DI ALBERTO GROMETTO
Quando è nato l’Amore?
Eh? Quando è nato l’Amore??? Ma che domanda è?
Beh, faccio sul serio: quanti anni ha esattamente l’Amore? Quando fa il compleanno? Allora?
Da che mondo è mondo, l’Umano e l’Amore son sempre stati una cosa sola. Ammettendo che microbi, batteri, organismi unicellulari e i loro successori – pluricellulari, piante, animali e ancora anfibi, rettili, dinosauri, mammiferi e uccelli – non sanno cosa sia l’Amore, ne deriva che questo particolare tipo di sentimento sia ad appannaggio esclusivo dell’Umano. Che poi, insomma, siamo Noi che diamo egocentricamente per scontato che un povero signor Batterio non possa “perdere la testa” per una signora Batteria e desiderare di fuggire assieme a lei declamandole poesie d’amore per il resto della loro vita! Chi ce lo dice che davvero non sia così?
Ma quand’anche ritenessimo certo possa esistere l’Amore tra animali, nel caso degli Uomini è un Amore diverso. Migliore, forse? No. Rispetto a due falchi che scelgono di accoppiarsi tra le nuvole del Cielo e rimanere accanto l’uno all’altra per tutta la vita, no. Direi proprio di no. Direi anzi che il nostro tipo d’Amore è una grandissima rottura di balle!
Pensieri ossessivi, mal di stomaco, nausea, pensieri ossessivi, tristezza, depressione, pensieri ossessivi, gelosie, invidie, pensieri ossessivi… l’ho già detto pensieri ossessivi? Quando si scopre l’Amore, si sa, l’Umano non fa altro che pensare alla persona che ama (o che crede di amare), e si sente male, e non sa mai che fare, e ha una paura fottuta di fare un passo falso, e non vuole provarci, e poi ci prova ma sbaglia, e diventa stupido. Più di quello che è, almeno. Si rimbecillisce, niente più capisce, nei casi peggiori si mette pure a scrivere poesie d’amore di dubbia qualità!

Ecco, è di questo aspetto dell’Amore che sceglie di parlarci il Grande Bardo, L’Uomo-Chiamato-Teatro, quel nome e cognome che subito tutti associano al palcoscenico non appena pensano all’arte teatrale: WILLIAM SHAKESPEARE!
Ma come??? Solitamente Shakespeare ci parla dell’Amore nella sua essenza più tragica, come quando tutto quanto sembra ostacolare il sentimento sbocciato tra due persone che non devono stare insieme, eppure ci stanno lo stesso anche se questo significa Morte. Oppure ci parla del dolore che strugge chi non è ricambiato. Della furia omicida e fratricida che l’Amore può comportare. Di cosa significa osservare qualcuno, e scegliere di passare con quel qualcuno il resto della vita. Insomma, parla dell’Amore in tutte le sue sfumature e versioni più “romantiche”. Che, poi, che significa romantico? Significa ammantare un sentimento d’un significato, una potenza, una sensibilità, una profondità e un’importanza straordinari, riconoscendone la sacralità, la solennità, la superiorità e… e son tutte frignacce!
Sì, questo ci sembra dire il Sommo Maestro William Shakespeare nel momento in cui scrive una delle sue opere meno famose, rappresentate e conosciute: «PENE D’AMOR PERDUTE»! In questo caso il Grande Bardo prende il romanticismo e lo mette da parte, e sceglie invece di parlarci piuttosto della “Grande A Maiuscola” (dell’Amore) nella sua essenza più ridicola, buffa, quasi grottesca, sciocca, esilarante, clownesca. Non di quell’Amore che ci rende più belli, o intelligenti, o profondi, oppure sensibili, o migliori. Bensì, l’esatto contrario: l’Amore che ci rende degli stupidi fessacchiotti incapaci bambineschi che non sanno che fare e che si rivelano in tutta la loro stupidità di pagliacciata in pagliacciata!

Si ride, si ride tantissimo, a perdifiato, a crepapelle, singhiozzando, piangendo, persino ridendo – sì, si ride ridendo tanto si ride! – al punto da rimetterci un polmone! E si ride per tutto il tempo, dall’inizio alla fine, senza quasi soluzione di continuità mi verrebbe da dire. Il merito è della penna shakesperiana certo, che ha il talento unico ed immortale di sfornare sempre e comunque opere che parlano di Noi – sì, di Noi! – anche se scritte cinquecento anni (anno più, anno meno) prima che chiunque stia leggendo queste parole nascesse in questa vita. Ma nel caso della rappresentazione a cui abbiamo avuto il massimo onore e godurioso (GODURIOSO!) piacere di assistere presso il TEATRO CARIGNANO DI TORINO, il merito spetta anche all’intero cast, e in primissimo luogo al regista di questo gioiello. Trattasi di un Artista straordinario che MERCUZIO AND FRIENDS ammira fin dagli albori della sua Storia, al quale applaude da diversi anni ininterrottamente e con cui peraltro è nato un sincero legame amicale che va al di là del professionale: IL MAESTRO JURIJ FERRINI.

Questo autentico professionista vero che vive in nome del palcoscenico da oltre trent’anni e che per Noi rappresenta uno dei massimi esempi di cosa significhi essere “Uomo di Teatro” – oltre che ricoprire pure un ruolo nel cast attoriale – riesce in un’impresa che al giorno d’oggi ha del miracoloso con insieme del prodigioso: prendere un testo non molto conosciuto e che ha qualche annetto (solo 500 o giù di lì!) come quello shakespeariano, ma che parla di Noi e che continua a parlare di Noi, conferendogli un’attualità sconcertante e una forza espressiva straordinaria attraverso la sua regia attenta e meticolosa e brillante e piena zeppa di intuizioni comiche e narrative e drammaturgiche originali e saporite e deliziose! Ferrini fa quello che anche Shakespeare fece cinquecento anni or sono: mostrare quanto sciocchi e assurdi e pure idioti… ma anche teneri e adorabili e dolci… siamo Noi Umani nel momento in cui ci innamoriamo!
La storia vede protagonisti un sovrano e tre suoi cortigiani e amici, decisi a prestare gran giuramento di devozione allo studio rigoroso e solerte, al punto da voler sottoscrivere un contratto col quale si ripromettono di vivere per i prossimi tre anni con meno ore di sonno possibili, meno cibo possibile e… soprattutto… NIENTE donne! Non meno donne possibili… ma proprio niente, zero, nulla, nada! Non tutti, a dire il vero, son convintissimi. Ma tant’è, così ha deciso di fare il Re! E la corte intera stessa (o meglio, gli uomini che la abitano) dovrà adeguarsi, anche qualora giungesse da loro in visita la Principessa di Francia. Ma… aspettate un momento, fermi tutti!… la Principessa di Francia sta arrivando, accompagnata dalle sue tre dame di compagnia! E ora… ora che si fa? L’unica è fermarne l’avanzata e chiedere loro di soggiornare in tenda tra i prati nei boschi standosene ben lontane dal Castello e dalla Corte. Pare nei fatti la miglior soluzione possibile: non s’offenderanno mica, no? La risposta è che quelle se la legheranno al dito… e che non sarà affatto piacevole per quei quattro balordi! Gli stessi che rifuggivano l’Amore e che invece proprio per questa ragione addirittura sospireranno! E quando si inizia a sospirare, allora è grave!

Tra siparietti irresistibili, brillanti gag meravigliose, eccezionali battute al fulmicotone, divertimento a volontà, momenti spassosissimi in cui si fatica a tenersi la pancia in mano tanto si ride, la narrazione procede frenetica e rapida! Assistere a questo spettacolo — produzione targata TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE, nell’ambito dell’iniziativa “PRATO INGLESE”, divenuta oramai tradizione estiva — è come sorseggiare un bicchiere d’acqua fresca in una giornata d’estate (e considerando che l’estate torinese 2025 si sta rivelando particolarmente ardente, ci voleva proprio!). E quasi dispiace quando si giunge alla conclusione, perché ne avresti voluto ancora un po’. Perché avresti preferito passare ancora del tempo assieme a quei personaggi. Perché stare con loro è fantastico, e non avresti voluto vederne mai la fine. Il merito è naturalmente dello “Zio Billy” (così chiamo Shakespeare tanto gli voglio bene!), della messinscena di Ferrini tesa a restituire quel senso di comico calato nella nostra attualità, della traduzione e adattamento a cura di DIEGO PLEUTERI e naturalmente dell’ineguagliabile cast attoriale, che definire in stato di grazia e indovinato e assolutamente affiatatissimo al punto da non riuscire ad immaginare nessun altro al posto loro inscenare quest’opera… è dire poco!

VITTORIO CAMAROTA è semplicemente esilarante nei panni di quel ridicolo uomo che è il Re di Navarra Ferdinando, tutto deciso a rinunciare all’Amore… e che, a dispetto di tutti i libri che può leggere e delle poesie che può scrivere, non aveva proprio capito come funzionava l’Amore! Il degno ridicolo leader di una degna ridicola banda, composta dallo spassosissimo Longueville del fenomenale ARON TEWELDE (anche lui oramai intimo amico della nostra realtà mercuziana), dal buffissimo Dumaine di un impeccabile SAMUELE FINOCCHIARO e ovviamente da Biron, il solo che aveva dubbi su cosa stessero andando a firmare, quello che sembra avere un po’ più di sale in zucca, ma anche lui infine ugualmente pagliaccio, reso memorabile dall’indimenticabile performance a firma di RAFFAELE MUSELLA. Eccoli lì, quei quattro duri che si sarebbero tagliati mani e piedi e lingua avessero parlato con una donna per i successivi tre anni e che in meno di tre ore – dinanzi a quelle belle dame della Principessa e delle sue ancelle – perdono la testa, non capiscono più nulla, fanno spergiuro, vengono meno a qualsiasi accordo e rimbecilliti e sedotti e innamorati si mettono a comporre poesie smielatissime e sonetti romanticissimi.

Le loro nemiche e avversarie, dinanzi a cui sembreranno piccoli bambinetti rintronati, accompagnate dall’emissario del sovrano interpretato dal Maestro Assoluto Ferrini, son rappresentate da un quartetto altrettanto impareggiabile: a partire dalla Principessa impersonata da una divina GIORDANA FAGGIANO assolutamente e completamente in parte passando per una SARA GEDEONE strepitosa, una CECILIA BRAMATI incredibile e una ROBERTA CALIA talmente brava da riuscire nell’impresa di avere doppio ruolo nello spettacolo (oltre che una delle dame di compagnia, pure la libertina contadina Giacomina).


A completare questo cast veramente sensazionale, tre attori che meritano un’ovazione spettacolare e specialissima perché interpreti altrettanto specialissimi e spettacolari. PAOLO CARENZO è monumentale nel dar vita allo spagnolo Don Adriano De Armado, forse il più clown di tutti, che parla un casino e si capisce una parola ogni tre, che si lancia in dichiarazioni poetiche senza apparentemente nemmeno conoscere il concetto di grammatica, pomposo e solenne senza alcun valido motivo per esserlo! L’ineguagliabile MATTEO FEDERICI è il suo paggio Motto, sventurato ad avere un padrone del genere, costretto a ricoprirsi di ridicolo contro la sua volontà, forse il solo che ha un minimo di sale in zucca in quella masnada, eppure deve fare la fine del pagliaccio come chiunque altro. E poi c’è lui, parlando di zucche e pagliacci: Zucca, uno zuccone talmente idiota da risultare adorabile e tenero e dolcissimo in ogni sua minima battuta, movenza, gesto. Non capisce mai nulla, ma forse tutto sommato si gode la vita meglio di tutti quegli altri! Dopo aver assistito alla paradisiaca e sublime interpretazione che ne dà FRANCESCO GARGIULIO, risulta veramente impossibile immaginarsi chiunque altro al suo posto, tanto è stato incredibile!


E infine, che rimane?
Rimane che l’Amore è così. Non si capisce perché sia pazzo, folle, illogico. Semplicemente: è così. È così perché è così. E non lo puoi battere, o sconfiggere. Non c’è nemmeno partita. Tutto lo studio, la cultura, i libri, la poesia, le conoscenze del Mondo potranno mai nulla contro i nostri Sentimenti, che non seguono le strade dritte della Logica e del Ragionamento, ma piuttosto quelle oblique, trasversali, incomprensibili della Ridicolaggine. Soprattutto: non puoi essere Tu a decidere se innamorarti o meno. Per questo ci inventiamo delle favole col Lieto Fine, perché vorremmo che fosse così anche nella Vita Vera. Ma nella Vita Vera non c’è il Lieto Fine. C’è solo un continuare ogni giorno a soffrire, coprirsi di ridicolo, e aspettare sperando. Sperare che quelle pene e quei dolori d’Amore servano a qualcosa. Ma servono?
Io questo non lo so dire. Ma se ispirano la creazione di opere teatrali così belle, e nelle quali ognuno di Noi, dato che tutti amiamo, può riconoscersi… allora ben vengano la ridicolaggine, le pene e tutto il resto. Forse, tutto sommato, ne sarà valsa la pena.


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