DI EDOARDO VALENTE
Nei momenti più difficili, quando il filo della vita che si percorre si assottiglia, e da un lato si può cadere nell’aridità, dall’altro nella disperazione, a fortificare la corda e ridare equilibrio possono aiutare i film di Hayao Miyazaki.
Non è facile accettare questo aiuto, perché se ne riconosce l’illusorietà. I mondi costruiti da Miyazaki appaiono, a occhi disincantati, troppo lontani, irreali, invivibili. Eppure, una volta riappacificati con sé stessi, ci si può riappacificare con la realtà circostante attraversando una delle opere di questo maestro dell’animazione.
Se non doveste sapere chi è il caro Hayao Miyazaki, documentarsi è facile, ma più importante ancora è comprenderne la “bravura”, che è una parola inesatta, prosaica. Comprenderne l’arte, forse?
Omaggiare solo lui, certo, è sbagliato. Al suo fianco, a fondare il più famoso studio di animazione giapponese, ci furono anche l’amico e rivale Isao Takahata, e Toshio Suzuki e Yasuyoshi Tokuma. E a lavorare ai film a cui forniva le idee erano in molti, moltissimi, che ci diventa difficile ricordare tutti.

Questo elogio è come un’ode all’arcobaleno, che non tiene conto di tutti gli elementi che lo compongono, ma solo dell’effetto finale, delle conseguenze di quell’effetto finale, delle emozioni che una tale visione fa scaturire.
Dei film di Miyazaki non si può esattamente parlare. Per tornare all’esempio di poco fa, sarebbe come “scomporre l’arcobaleno”, come scrisse John Keats in merito alla volontà di spiegare e sezionare ogni elemento della Natura.
Dunque si assiste a queste animazioni come a uno spettacolo naturale, qualcosa che accade seguendo logiche che non ci interessa comprendere, non leggi fisiche o tecniche, ma leggi magiche, che travalicano la nostra comprensione.
O meglio, che travalicano la comprensione banalizzante di una mente adulta, tendenzialmente abituata all’ordinarietà della vita e ai suoi schemi. Miyazaki è convinto che il miglior pubblico dei suoi film siano i bambini, coloro che veramente si rendono conto di cosa stanno vedendo, senza chiedersi cosa succede.
“Quello che accade”, in un film, è spesso la preoccupazione principale degli spettatori, ma in questo caso l’aspettativa deve ricalibrarsi, adattandosi al particolare stile creativo di Miyazaki: nessun progetto iniziale, solo un abbozzo, dal quale si procede frammento per frammento. Nessuno sa dove il film andrà a parare, nemmeno lui.

Solo così la creatività può rimanere pura, libera, come lo è lo sguardo di un bambino, e come dovrebbe essere il nostro quando ci approcciamo a questi capolavori.
Un trionfo visivo, accompagnato da musiche indimenticabili, che ci culla, ci trasporta come una corrente amica, facendoci però anche attraversare i pericoli, lasciandoli infine alle spalle.
Ogni film ci immerge in un mondo nuovo, diverso, affascinante, irripetibile; mondi abitati da personaggi memorabili, determinati, delicati.
La classica idea di “trama” la si può prendere e buttare via: qui le cose accadono in altra maniera, ma con estrema naturalezza; e non importa neppure che le cose accadono, è sufficiente che esistano, che le animazioni ci facciano vivere istanti di una vita che ci appare sia lontanissima che intimamente nostra.
Il sogno, la fantasia, l’immaginazione: questa è la realtà che dobbiamo vivere.
Miyazaki, nelle interviste, non può nascondere il suo radicale pessimismo, la sfiducia nel futuro; eppure, proprio per questo, realizza film che diano ai bambini (in realtà a tutti quanti) l’idea che la vita merita di essere vissuta appieno.
“Si alza il vento!…
bisogna tentare di vivere”.
Questi versi di Paul Valéry, che danno il titolo a uno dei film di Miyazaki, riassumono in qualche modo una delle idee fondamentali alla base delle opere del regista e sceneggiatore giapponese.

Tentare di vivere, e tentare di creare, disegnare, scrivere, ideare, realizzare qualcosa che valga la pena di essere fatto, di cui non ci si dovrà vergognare.
Si dice – lo conferma Miyazaki stesso – che la presenza del regista si sente nei film che realizza, perciò le opere di Miyazaki non possono essere prive di dolore, di perdite, di passaggi negativi necessari, che rispecchiano la vita, d’altronde.
Eppure, in qualche modo, per quanto spesso la fine del film non la si possa chiamare finale, quello a cui si arriva è ciò che comunemente chiameremmo “lieto fine”.
Perché è giusto così, è giusto dare speranza – ma non illusione – ai bambini, o a chi guarda questi film.
Poter sognare, immaginare un mondo diverso non significa necessariamente illudersi: significa credere che la nostra forza di volontà può superare gli ostacoli che altri hanno lasciato sul nostro cammino.
Quel cammino – la nostra vita – che è come una corda tesa sopra aridità e disperazione, delle quali non possiamo liberarci, ma senza le quali non avremmo ragioni per stare in equilibrio.
E a darci una mano, ogni tanto, in questo equilibrismo, può esserci una serie di immagini che compongono un’animazione irreale e fantasiosa, stupenda e commovente, grazie alla quale il prossimo passo lo faremo sorridendo.


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