DI EDOARDO VALENTE
Vi sarà sicuramente capitato, almeno una volta nella vita, anche per sbaglio, di sentire le note del sirtaki.
Il sirtaki è un ballo tradizionale greco, che è quasi diventato una bandiera musicale, una melodia rappresentativa.
Se si va in vacanza in Grecia, ad esempio, c’è sempre qualcuno che, in un locale o all’angolo di una strada, lo suona per i turisti.
È un po’ come venire in Italia e sentire uno che per strada canta “O sole mio”.
Per aiutarvi, posso dirvi che è anche la colonna sonora di una pubblicità della Barilla di ormai sette anni fa, in cui il tennista Roger Federer e lo chef Davide Oldani cucinano un piatto di pasta.
Non chiedetemi perché in sottofondo ci sia una canzone popolare greca, non ho idea di cosa c’entri, ma di sicuro questo rende l’idea della sua popolarità.
Se ancora questo non bastasse a farvi ricordare qual è, eccolo qua:
Ecco, ora che tutti hanno capito di cosa si tratti, ci tengo a dirvi che il sirtaki è sì un ballo tradizionale greco, ma non così tradizionale come si pensa.
Se noi italiani facciamo riferimento ad un ballo tradizionale, pensiamo probabilmente alla tarantella, le cui prime tracce si possono riscontrare nel sud Italia già a partire dal XVII secolo.
Lo stesso non si può dire del sirtaki, che è invece molto recente: risale agli anni Sessanta del Novecento.
Tutto qui?
No, c’è molto altro dietro l’origine di questo ballo.
Questo brano è stato composto da Mikīs Theodōrakīs per il film Zorba il greco.
In questo famoso film, Anthony Quinn interpreta, per l’appunto, Alexis Zorba, un irreprensibile ottimista che cerca di aiutare (con tragici risultati) il protagonista, Basil, uno scrittore inglese che sta tornando in Grecia per ereditare una miniera.
In una scena del film, Zorba fa fare un ballo a Basil, sulle note del sirtaki, che diverrà presto noto come la danza di Zorba.
La popolarità di questo ballo ha fatto sì che la Grecia lo rendesse un suo ballo tradizionale, tanto che in molti ne ignorano l’origine, oppure pensano che esistesse già prima del film e che solo quest’ultimo lo abbia reso così noto.

Abbiamo dunque capito che un conosciutissimo ballo deriva da un film piuttosto noto.
Ma il film da cosa deriva?
Da qualcosa di meno noto ancora.
La vicenda del film è tratta dall’omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis.
E adesso questo chi è?
Kazantzakis è stato uno dei più grandi scrittori di lingua greca (greco moderno, si intende), e probabilmente il più grande del Novecento.
Prima di parlarvi di lui, voglio citare un altro film: L’ultima tentazione di Cristo, del regista Martin Scorsese, scritto da Paul Schrader (sceneggiatore anche di Taxi Driver e di Toro scatenato), e che vede come protagonista Willem Dafoe nei panni di Gesù.

Insomma: una roba da niente.
Ebbene, questo film, per cui Scorsese è anche stato candidato all’Oscar per la regia, è tratto dal romanzo L’ultima tentazione, scritto proprio da Kazantzakis.
Dunque, chi era costui?
Kazantzakis è stato tante cose. Nato in un’umile famiglia, fin da ragazzo dimostra una spiccata intelligenza, specialmente nell’apprendere le lingue. Dopo aver conseguito una laurea in giurisprudenza ad Atene e una in filosofia a Parigi (dove segue le lezioni di Henri Bergson), si dedica inizialmente alla traduzione, attività che svolgerà per tutta la vita, traducendo in greco moderno sia le opere degli autori del passato, tra cui Omero e Platone, sia le più grandi opere della letteratura universale, dall’intera Divina Commedia, al Faust di Goethe, ai drammi di Shakespeare, ai testi di Nietzsche, fino ai poeti spagnoli suoi contemporanei, tra cui García Lorca e Unamuno.

Non solo traduce, ma anche scrive, e al di là dei due romanzi da cui, come abbiamo visto, sono stati tratti dei grandi film, l’opera della sua vita è l’Odissea. Intitolata come il poema omerico, ne è il seguito ideale.
Per tredici anni Kazantzakis la scrive e la riscrive, finché alla settima versione raggiunge il numero tanto agognato di 33.333 versi, divisi in ventiquattro canti.
In quest’opera ammirevole e immensa, l’autore riversa tutto sé stesso; le sue convinzioni morali, religiose e politiche; la sua lingua, tanto amata, che insegue nelle bocche delle persone del popolo, andando a recuperare termini ormai in disuso.
Come Ulisse, insaziabile e sempre alla ricerca di nuovo sapere, Kazantzakis viaggia per tutta l’Europa, si avvicina al comunismo durante la permanenza in Russia, visita la Cina e il Giappone; eppure, l’assolata Grecia lo richiama sempre: è legatissimo a quella terra e al suo popolo, che però ha dimostrato di non amarlo altrettanto.


Il suo poema era considerato un affronto all’omonimo di Omero, e lo stile particolare in cui era scritto non piacque a nessuno dei critici.
A causa del già citato L’ultima tentazione, la Chiesa greca ortodossa nel 1953 decide di scomunicarlo, e il romanzo viene messo all’indice dei libri proibiti.
Infine, quando viene candidato al premio Nobel, tutta la classe dirigente greca, che lo osteggiava per le sue idee politiche, si dimostra contraria alla candidatura.
Quando nel 1957 il Nobel viene assegnato allo scrittore e filosofo francese Albert Camus, quest’ultimo scrive a Kazantzakis: “Voi l’avreste meritato cento volte di più”.
Se noi, in Italia, possiamo avere una traduzione delle sue opere è merito principalmente di Nicola Crocetti e della Crocetti editore.
Ormai settantaquattrenne, e di ritorno da un ennesimo viaggio in Oriente, Kazantzakis muore nel 1957. Viene seppellito nel suo paese natale, di fronte al “greco mar” che gli è sempre stato grande fonte d’ispirazione.
L’epitaffio sulla sua tomba racchiude le parole che l’hanno maggiormente guidato in vita:
“Non spero in nulla. Non temo nulla. Sono libero”.
E oggi, se si va nella sua amata Grecia, che tanto lo ha rifiutato, all’angolo di una strada si può sentire suonare il sirtaki, che tutti conoscono, e che esiste grazie a un autore sconosciuto ai più.
Oggi e per sempre, tra le note del sirtaki, risuona il nome di Nikos Kazantzakis.
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