DI ELODIE VUILLERMIN
Avete paura della malattia? No, non ne avete.
Solo le persone giuste ne hanno. Le persone incapaci di adattarsi al mondo ingiusto che voi avete creato. Voi che generate malessere sociale: io sono la risposta che meritate!
Presto voi pregherete che Morte vi colga, perché Pestilenza annienterà la vostra breve inutile Vita.
Il sangue è la mia manifestazione e il mio sigillo, il rossore e l’orrore del sangue!
(Cultrash – Tappeto Rosso Sangue, Vincenzo Sacco, pag. 110)
Questo libro, edito da Spazio Cultura Edizioni, si apre con una serie di rapporti della polizia, commenti su svariati profili social e notizie della stampa. Tutti parlano della stessa cosa: una morte sospetta sul red carpet al Festival del Cinema di Venezia, mentre veniva proiettata l’anteprima di un film. L’isteria di massa si scatena.

Ma per spiegare come siamo arrivati a ciò, è necessario fare qualche passo indietro e presentare il nostro protagonista, Claudio Modica. Questo ragazzo partecipa al Festival del Cinema sotto copertura, ricoprendo un ruolo di fotografo per l’agenzia Fame Hungry (un nome che è tutto un programma) che in origine spettava a una sua amica, Andrea. Di giorno lavora con una redazione e si finge una persona come tante. Ma la notte si trasforma in Pestilenza, un giustiziere solitario, un diabolico vendicatore che reputa la società in cui vive responsabile di tutti i suoi mali, un cavaliere mascherato dell’Apocalisse che diffonde nei cuori della gente la malattia più contagiosa e difficilmente contrastabile: la paura. Un po’ Paperinik, un po’ Batman, con qualche vibe alla Diabolik e alla V per Vendetta. Una trama classica, che però ha sempre la sua attrattiva.
Dimenticavo di dirlo: Claudio non è solo nella sua missione. È assistito in continuazione da Marcantonio detto Marc, suo supporto logistico e tecnologico da remoto (perché una figura simile nelle missioni di vendetta e infiltrazione non può mai mancare).
Lo sguardo di Claudio è giudicante, feroce, sarcastico. Non risparmia nessuno e non ha mai paura di esprimere al lettore ciò che pensa. Egli è il personaggio perfetto per illustrare le ipocrisie e il marciume dietro il patinatissimo Festival del Cinema, un mondo popolato da esseri umani della peggior specie: produttori e direttori arroganti che sfruttano i soldi per ottenere ciò che vogliono, critici cinematografici troppo pignoli e troppo (scusate la battuta) critici, registi pretenziosi, attori che si atteggiano solo perché hanno vinto un premio, teen idol e altre celebrità che vengono usate come burattini dai loro capi allo scopo di macinare più denaro, gente falsa che elargisce complimenti in pubblico ma è pronta a lanciare insulti alle spalle degli altri (e viceversa).

La scelta di Vincenzo Sacco di ambientare il romanzo durante il Festival del Cinema di Venezia, simbolo internazionale di eleganza e cultura, è stata una mossa vincente. L’evento dovrebbe celebrare la bellezza della Settima Arte, ma alla fine, per come ce lo illustra l’autore, è un mondo incentrato più sul lusso sfrenato (che diventa poi spreco di risorse), sugli eccessi (di sesso, di alcol, di droghe, di tutto), sull’opulenza da esaltare a tutti i costi solo per far parlare di sé, sul salvare le apparenze. Il mondo del cinema dovrebbe essere raffinato ma si rivela essere un ambiente tossico, volgare e competitivo, dove la vera arte, la vera cultura e la vera bellezza vengono accantonate in favore di fama, gossip e guadagno facile. E tutto questo crea una netta disparità sociale tra i ricchi e i poveri, tra “la gente che conta” e “i pezzenti”, con conseguenti disagi.
Purtroppo questo mondo è fatto così: è fatto di esclusi. Il mondo del cinema soprattutto è fatto di gente che vuole emergere, che costruisce cerchie. Cerchie che escludono.
(Cultrash – Tappeto Rosso Sangue, Vincenzo Sacco, pag. 77)
Claudio ce l’ha a morte con tutti, ma in particolare con Eugene, figlio della vicedirettrice della Fame Hungry con il modestissimo soprannome di Re Sole, personaggio che fin da subito appare come il classico raccomandato a cui si aprono tutte le porte solo perché è figlio di mamma ricca e potente, quello che sfrutta il suo cognome per avere successo senza fare la minima fatica. Utilizza pure inglesismi a sproposito solo perché fa figo. Un tipo simpatico, insomma. Ma è fondamentale che questo personaggio esista. La rivalità tra lui e Claudio è ciò che smuove la storia; sono opposti ma complementari e nessuno dei due può sopravvivere senza l’altro, come se fossero lo Yin e lo Yang.
Ci sono altri personaggi, oltre a Claudio ed Eugene, ugualmente interessanti. Tra questi citiamo i più importanti. In primis Patrizia, madre di Eugene, tanto elegante quanto furba e spietata, oltre che una dei pochi a ritenere che l’opera di Pestilenza sia necessaria per dare una scossa ai poteri forti. Poi abbiamo Milù detto The Boss, tuttofare della Fame Hungry, scansafatiche e malato di sesso. Segue Tommy Van Zandt, l’amministratore di cassa, convinto che può permettersi di essere sgarbato e irrispettoso solo perché ha un cancro e gli rimane poco da vivere. Infine Madeleine Pellicano, la nuova teen idol del momento, colei che in un certo senso dà vita all’alter ego oscuro di Claudio, nonché colei che lo fa dubitare della sua missione e lo spinge a chiedersi se è riuscito a ribellarsi solo perché è stato il potere stesso a volerlo.
Tutti alla Fame Hungry sono espressione del lato marcio del Festival. Lo si capisce dal modo in cui sono pronti a pugnalarsi alle spalle quando le cose precipitano, dai festini esclusivi ed esagerati che organizzano quotidianamente, dal modo in cui calpestano l’etica e la dignità altrui in favore dello spettacolo, ma soprattutto da come parlano. Basti pensare alle osservazioni di Van Zandt sulle donne, su Hitler o sui gay; ai commenti di Aida, Luisa e Norma quando tirano in ballo l’anoressia e altri argomenti delicati; a The Boss che spara a destra e a manca nomignoli come pisellino o luoghi comuni sul sesso in maniera inappropriata e spesso offensiva. Ma la stereotipazione qui è una cosa voluta e comunque non ha intenti offensivi, soltanto comici. L’esagerazione è voluta proprio per enfatizzare il lato corrotto di queste persone coinvolte nel Festival. L’autore lo spiega a chiare lettere nell’introduzione del libro, nella sezione “Avvertimenti per il lettore”.

Dopo circa cento pagine di preparazione e presentazione dei personaggi, comincia la vera azione. Ai vari party esclusivi, red carpet, conferenze stampa e incontri dal vivo con le celebrità si alternano i sabotaggi di Pestilenza, che fa di tutto per far sì che il mondo lo noti davvero e gode quando la gente lo sfida e lo provoca apertamente. Peccato che per gran parte della storia, come gli fanno notare molte persone, le sue azioni manchino di una linea d’azione precisa; non c’è da stupirsi se sulle prime lo trattano come uno scherzo. È da quando Claudio trova l’appoggio e la protezione di gente più forte e potente che iniziano a prenderlo sul serio.
Claudio detesta l’opulenza, l’ipocrisia e il marciume celati dietro il Festival, eppure lui stesso si sporca ed è disposto a scendere allo stesso livello di coloro che odia pur di portare avanti la sua missione. Lo fa per Andrea, la sua cara amica, la cui vita è stata rovinata proprio per colpa di Eugene e delle persone coinvolte nella Fame Hungry.
Ma più si procede con la lettura, più Claudio si trasforma. Quello che agli inizi era un suo nobile obiettivo diventa qualcos’altro. Claudio inizia a confondere tra di loro la sua persona e il suo alter ego, fino a convincersi che Pestilenza sia il suo vero lui. La sua voglia di rivalsa prevale sulla sua umanità e non ascolta più i consigli di Marc, sua voce della ragione, riguardo al fermarsi e lasciar perdere. Non prova più sensi di colpa per quello che fa, per le menzogne che racconta ai suoi unici amici. Smette di ricorrere a sabotaggi e minacce solo per diffondere paranoia e arriva a fare di peggio: stringere alleanze con soggetti pericolosi, essere la causa di veri e propri omicidi, infettare il prossimo con il proprio sangue e incastrare persone innocenti per i suoi crimini. Si fa strada in lui un delirio di onnipotenza crescente, che lo porta a eliminare qualche suo complice e ad agire da solo, senza più aiuti da nessuno. Pestilenza diventa una celebrità, con il suo seguito sui social: Claudio si trasforma in ciò che odiava. Fino a che le cose cominciano a sfuggirgli di mano.
Claudio Modica, secondo l’autore, è diventato affetto da “una sindrome di Münchhausen per procura: arreca gravi danni al mondo intorno a lui pur di attirare l’attenzione su di sé. Anche se questo dovesse comportare lo scatenarsi di una pandemia”. Ma anche lui finisce per rimanere infetto ed ammalarsi a causa del marciume che sta combattendo. Il suo stesso demone interiore lo consuma e lo sopraffà, in pieno stile Dr. Jekyll e Mr. Hyde. E tutto ciò diventa un modo alquanto comodo, per Claudio, di deresponsabilizzarsi: inutile che lo maledicano e lo accusino di aver provocato la morte di qualcuno, se poi può far ricadere la colpa sul suo alter ego.
«Hai esagerato, me ne tiro fuori. È troppo per me. Hai vinto!». […]
«No, io non c’entro nulla. È stato Pestilenza, e ha vinto!».
(Cultrash – Tappeto Rosso Sangue, Vincenzo Sacco, pag. 437)
E in tutto questo, come reagisce il pubblico una volta capito che Pestilenza fa sul serio? Alcuni pensano che egli sia un burattino manipolato dai poteri forti. Altri lo paragonano al demonio e dicono che la preghiera è l’unico modo per salvarsi da lui. Qualcuno replica che Pestilenza, con la scusa dell’infettare oggetti con il suo sangue, stia mettendo in campo una macabra trovata pubblicitaria. C’è perfino chi desidera con ardore l’infezione da parte di Pestilenza, chi smania per essere contagiato perché sicuro di poterci trovare una liberazione, e partono le teorie complottistiche e i discorsi filosofici sul vero significato di malattia.
Cultrash è un’opera affascinante per la sua natura provocatoria. Quest’ultima si intuisce fin dal titolo, il cui significato si spiega in un’intervista che l’autore ha concesso a Fattitaliani tempo fa. Egli, parlando di Claudio Modica, afferma che “vuole fare del bene ma compie del male. L’unione di questa contraddizione è quella che definisco Cultrash, un ombrello sotto il quale possiamo far convergere tutti i binomi dell’attualità, che insieme si attraggono e si respingono: cultura alta e cultura bassa, fascismo e comunismo, hot or not. Del resto, se ci pensiamo bene, dopo che nasciamo la nostra crescita è una corsa frenetica verso la nostra fine, l’evoluzione è devoluzione, l’alfa e l’omega che si vengono incontro. Per definizione, Cultrash”.
Cultrash è affascinante anche per il suo essere un’opera pregna di cinema. Lo è innanzitutto nella trama e nell’ambientazione. Inoltre il titolo di quasi ogni capitolo contiene un riferimento al mondo del cinema; per non parlare poi delle citazioni della cultura pop e del mondo della Settima Arte presenti nei dialoghi dei personaggi (si va da James Bond a Via col vento, da He-Man ai personaggi della DC Comics).
Peculiare è anche la struttura dell’intreccio. Il libro viene narrato interamente dal punto di vista del personaggio principale, ossia Claudio; gli stiamo addosso dall’inizio alla fine. Tale scelta di scrittura vuole replicare, come dichiarato dall’autore, l’ossessione della nostra società di bersagliare il prossimo con una serie infinita di informazioni e visioni da cui è impossibile sottrarsi (come succede oggi con i social).
Consiglio vivamente questo libro. Lo considero un’esperienza di lettura diversa dai soliti thriller e dalle solite revenge story. L’idea di una vendetta brutale che si scatena in un contesto raffinato crea quel contrasto che tiene il lettore incollato alle pagine. Il libro è una sequela di giochi mentali, false piste e colpi di scena a non finire. L’epilogo è un crescendo di azione, tragedia e caos dilagante; una spirale nella quale finisci intrappolato e da cui non esci più, che sembra suggerire come Pestilenza in realtà non abbia mai fine e troverà il modo di tornare.


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