DI ALBERTO GROMETTO
Questo è uno di quegli articoli che non possono essere scritti.
Che è impossibile scrivere.
“Qual è il tuo film preferito?”.
Domanda terribile, quando si ama veramente il Cinema. Troppi capolavori sublimi tra cui scegliere: impensabile rispondere! Quasi ogni cinefilo impallidisce e trema, di fronte a questa domanda.
Beh, non io. E questo perché io, io che in un anno vado a vedere 150 film in sala, che a casa ne vedo anche il doppio, che guardo ogni genere di pellicola mai realizzata da essere umano, che mi vedo il blockbusterone del momento così come l’ultimo dei film di nicchia girati mezzo secolo fa… io so benissimo quale sia il mio film preferito. È facile rispondere: trattasi del film che mi ha cambiato la vita per sempre. La pellicola dopo la quale ho capito cosa avrei voluto fare per il resto de miei giorni. Trattasi di: «THERE WILL BE BLOOD». Uscito in Italia con il nome di: «IL PETROLIERE» (2007).

Non pensavo avrei mai scritto un articolo a riguardo, ma MAI nella vita! C’è troppo da dire, e qualsiasi cosa possa dire non sarebbe abbastanza. Eppure ho trovato una sorta di escamotage. Una scappatoia che mi consente di parlare di questo film, senza parlarne troppo. E cioè soffermandomi su un suo preciso aspetto. E, tanto per rendere le cose più interessanti, confrontandolo con un’altra opera alla quale ho dato il mio cuore, ma in questo caso di matrice letteraria. E sì, anche in questo caso abbiamo a che fare con un libro di una bellezza talmente indescrivibile che mai più avrei pensato di scriverci un giorno.
Partiamo dal romanzo: «IL GIOVANE HOLDEN». In lingua originale: «THE CATCHER IN THE RYE» (1951).

Scritto da JEROME DAVID SALINGER, il quale fece la Storia della Letteratura con questa sua opera dal fascino immortale, intraducibile in qualsiasi altro linguaggio se non quello specificatamente letterario. HOLDEN CAULFIELD è il suo protagonista, un sedicenne americano espulso da scuola la cui voce, profonda e poetica, ci accompagna lungo tutta la sua vicenda. Anche in questo caso, stessimo a narrare per filo e per segno questo caposaldo della letteratura, non la finiremmo più di parlare. Concentriamoci quindi sugli albori del capitolo 18. Holden si trova in un bar insieme ad una certa Sally, e sta parlando di quanto le persone siano insopportabilmente ipocrite.
[…] «Prendi le auto, per esempio,» ho detto. L’ho detto veramente a bassa voce. «La maggior parte delle persone va pazza per le auto. Hanno paura di farci il minimo graffietto, e stanno sempre a parlare di quanti chilometri fanno con un litro, e appena comprano un’auto nuova sono già lì che pensano di darla indietro per prenderne un’altra più nuova ancora. A me non piacciono nemmeno le macchine vecchie, per dire. Nel senso che proprio non mi interessano. Preferirei avere un accidenti di cavallo, per dire. Almeno un cavallo è UMANO, santiddio […]».
Almeno un cavallo è UMANO. Ed è quella parola lì il punto, il focus, il centro di questo mio articolo: UMANITÀ. In quello stesso capitolo, Holden propone a Sally di fuggire insieme a lui… ma fuggire da cosa? Dall’umanità! Fuggire in un posto isolato, in un luogo in cui i contatti con l’umanità fossero ridotti al minimo.

E ancora: verso la fine del romanzo, vi è un bellissimo e meraviglioso paragrafo nel quale Holden sta camminando per le strade della sua New York fino a quando, ad un certo punto, una terribile sensazione lo assale. Ogni volta che attraversa la strada ha paura di scomparire prima di arrivare dall’altra parte. Come dovesse sprofondare giù. Quando finalmente riesce a fermarsi e a sedersi su una panchina, egli immagina tra sé e sé di fuggire a ovest, in un posto con poca gente che non lo conosce. E di fingersi sordomuto per il resto della sua vita così da non dover parlare mai più con nessuno.
L’idea che abbiamo di Holden in questi e molti altri punti del romanzo è quella di un personaggio che detesta avere rapporti con il genere umano che trova ipocrita e falso: un personaggio, non si può dire altrimenti, MISANTROPO. E del resto anche il suo autore, Salinger, si guadagnò tale titolo, siccome, subito dopo il grande successo ottenuto col suo libro, si diede ad un’esistenza solitaria in reclusione.
Ebbene: esiste un film, tra i più grandi e straordinari e geniali film della Storia del Cinema, il mio preferito in assoluto, che affronta appunto un’infinità di temi meravigliosi e tra questi vi è quello, cardine, dell’umanità. Lo abbiamo menzionato prima, Scorrerà Sangue: è il titolo originale, tradotto in italiano. Il padre di quella che, e lo dico senza timore di esagerazione, è la più straordinaria opera narrativa mai concepita da quando esiste l’uomo, è il mio idolo assoluto PAUL THOMAS ANDERSON. Lui, avvalendosi di quello che è il mio interprete preferito in assoluto che recita qui in qualità di protagonista, quel DANIEL DAY-LEWIS che è la massima espressione divina di cosa sia la Recitazione, ha realizzato qualcosa che è eternità pura. PTA, sappi che non ti sarò mai abbastanza grato per quello che Tu hai fatto per me.

«Il Petroliere», dicevamo! Il protagonista si chiama DANIEL PLAINVIEW. Daniel è un minatore dell’America di inizio Novecento che per caso scopre il petrolio e così apre una compagnia petrolifera che, giacimento dopo giacimento, diventa sempre più grande, ricca e potente. Vedendo il film, l’idea che possiamo avere di Daniel è quella di un uomo disposto a vendere la sua stessa anima in nome del dio denaro, disposto a fare qualsiasi cosa pur di arricchirsi e guadagnare. Beh, non è affatto così. Vi è infatti una piccola scena, ma così grande e fondamentale e immensa, che spiega davvero chi sia Daniel in realtà e perché fa quello che fa: egli sta parlando con Henry, un uomo che ha conosciuto da poco e che gli ha rivelato di essere suo fratello, ma di madri diverse.
«Odio la maggior parte della gente» confida Daniel ad Henry. «Alcune volte io guardo le persone e non ci trovo niente di attraente. Voglio guadagnare così tanto da poter stare lontano da tutti». Nella stessa scena, poco dopo, dirà: «Io vedo il peggio nelle persone, Henry. Solo uno sguardo basta per sapere chi sono in realtà. La mia barriera d’odio si è innalzata, lenta negli anni».

Ciò che dice Daniel è la stessa cosa che dice Holden. Daniel vuole guadagnare così tanto da poter stare lontano da tutti. Holden, che non è un petroliere, vuole però fuggire lontano e fingersi sordomuto per non parlare con nessuno.

Gli strumenti, i mezzi, sono diversi. Ma il loro obbiettivo è lo stesso, vogliono la stessa cosa: NON AVERE PIÙ RAPPORTI CON IL GENERE UMANO CHE ODIANO E DETESTANO!!! Dunque ricorre il tema della misantropia… Ma c’è dell’altro.
Sì, Daniel e Holden sono misantropi… sì, odiano il genere umano… ma avete sentito con quali parole, con quali termini, hanno espresso i concetti che volevano esprimere? In maniera MOLTO profonda, MOLTO sofferta, NON in maniera indifferente. Infatti, attenzione:
Non bisogna confondere la misantropia con l’apatia. Una è l’odio verso gli umani, l’altra è la totale assenza di sentimenti. Vivere in uno stato di totale indifferenza porterebbe sollievo. Ma quando si soffre, allora vi sono ragioni profonde. E quindi sì, talvolta è possibile che la ragione del tuo odio verso il genere umano sia proprio il fatto di essere troppo umani. Cioè troppo vulnerabili, troppo sensibili, troppo fragili. A dispetto delle apparenze.
Holden e Daniel odiano gli umani perché sono troppo umani. E quindi soffrono, soffrono orribilmente e indicibilmente. Sono anime fragili e sensibili, anche se le apparenze traggono nell’inganno più assoluto. Anche se dall’esterno sembrano uno un ragazzo scapestrato che non ha voglia di studiare e l’altro un sadico petroliere interessato solo al denaro. In realtà, se Daniel è diventato come è diventato, si intuisce nel film, è perché ha avuto un pessimo padre incapace di affetto. Invece ciò che ha cambiato e influenzato per sempre Holden, a mio modo di vedere, è la morte del fratellino Allie, andatosene quando aveva solo undici anni.

Daniel e Holden sono estremamente più profondi e complessi di quel che potrebbe sembrare agli occhi altrui. Ed è per questa ragione che le loro opere sono di un’immortalità eterna. Nel caso di Holden, capiamo la sua profondità perché, leggendo il romanzo, entriamo fin da subito nella sua mente, è la sua stessa voce che racconta la sua vicenda. Nel caso di Daniel è più difficile capire, perché noi non abbiamo che quella scena lì sopracitata e poco altro in un film di due ore e mezza. E non è un caso che in effetti la maggior parte dei critici, i quali sanno essere terribilmente miopi, descrivano «THERE WILL BE BLOOD» come la discesa agli inferi di un uomo assetato di potere e denaro, quando invece è molto più complicato e profondo di così!!!
Nel corso del film Daniel arriverà ad uccidere, ma mai per denaro o sete di potere. Uccide per ragioni che, sembra paradossale dirlo, sono profondamente umane. Per rabbia, dolore, sofferenza. Alla fine del film (SENZA SPOILERARVI NULLA) vi dirò solo che pronuncerà una frase: «I am finished». Nel doppiaggio italiano è stata resa come «Ho finito», ma in realtà in inglese è ambigua, in quanto ha un doppio significato. È traducibile anche come: «Sono finito». E Daniel è effettivamente finito.


Invece Holden si salva. Magari solo momentaneamente, è vero. Ma sembra salvarsi. E questo perché a differenza di Daniel, Holden non è solo. Daniel vedeva in Henry una possibilità di cambiamento, quando invece lui non era “veramente” suo fratello. Holden invece un fratello ce l’ha. Anzi, ne ha due. La sorellina Phoebe e il piccolo Allie. Sì, anche Allie è sempre con lui. Anche se è mancato, ci sarà sempre per lui. Prima vi ho raccontato il momento nel quale Holden era impanicato nell’attraversare la strada. Aveva paura di sparire prima di arrivare dall’altra parte. Sapete allora che faceva in quello stato di totale e paralizzante paura, nella situazione peggiore nella quale potesse trovarsi? Holden chiamava in suo soccorso proprio Allie.
[…] Ogni volta che arrivavo alla fine di un isolato, facevo finta di parlare con mio fratello Allie. «Allie,» – gli dicevo, – «non farmi scomparire. Allie, non farmi scomparire. Allie, non farmi scomparire. Ti prego, Allie». Poi, quando arrivavo dall’altra parte senza scomparire, lo ringraziavo. E poi tutto quanto da capo, appena raggiungevo l’angolo dopo.» […]
E così Holden non scompare, come invece sarà per Daniel. Perché Holden aveva qualcuno su cui contare: Allie e, alla fine del libro, anche la sua sorellina Phoebe. Loro due lo salvano. Loro, che sono poi la stessa ragione per la quale Holden alla fine decide di non fuggire ad ovest, ma di restare. A ovest invece ci andrà Daniel, là dove c’era petrolio in abbondanza. E soprattutto, la sua tanto benamata solitudine.


Perché, Care Amiche e Cari Amici, alla fine non è vero che ognuno di noi si salva da solo. Certamente, ognuno deve esserci per sé stesso, ma alla fine il concetto secondo cui “Ognuno di Noi si salva da solo” è quanto di più falso e ipocrita possa esserci. L’Essere Umano non si salva mai da solo. Quello che facciamo, ciò che ci dà la forza di combattere, il motivo per cui ci alziamo ogni mattina è sempre lo stesso per ognuno di Noi, e ha sempre a che fare con altre persone. È l’Umanità, è folle e assurda e spesso ci fa incazzare. Ma sa anche essere maledettamente meravigliosa.


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