Killers Of The Flower Moon

DI GIACOMO CAMISASCA

Immagina di essere a casa in pieno giorno, i raggi del sole squarciano le tende e ti scaldano il viso, intorno c’è solo un chiacchiericcio di fondo e poi eccolo… un gufo.

Si posa sul davanzale, ti scruta con i suoi occhi gialli, fa dei piccoli scatti con la testa e quando è pronto, con un balzo, ti plana addosso.

La morte, secondo il popolo Osage, si presentava così, sotto forma di gufo. 

Questa è una storia vera.

Siamo a Fairfax (Oklahoma) negli anni Venti del Novecento, gli Osage (nativi americani di lingua siouan) trovano il petrolio e ben presto diventano il popolo più ricco del mondo.

Ma la ricchezza e i soldi puzzano, puzzano come un cadavere in putrefazione e quell’odore attira avvoltoi provenienti da ogni parte degli Stati Uniti, pronti ad arraffare e smembrare tutto ciò che luccica.

Ecco che piano piano, come infettati da una sorta di virus silenzioso, i membri del popolo Osage iniziano a cadere come piccole pedine fragili, posizionate su una scacchiera di cui non si erano nemmeno accorti.

La storia inizia quando Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), reduce della Grande Guerra – in cui svolgeva il ruolo di cuoco – arriva a Fairfax deciso a lavorare per lo zio William K. Hale (Robert De Niro), un latifondista che possiede la sua proprietà nel bel mezzo di un terreno Osage. 

Senza troppi giri di parole, lo zio – soprannominato il King – suggerisce al nipote di accaparrarsi una delle native che possiedono una fortuna spropositata, per ereditare, in futuro, tutta quella ricchezza.

Ma non basta sposarle, bisogna in qualche modo toglierle di mezzo, bisogna escogitare un piano perfetto per prendere agli Osage quel tesoro e trasferirlo in quelle mani ruvide, avide a cui non basta essersi presi un intero continente con la forza.

Ernest fa la conoscenza di Mollie (Lily Gladstone) nativa Osage, una donna malata di diabete ma che al contempo è forte, dura, che pondera bene le parole che usa.

I due iniziano ad esplorarsi, c’è una scena – una delle più belle e significative di tutta la pellicola – in cui Ernest e Mollie si ritrovano seduti in silenzio ad un tavolo aspettando il passaggio di un temporale, perché secondo la tradizione degli Osage bisogna rimanere fermi in attesa che passi.

Ma un altro tipo di temporale si sta per abbattere su di lei, su tutto il popolo, un temporale strano che non si fa sentire, che non si annuncia, che sfrutta le correnti per arrivare di colpo e che dopo il suo passaggio non lascia più nulla.

Mollie ed Ernest si sposano, per celebrare questo evento viene organizzata una festa che agli occhi del King Hale sembra più un rito sacrificale, in cui il vecchio scruta Mollie, vedendoci solo una facile occasione per diventare l’uomo più ricco di tutti.

Quello che succede dopo sembra essere già scritto, ma la tenacia di Mollie, ridotta ad uno straccio a causa di iniezioni di insulina mischiate con stordenti, fatte dal suo stesso marito, rimandano l’incontro con il gufo. 

Mollie si reca a Washington, per cercare aiuto da un governo americano che appare distratto, nascosto nei suoi palazzi bianchi, e quando sembra che la sua voce si perda nell’inesorabile menefreghismo ecco che a Fairfax giunge un’unità dell’FBI guidata da Tom White (Jesse Plemons).

Il finale del film è una lotta che Ernest Burkhart ingaggia con sé stesso e con la sua paura nei confronti dello zio, dato che è costretto a scegliere se testimoniare contro di lui oppure rimanere in silenzio e sacrificarsi in nome della ricchezza che, un giorno, arriverà.

“Killers of the Flower Moon” è una pellicola che scava nella memoria statunitense, in quell’angolo più torbido e ne tira fuori un’epica che trasuda tutto l’amore che Martin Scorsese ha per il cinema.

Il film non è quello che viene venduto nei vari trailer passati in rete o in tv, è un’opera che si dilata per tre ore e ventisei minuti sviscerando tutta la psiche che governa i personaggi, dall’Ernest Burkhart di DiCaprio, un personaggio ambiguo che rimane costantemente in bilico tra un amore che forse c’è e quell’avidità che lo comanda, facendolo muovere come un pupazzo nella maniera più goffa possibile, al William “King” Hale di De Niro, un uomo metodico, freddo, calcolatore, che riesce ad essere affabile e gentile con gli Osage per poi, alle spalle, pugnalarli nei modi più crudi.

Un personaggio che anche di fronte all’evidenza rimane vuoto, vuoto di quella umanità sepolta chissà dove.

E poi, signore e signori abbiamo colei che splende, la Mollie di Lily Gladstone è il simbolo di quella tenacia che è dura a morire, è l’eredità di un popolo che si sta sgretolando e si sta dimenticando delle sue origini, radicate in quella terra che è loro di diritto.

Mollie non si accorge di tutto quel male perché crede nell’amore di Ernest, crede che lui possa proteggerla (sa ovviamente che lui è interessato ai soldi, ma da un lato è convinta che quell’amore sia vero).

Il reparto tecnico lascia ammaliati, su tutti la fotografia di Rodrigo Prieto che ci illumina gli occhi (ci sono sequenze che tolgono il fiato, come la danza iniziale degli Osage intorno al getto di petrolio, il fuoco che circonda la casa di William K. Hale in cui vediamo le sagome e le ombre di tanti uomini picconare il terreno e poi un momento di tenerezza in cui Mollie insieme al figlio è circondata dalla natura sulla riva di un piccolo fiumiciattolo dove la luce del sole volteggia sulle foglie di un albero) e la colonna sonora di Robbie Robertson che è una ballata che ci parla dall’inizio fino alla fine.

Il western di Scorsese non è un western e non è nemmeno un gangster movie, è un tributo a tutto quello che il regista è stato nel corso della sua carriera, è un grosso bagaglio che noi spettatori dobbiamo sviscerare.

Arrivato ad ottant’anni di età, il regista di New York continua a raccontarci storie che ci fanno interrogare su quella che è la nostra natura, e non sorprende che i suoi ultimi film tocchino temi universali.

“Silence” era un percorso sulla fede, “The Irishman” era l’attesa della morte mentre questo “Killers Of The Flower Moon” è un viaggio nella memoria.

Ah, quasi mi dimenticavo il finale, intendo il vero finale del film, quello che ci svela che fine hanno fatto i vari protagonisti, con un cameo da pelle d’oca… ma non voglio svelarvi nulla e quindi uscite di casa e andate al cinema più vicino perché Zio Marty is back in town!

Per cinema più vicino, noi non possiamo che intendere il nostro cinema del cuore ❤️, quello dove siamo andati a vederlo: IL REPOSI DI TORINO IN VIA XX SETTEMBRE 15… ANDATECI ANCHE VOI PER APPLAUDIRE ALLO ZIO MARTY!!!

Se desideri leggere l’articolo che abbiamo scritto a proposito su questo stesso film prima che uscisse in sala, allora pigia qua!!!

Se ami il cinema di Martin Scorsese e i western, allora non potrai non leggere questa nostra Grande Sfida!!!

Se vuoi leggere un pezzo che parla di generi cinematografici, questo è l’articolo che fa al caso tuo!!!

Mercuzio and Friends è un collettivo indipendente con sede a Torino.

Un gruppo di studiosi e appassionati di cinema, teatro, discipline artistiche e letterarie, intenzionati a creare uno spazio libero e stimolante per tutti i curiosi.

Scopri di più →

GO TO TOP