro. È inevitabile questo. E non tutti sono disposti ad accettarlo. Ma c’è chi – pensate un po’ – proprio nel momento in cui perde un po’ di sé si ritrova a essere più completo di quanto non fosse mai stato prima.
Il pregio della versione del ’25 è innanzitutto quello di non essere “una versione”. Bensì un film a sé stante, nuovo, originale, diverso. Non un remake, ma un’altra roba. Sempre più spesso i rifacimenti tendono ad essere mere copie carbone. Qui no. Innanzitutto perché la storia è un’altra. E poi il tema è un altro. Quella tempesta notturna porterà l’ultimo palazzo di Theo a crollare su sé stesso, e nel crollo ci finirà coinvolta la sua carriera, il suo lavoro e il suo buon nome. Niente più architettura per lui. E l’architettura era tutto il suo Mondo. Anzi, no: il suo Mondo è la moglie, i figli, la famiglia… no? Il lavoro arrivava dopo, no? Mh, forse è più complicato di così. Forse lui amava la sua famiglia, ma amava anche il suo lavoro. Il lavoro che ora non c’è più. Era possibile amare entrambe le cose, no? Di contro quella stessa tempesta porterà una critica culinaria d’importanza decisiva per il ristorante semisconosciuto di Ivy. Recensione stellare, balzerà agli onori della cronaca e la sua carriera diverrà un astro rovente in ascesa! E lei si getterà a capofitto nel suo nuovo successo, adorerà tutto questo, amerà ritrovarsi sotto le mille e più luci dei riflettori… ma come?Non era felicissima anche prima, quand’era “SOLO” una madre di famiglia devota ai figli e al marito? Già: solo. La verità è che ognuno di Noi si ritrova diviso tra sé stesso e i propri cari, tra i propri egoismi personali e il bisogno di dedicarsi a coloro che abbiamo intorno, tra la propria Passione e la propria Famiglia. E quando si è in una coppia, può capitare che uno dei due si concentri su una cosa e l’altro sull’altra. Ma se ti ritrovassi a vivere tutto questo con senso di ingiustizia, insoddisfazione e frustrazione? Allora son dolori.
L’americano JAY ROACH – che in fatto di brillanti commedie dissacranti e oltre ogni modo spassosissime è il Numero Uno! – firma la regia di una pellicola estremamente godibile, che intrattiene lietamente e al tempo stesso ti induce riflessioni d’una sensibilità profonda. Una menzione specialissima la merita un cast spettacolare e che più indovinato non si poteva, a cominciare dai due interpreti protagonisti: la magnetica e incredibile OLIVIA COLMAN – che si sta imponendo come una delle massime attrici della sua generazione – e quel mattacchione ineguagliabile del mitico BENEDICT CUMBERBATCH. Una coppia divinamente grandiosa! Ciò nondimeno anche gli interpreti secondari di contorno – e a cui vien dedicato un certo spazio – meritano altissimi elogi per come riescono con un numero più risicato di battute e momenti a imporsi sulla scena e a farci immediatamente affezionare. Strepitosa la strana coppia malandata composta dal sempre frizzante e simpaticissimo ANDY SAMBERG e dalla squinternata maniaca impresentabile impersonata da un sfavillante KATE MCKINNON! E che dire dello spietatissimo avvocato interpretato dalla ferocissima e sempre immensa ALLISON JANNEY?
Se nel caso della sfrontata perla devitiana, potevamo essere portati a stare dalla parte di lui – se non altro per il fatto che era lui quello che continuava ad essere innamorato ed è molto probabile quindi rivedersi nel suo personaggio per questa ragione – qui ribaltando ruoli e vite le cose si fanno più bilanciate. Il punto, quando si parla di Ivy e Theo, è che uno dei due ha il successo che l’altro vorrebbe e la vita che desidererebbe per sé. Ambizioni personali frustrate, invidia incontenibile, spirito critico: un mix inarrestabile che non può che portare anche la più innamorata delle coppie ad odiarsi? Sì, Ivy odia Theo e Theo odia Ivy. Ivy lo odia perché lui la vuol far sentire in colpa, perché si compatisce e lamenta in continuazione per quello che sarebbe potuto diventare e non è diventato, perché ha preso in mano la vita dei figli in sua assenza e li ha plasmati come voleva. Theo la odia perché lei ha il successo che lui non ha, perché lei preferisce andarsene in giro per mezza America a sorridere davanti alle telecamere e di fronte ai fotografi senza nemmeno pensare di avvisare lui e i suoi bambini che “rimarrà fuori” per un po’ di settimane, perché lei guadagna soldi e gli ricorda coi suoi continui trionfi di essere migliore di lui. Basterà a salvare il matrimonio che lei – condendogli ingenti somme di denaro a suo piacimento – gli regali la possibilità di progettare e realizzare la casa dei suoi sogni? Sapete ora il fatto però qual è? Che quei due s’odieranno anche. E a morte. Ma non hanno mai smesso di amarsi, né probabilmente riusciranno mai a smettere. Perché sì, certe cose son davvero per sempre. Nonostante tutto. A dispetto della Vita. Per questo da una parte abbiamo “la guerra” e in questo caso no.
Il mio tifo, sostegno e affetto continueranno sempre ad andare all’iconico film del 1989. Perché è più feroce e crudele. Perché non si perde in tanti siparietti divertenti ma talvolta ondivaghi, come invece fa la pellicola del ’25. Perché, soprattutto, l’ho amato la prima volta che l’ho visto. E io sono un romantico: so che l’Amore può cessare, tramutarsi in Odio ed essere orribile… ma, ehy!, che ci posso fare? Lo amo, l’Amore. E continuerò ad amarlo. A dispetto dell’Odio.
Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.
Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.
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