DI ALBERTO GROMETTO
Non saranno gli immortali ed eterni Oscar, ma sono i premi tricolori nostrani che più
si avvicinano a quei magici riconoscimenti. Stiamo parlando dei: DAVID DI DONATELLO 2023!!!
Prendono il nome dall’opera scultorea «David» del Maestro Donatello, verranno consegnati MERCOLEDÌ 10 MAGGIO 2023 e premieranno il meglio del cinema italiano dell’anno passato.
Passiamo dunque in rassegna le pellicole protagoniste di questa 68ª edizione dei David di Donatello, la cui cerimonia si terrà nella Grande Roma la Bella. Trattasi di pellicole che il Comitato di Redazione di «MERCUZIO AND FRIENDS» ha visionato nella loro interezza e nella magica atmosfera del buio della sala cinematografica.
Cinque sono i gioiellini filmici che concorrono al Premio come Miglior Film e che vantano numerose candidature nelle tante categorie in gara. Alcuni di questi lavori lasciamo veramente senza fiato tanto sono meravigliosi, altri invece presentano dei difetti pur risultando magnifici: una cosa sola è certa… in ogni caso ci ritroviamo in presenza di lavori d’alto, altissimo spessore cinematografico.
ESTERNO NOTTE
DI MARCO BELLOCCHIO

Una pagina nera nella Storia nostrana. Il rapimento, il sequestro e la prigionia da parte delle Brigate Rosse di Aldo Moro, tra le figure politiche più eminenti del XX secolo in questo Paese. Ma Aldo Moro mica è stato vittima delle Brigate Rosse. Aldo Moro è stato vittima di un’intera Nazione, la nostra Italia. I suoi colleghi della Democrazia Cristiana, i suoi compagni di partito, gli amici più cari che aveva e con i quali avrebbe dovuto cambiare le cose in un Paese che aveva bisogno di pace e stabilità… lo hanno fatto a pezzi. Lo hanno fatto a pezzi tutti quelli che si sono girati dall’altra parte, senza fare niente, per tutto quel tempo che è stato lontano, tenuto chissà dove, mentre quasi ci si abituava a non vederlo più, a saperlo tenuto prigioniero, lontano, chissà dove. E infine a farlo a pezzi è stato un popolo che pieno di rabbia e odio ha ammazzato il solo che ha tentato di fare qualcosa perché questa rabbia e odio non ci fossero più. I poteri forti, quelli che fino al giorno prima si stringevano intorno a lui, coloro che grazie a lui erano saliti in alto, hanno chiuso gli occhi, perché così era più facile, più comodo, anche più conveniente per loro. E nessuno ha fatto niente. Avrebbero potuto fare qualcosa, ma non l’hanno fatto. Quello che ci viene raccontato è un caso storico dei più eclatanti ma non ci viene raccontato come fosse un fatto storico e basta. Ci viene raccontato per quello che è stato davvero: un incubo. Un lungo e tetro e cupo incubo da cui non ci si riesce a svegliare, tormentato, oscuro, infestato da fantasmi. E quando l’incubo non c’è, allora il rimorso la fa da padrone. O in alternativa il dolore. Non è la Storia con la esse maiuscola quella che ci viene raccontata, ma quella con la s minuscola, forse anche più importante, e che riguarda i singoli, che poi sono quelli che la Storia la fanno. Bellocchio, inconfondibile, ci strega con quello che da sempre è il suo stile singolarissimo e onirico e visionario. E non affrontiamo nemmeno il discorso “interpretazioni”. Presentato al Festival di Cannes, offre alcune performance attoriali memorabili, degne degli annali: l’immancabile Toni Servillo nel ruolo del tormentato pontefice Paolo VI, l’intensa Daniela Marra nei panni della brigatista Adriana Faranda, la forte e addolorata Margherita Buy che dà vita alla data-già-per-vedova Eleonora Moro, lo squilibrato e instabile malatissimo allora Ministro dell’Interno Francesco Cossiga portato sulla scena da Fausto Russo Alesi, e infine Fabrizio Gifuni che letteralmente si trasforma in Aldo. Tutti con le loro sofferenze, incubi e ossessioni. Ognuno un personaggio storico. Ciascuno fondamentalmente, a prescindere, fortemente umano.
NOSTALGIA
DI MARIO MARTONE

Pierfrancesco Favino è eccezionale. Ma eccezionale per davvero. Solo lui è capace di diventare un italiano che non è più italiano da oltre quarant’anni e torna a casa e non riesce quasi nemmeno più a ricordarsi la sua lingua ma poi, a poco a poco, tornando ad abbracciare di nuovo quei sapori, quella terra, quei luoghi e soprattutto ricordi e memorie, torna di nuovo a parlarlo quell’italiano, e noi insieme a lui, rammentando come ciò che hai sentito e chiamato Casa non t’abbandona mai veramente. Favino fa tutto questo, riesce ad essere tutto questo, pur essendo sempre stato un italiano che parla l’italiano correttamente. Ma lui è eccezionale. Solo lui può incarnare la quintessenza della nostalgia, il titolo della pellicola, nella sua forma più dolorosa e struggente, piena di rimpianti per ciò che poteva essere e per una casualità non è stato. Ma, del resto, Favino è eccezionale. Non da meno è Tommaso Ragno, che di quella nostalgia è uno dei grandi protagonisti, e di cui anche lui, pur rimanendo dove è sempre stato, ha sofferto. Perché Casa non è solo un luogo fisico o un posto congelato nel tempo, ma è fatto soprattutto da persone, può essere una persona. E nel suo caso era quella persona che ha preso e, per un brutale incidente, se n’è andato in Africa per quattro decenni, lasciando il suo rione Sanità a Napoli. Presentato al Festival di Cannes 2022. Selezionato per rappresentare l’Italia ai Premi Oscar 2023, ma scartato ingiustamente: a mio modo di vedere, si sarebbe meritato quella statuetta. Nove nominations a questi David. Regia da urlo, capace di farti scendere passo a passo in questo torrente triste e delicato di ricordi passati, come fossero tuoi. Merito del Maestro Martone. E poi, non ricordo: l’ho già detto che Pierfrancesco Favino è eccezionale?
LE OTTO MONTAGNE
DI FELIX VAN GORENINGEN E CHARLOTTE VANDERMEERSCH

Vi sono quei luoghi da cui non vorresti andartene mai. Da cui in realtà non te ne vai mai. Anche se te ne vai. Anche se non te ne rendi conto. Tu sei sempre lì. Credo parli di questo tale film. E non credo si riferisca solo al luogo fisico, ma in qualche misura anche al tempo. Nella neve, col tuo migliore amico e tuo padre, a camminare sul ghiacciaio, come mai più sarebbe stato. Passano gli anni, ma tu sei ancora lì a camminare con loro. Il tempo però passa per tutti, anche per le montagne, che da grandi diventano piccole. Ma Tu rimani là. Fotografia sensazionale, regia da applausi, messinscena che richiama antichi ricordi lontani. Premio della Giuria al Festival di Cannes (ex aequo con il patetico «EO»). Attori tutti decisamente in parte. Non a caso vanta quattordici candidature in totale. Non ho letto il libro, ma la sceneggiatura è veramente convincente. La lunghezza, decisamente eccessiva, è il suo più grande limite. Più di mezz’ora buona poteva essere tagliata. Non ha aiutato il ritmo di una storia lenta di per sé, rendendola sfilacciata. Ma ci si può passare sopra, di fronte a tanta incantevole bellezza. E noi lo facciamo.
IL SIGNORE DELLE FORMICHE
DI GIANNI AMELIO


La storia vera del Professor Aldo Braibanti, enorme intellettuale e geniale insegnante dai metodi eccentrici, e del caso giudiziario che sconvolse la sua vita e la Nazione a quel tempo. Siamo negli anni ‘60 e la vita di quest’uomo, amato e ricambiato da un altro uomo come lui, gli viene distrutta proprio per questa ragione. In concorso al Festival di Venezia, trattasi di una pellicola molto bella, molto toccante, certamente non esente da difetti, lungo la strada si perde un poco risultando decisamente troppo lunga e talvolta troppo retorica. Ma la recitazione e la regia sono veramente ottime. Celestiali, oserei dire. Ma del resto vi recitano colossi dell’interpretazione attoriale quali Luigi Lo Cascio, il giovane e sorprendente Leonardo Maltese e quello che per me è il più grande attore italiano vivente e cioè Elio Germano. Il finale, poi, è qualcosa di talmente bello e poetico e indescrivibile a parole che non puoi fare altro che piangere. Undici candidature. Possiamo perdonare certi difetti, dinanzi a tutto questo sentimento e a questa emozione, e ricordate: mai avere paura di essere quel che si è e di volere ciò che si vuole. Gli altri pensino quello che vogliono, non ha importanza. E solo allora avrai vissuto una vita che vale la pena aver vissuto, nonostante il dolore e le sofferenze.
LA STRANEZZA
DI ROBERTO ANDÒ


I biopic sono una materia di difficile analisi, talvolta. Ci si lascia coinvolgere da quella che è la Storia Vera, dimenticandosi che sotto la lente del nostro giudizio è comunque un film ciò che deve essere valutato. Conosco persone che sono talmente emotivamente coinvolte nel vedere la storia di una persona veramente esistita, che scordano di star vedendo un film. Che spesso può essere un’immonda schifezza, proprio perché chi v’è dietro riposa sugli allori di star raccontando una storia vera, dimenticando che dovrebbe fare un film, e inserisce il proverbiale “pilota automatico”. A dispetto dei furibondi litigi e dei furiosi dibattiti che posso aver avuto con le summenzionate persone, io dico quanto segue: quello che conta davvero nel momento in cui realizzi un’opera, una qualsiasi opera, su un personaggio storico realmente esistito, è lo SGUARDO dell’autore. Non quella storia, non la totale e assoluta pedissequa veridicità dei fatti, né la loro esposizione così come sono avvenuti. Ma lo sguardo dell’autore su quel dato personaggio, su quella data vita, su quei dati avvenimenti. Lo sguardo dell’autore è fondamentale in ogni opera narrativa, ovviamente. Ma nel caso delle opere biografiche ancora di più. Specialmente se si tratta di biopic cinematografici. Ecco, qua non siamo alla presenza di un mero biopic fatto bene, ma di una LEZIONE su quello che TUTTI i BIOPIC dovrebbero fare ed essere. Perché questa pellicola non si concentra sul farti vedere la vita del Maestro Luigi Pirandello, pazzo visionario d’un genio, patrimonio italiano! Anzi, racconta solo un minuscolo momento della sua esistenza, e senza badare troppo alla verità. Quello che di veramente straordinario fa «La Stranezza», presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022, è RACCONTARTI Pirandello. E raccontartelo come avrebbe fatto Pirandello stesso! Pirandello ci parlava di Verità e si chiedeva se esisteva. Insinuava il dubbio, quello stesso malefico dubbio che portava a domandarsi: esiste la Verità? Chissà. Lo stesso fa questo film. Quattordici nominations. Protagonisti assoluti un, come sempre, intramontabile Toni Servillo nei panni del Maestro e quello scoppiettante duo che è «Ficarra & Picone», che qui interpreta una coppia di strampalati becchini con aspirazioni teatrali. La storia di come è nato «Sei Personaggi In Cerca D’Autore», magna opera teatrale pirandelliana… ma sarà la vera Verità? E così, pure con quelle persone con le quali litigo e continuamente litigherò sui biopic, dinanzi a questo film, nel buio della sala, non posso fare a meno che applaudire, felice, insieme a loro, stringendoci reciprocamente la mano per aver visionato una tale piccola perla. Del resto, sono proprio le persone con cui fai questo tipo di meravigliosi litigi quelle con cui più volentieri andresti a fare qualsiasi cosa.