Il primo romanzo moderno, così moderno da esserlo ancora oggi: Don Chisciotte

DI ALBERTO GROMETTO

«In un borgo della Mancia, che non voglio ricordarmi come si chiama, viveva non è gran tempo un nobiluomo di quelli che hanno e lancia nella rastrelliera e un vecchio scudo, un magro ronzino e un levriere da caccia». 

Queste le parole che danno il via a QUEL libro che ha cambiato per sempre la Storia della Letteratura tutta. Non si vuole nemmeno fare il tentativo di ricordare esattamente il luogo, parla di qualcosa successo non tanto tempo fa, ed è tutto ciò che più di diverso ci si aspetterebbe da un normale poema epico cavalleresco, i cui racconti sono ambientati in un’epoca remota e un luogo lontano. Beh, questo romanzo qua è tutt’altro che normale.

L’inimitabile e immortale autore, Miguel De Cervantes, è uno di quegli uomini che ha vissuto la vita come in un libro d’avventure eroiche. Nato nel 1547 in un’anonima cittadina, Alcalá de Henares, in provincia dell’assolata Madrid, trascorso l’infanzia in una famiglia modesta che a malapena arrivava a fine mese, quarto di sette figli, studi presso i Gesuiti, a soli 23 anni si ritrova a dover fuggire via, lontano, il prima possibile. Accusato infatti di aver ferito un cavaliere, viene condannato al taglio della mano destra. Una condanna assai premonitrice, come vedremo in seguito. Scappa in Italia dove si dà alla vita militare arruolandosi in diversi reggimenti fino a quando non entra a far parte della flotta messa insieme dalla coalizione voluta da Papa Pio V detta «Lega Santa». Il 7 Ottobre 1571 vivrà in prima linea una delle più celebri e importanti battaglie di tutta la Storia dell’Umanità, e cioè “La Battaglia di Lepanto”. Quello scontro militare vide la Lega Santa opporsi alla possente potenza marina ottomana. Non avessero trionfato, oggi l’Europa tutta sarebbe turca, per farvi capire come le sorti di quel giorno epocale abbiano segnato i Destini del Mondo. Vittoria per la Lega Santa, meno per il nostro Miguel, che finisce per perdere davvero la mano. Non quella destra, ma la sinistra. Comunque resta il fatto che fuggì per non perdere una mano, e una mano comunque la perse. Ricoverato a Messina, vive qualche tempo a Napoli dove si dedica alla letteratura, per poi fare ritorno in terra patria nel 1575. Tuttavia durante il viaggio la sua nave è attaccata da pirati turchi, il cui capitano per ironia della sorte aveva combattuto proprio a Lepanto, risultando tra gli sconfitti. Catturato, fatto prigioniero, reso schiavo ad Algeri dove resta cinque anni in quelle condizioni, nel 1580 viene “comprato” dalla sua famiglia. Torna finalmente in Spagna… senza un soldo. Nel 1584 si sposa solo per potersi salvare, ma nel 1586 divorzia. L’anno successivo alla separazione coniugale diventa Commissario dell’Approvvigionamento di quella famosa «Invincibile Armata», la celebre flotta voluta dal Re spagnolo in persona Filippo II, che doveva essere impossibile da sconfiggere. Mai nome fu più sbagliato: solo l’anno dopo fallì miseramente contro l’onnipotente Inghilterra e venne sciolta. Quanto a Miguel, dopo essere entrato nel mondo delle imposte ed essersi beccato ben due scomuniche per il suo operato, nel 1597 si ritrova coinvolto in una fallimentare bancarotta fraudolenta e viene incarcerato. Una volta a piede libero… non lo sarà per tanto. Nel 1602 viene di nuovo arrestato e imprigionato a Siviglia, con l’accusa di illeciti amministrativi. Riacquistata la libertà in poco tempo, si ritira a Valladolid con due sorelle e la figlia Isabella, avuta nel frattempo, tra una cosa e l’altra, con una tale Anna de Rojas. Ma la pace ha vita breve: nel 1605 viene casualmente ritrovato nelle vicinanze di casa sua il cadavere di un noto cavaliere e i sospetti ricadono tutti proprio su Miguel che viene di nuovo imprigionato. L’anno dopo è a Madrid alla corte di Re Filippo III, figlio di Filippo II venuto a mancare. Può finalmente dedicarsi alla sua Scrittura, nella quale si è sempre cimentato, ma avendo troppo poco tempo a disposizione, per via dei suoi… “impegni”. Tre giorni prima di morire, nel 1616, dicono abbia detto addio agli “scherzi” e alla “spiritosaggine”, coerentemente con quella che fu la sua vita. 

Ecco, ora scordatevi tutto quello che abbiamo detto finora su Cervantes quando parliamo di Don Chisciotte della Mancia, protagonista della sua straordinaria opera. Innanzitutto non si chiama nemmeno così: il suo nome è Alonso Quijano. Non viene da una famiglia di modeste condizioni come Miguel, ma è un hidalgo, cioè un esponente della piccola nobiltà spagnola che non ha certamente condotto un’esistenza faticosa, o difficile. Ma sembrerebbe essere stata una vita decisamente noiosa. Non è un baldo giovane come ogni protagonista di un’epopea cavalleresca dovrebbe essere, ma un uomo sui cinquant’anni. Ha una sola cosa di davvero interessante: la Lettura. Legge, legge sempre, legge di continuo. Legge a tal punto da essere affascinato a livelli morbosi dai romanzi cavallereschi. È il suo solo vizio la Lettura di Storie, la sua sola passione: il denaro lo spende esclusivamente in quello. Legge talmente tanto di questi uomini eroici ed avventurosi, calandosi in tali letture, da “IMPAZZIRE” e convincersi di essere stato chiamato ad assumere i panni di cavaliere errante, tale e quale agli eroi dei suoi romanzi. Si autoproclama così «Don Chisciotte della Mancia»; ribattezza il suo malconcio ronzino «Ronzinante» dato che è «primo fra tutti i ronzini del mondo» e deve essere superiore al leggendario Bucefalo, destriero di Alessandro Magno; e si prende le vecchie armi scassate di proprietà dei suoi avi. Si sceglie persino la dama amata a cui ogni cavaliere che si rispetti deve dedicare le sue incredibili gesta e la decisione ricade sulla misera contadina Aldonza Lorenzo che per lui diventa madamigella bellissima che porta nome di «Dulcinea del Toboso». Parte all’avventura, vagabondando per la Spagna. Innanzitutto, come è giusto che sia, si fa ordinare cavaliere in una squallida osteria, che per lui è un castello, dallo stesso ristoratore e due prostitute, che per lui sono il castellano e due donzelle. Delirio! 

Si troverà pure un inseparabile scudiero, perché ogni cavaliere che si rispetti ne ha bisogno: il suo si chiama Sancho Panza! Trattasi di un umile e simpatico contadino del suo paese, evidentemente non troppo intelligente dato che segue Don Chisciotte solo perché questi gli ha promesso di farlo governatore di un’isola e crede davvero possa dargliela, pur rendendosi però perfettamente conto della follia del suo signore, pazzia visionaria che Sancho incoraggia di continuo, assecondandolo solo per poter soddisfare un domani la sua avida ambizione. Così il cavaliere per niente cavalleresco in groppa al suo ronzino e lo scudiero in realtà contadino in sella al suo asinello, insieme, vivranno avventure tra le più epiche e al tempo stesso ridicole. I due però non si muovono dentro un romanzo cavalleresco e non vi sono chissà quali avventure da affrontare. Ma Don Chisciotte vede quello che vuole dappertutto e legge la realtà così come desidera. Si ritroverà a infilzare burattini che per lui sono demoni, a guerreggiare contro pecore che per lui sono soldati di eserciti arabi, oppure a lottare contro i leggendari mulini a vento che ai suoi occhi sono giganti dalle braccia roteanti. Numerosissimi i nemici immaginari da cui verrà sempre e comunque sconfitto. Del resto: come puoi pretendere di vincere contro i mulini a vento?

Da una parte abbiamo dunque questo pazzo impazzito convintosi di verità che non sono vere. Dall’altra il suo fedele compagno che incarna l’esatto opposto: Sancho Panza, il quale per nulla visionario, privo di fantasie, è dotato di una razionalità pratica e fattuale, guarda alla realtà così come gli si presenta e, a costo di risultare prosaico e venale, cerca sempre di guadagnare il più possibile dalle occasioni che gli si presentano e di tenere cara la pelle. Qui però sta il controsenso pazzesco alla base del personaggio del fido scudiero, oltre che quello di molti esseri umani che abitano questo mondo, dato che tale immortale opera parla a tutti noi umani di noi umani. Benché Sancho si renda conto che il suo padrone è un matto che non riesce a capire la realtà nella quale vive, spera davvero che gli possa dare un’isola tutta per lui. Ed è questo il motivo per cui lo accompagna. Come è possibile? Alla fine un’isola, poi, Sancho Panza l’avrà per davvero. Più o meno. Dei potenti nobili burloni infatti, in una delle avventure dei nostri due protagonisti, decideranno di prendersi gioco di lui, nominandolo governatore dell’inesistente isola di Baratteria. L’investito governatore, al quale è consentito governare l’isola “a distanza”, viene inondato da tutta una serie di obblighi e doveri. Il nostro Sancho, tuttavia, non demorderà e saprà impegnarsi a fondo per risolvere tutti i problemi sottopostigli e affrontare le sue molteplici e variegate responsabilità. I «burlatori» verranno in qualche modo burlati, tutti quanti stupiti, tanto da ritenerlo «un secondo Salomone» per il suo buongoverno sapiente, equo, giusto, migliore di quello di molti altri governanti (realmente governanti). Eppure, tuttavia, dopo appena dieci giorni, Sancho il Concreto Realista riconosce di non essere nato per fare il governatore e rassegna le dimissioni. Senza pretendere un sol denaro di compenso. Era quello che aveva sempre sognato, avrebbe soddisfatto la sua immane gola, e invece ci rinuncia. Dopo tutto quello che ha passato stando dietro al suo signore fuori-di-testa. E torna da lui. Perché?  

Io credo quanto segue. Per me Don Chisciotte non è impazzito. Non è pazzo. Semplicemente vede cose che gli altri non vedono. Il che non significa che non siano vere. Sancho Panza quelle cose non le vede, eppure lo segue e lo asseconda ugualmente. Perché è stupido e avido? No, altrimenti non riuscirebbe a salvarlo ogni volta, fosse stupido. E fosse avido sarebbe rimasto governatore della sua isola. Quella folle insensata strana coppia, due uomini che più diversi non si può eppure uniti e fedeli l’uno all’altro, non sono i matti che sembrerebbero. È il mondo intorno a loro ad esserlo. Un posto folle davvero, talmente folle da credere che non basti credere in qualcosa per renderlo vero.   

La verità è che Tu puoi essere qualsiasi cosa credi di essere. Non credere mai a quelle persone che ti diranno che non sei abbastanza alto per fare il giocatore di basket, o che è impossibile che un tipo come te possa davvero cambiare le cose a questo mondo, e nemmeno a coloro che affermeranno che la Magia non esiste. Credi solo a te stesso. Tu puoi essere un Mago, se ci credi. O un prode cavaliere in grado di rendersi protagonista delle azioni più eroiche. Basta solo crederci. Credere al tuo credere. Non esiste altro. Credi, credi sempre, credi in ciò in cui credi. Perché allora, solo allora, diverrà vero. 

In conclusione: come mai questa perla di romanzo ha cambiato la Storia? Perché per la primissima volta da quando la Letteratura esiste, esso unisce più punti di vista. Il punto di vista di quel matto di Don Chisciotte, che pensa davvero di essere un cavaliere, uomo con una visione avventurosa, fantasiosa e cavalleresca della vita. Il fido Sancho Panza, la cui visione delle cose è assolutamente concreta e realista, per così dire “terra-terra”. E poi tutti gli altri personaggi, ognuno con una propria visione dei fatti. E tutti questi piani narrativi finiscono per fondersi tra loro. Persino gli stessi personaggi, persi in mezzo a questa moltitudine di visioni diverse, quasi finiscono per confondersi tra loro. Sancho, per cercare di accontentare il suo signore, gli diceva, osservando delle contadine: Guarda, vi sono delle splendide principesse regali! Al che Don Chisciotte, quello dei mulini a vento, gli rispondeva affermando: Ma cosa dici?, quelle sono solo delle contadine! Il matto Don Chisciotte finiva dunque talvolta per essere quello sano mentalmente, mentre il realista Sancho Panza quello fantasioso. Una fusione di punti di vista e piani narrativi che hanno fatto del «Don Chisciotte» un romanzo di una modernità assoluta che permane ancora oggi, una modernità eterna che oggigiorno ha rivoluzionato, influenzato e condizionato tutta la Storia Letteraria successiva. 

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